Vittorio Sereni, intellettuale editore, seppe donare enormi contributi al mondo dell’editoria italiana, che a suo modo rivoluzionò, lavorando come direttore letterario presso la casa editrice Mondadori dal 1958 al 1975.
La sua carriera si inserì nel solco di un’editoria irripetibile, quella degli editori protagonisti, che si sviluppò durante il Novecento grazie a personalità come Arnoldo Mondadori, Valentino Bompiani e Giangiacomo Feltrinelli. Questa visse un apice negli anni sessanta, mentre verso la fine degli anni settanta iniziò a volgersi verso la forma di apparato industriale; tale cambiamento repentino e irreversibile fu percepito da Vittorio Sereni, che si ritirò al ruolo di consulente esterno per la Mondadori nel 1975.
L’«apprendistato involontario»
Prima di intraprendere l’importante impiego presso la Mondadori, Vittorio Sereni lavorò come traduttore e consulente editoriale, tracciando un «apprendistato involontario»,[1] che sarà fondamentale per il suo futuro lavoro nella grande casa mondadoriana. Le esperienze precedenti al 1958 furono di cruciale importanza per delineare i leitmotiv che saranno poi presenti nella sua carriera editoriale: la cautela, l’antiideologismo di fondo, la prudenza, il tatto nella mediazione con gli autori e il costante sforzo di comprendere il proprio tempo. Il suo apprendistato editoriale gli permise di inserirsi in una fitta rete culturale e al suo ingresso nella casa editrice Vittorio Sereni venne immediatamente caricato di enormi responsabilità. Il ruolo di direttore editoriale lo pose a capo di vaste aree della sezione libraria della casa: fin da subito Sereni dimostrò una forte tensione al cambiamento, che lo spinse a intervenire su molte collane preesistenti e a progettarne di nuove che, come si vedrà, diventeranno marchi mondadoriani unici e longevi.
L’arrivo in Mondadori: le innovazioni
All’arrivo nella casa, fondamentale fu ad esempio la rivoluzione attuata da Sereni nell’ambito della collana dello “Specchio”, collezione di poesia precedentemente diretta da Giuseppe Ravegnani, che necessitava secondo il nuovo direttore di un rinnovamento radicale, una «nuova vita».[2] Vittorio Sereni volle inserire nello “Specchio” giovani poeti, come Giovanni Raboni e Giovanni Giudici, movimentando la collana che stava vivendo, a causa di una miopia editorial-culturale nei confronti della poesia, un periodo di forte stasi.[3] Questo periodo di crisi terminò grazie all’intervento sereniano che rese possibile il superamento della tradizione in gran parte italianistica della collana: basti pensare che dal 1960 al 1972 vennero pubblicati poeti come Pound, Kavafis, Seferis, Robinson, Hikmet, Celaya, Levertov, Huchel, Tate, Ponge, Olson, Creeley, Auden, Bobrowski, Plath, Char e Celan.[4] Questi autori erano in gran parte nuovi per il panorama culturale italiano e tutti erano caratterizzati da una forte partecipazione a eventi focali novecenteschi come la Resistenza, la guerra civile spagnola e l’esperienza del genocidio.[5]
Altra fondamentale iniziativa sereniana fu la creazione, nel 1965, degli “Oscar” mondadoriani, «grande operazione»[6] volta allo svecchiamento e al ricambio delle pubblicazioni della casa editrice, che iscrivendosi nella prudente strategia arnoldiana contribuì ad avviare il cosiddetto boom del romanzo degli anni sessanta e sessanta. Gli “Oscar”, collana economica di romanzi in formato tascabile, si rivolgevano al pubblico più vasto, grazie alla loro colorata veste editoriale e al canale di vendita delle edicole, ponendosi come «i libri-transistor che fanno biblioteca, presentano settimanalmente i capolavori della letteratura e le storie più avvincenti in edizione integrale supereconomica per il tempo libero».[7] La nuova collana mondadoriana dunque dichiarava sin da subito, specialmente grazie allo scritto sereniano in presentazione alla collezione, la propria volontà ludica: una perfetta soluzione per il dinamico uomo moderno. Torna quindi anche in questo importante progetto l’avversione di Vittorio Sereni per ogni tipo di elitarismo intellettuale e la volontà di assecondare invece la vasta circolazione delle opere, in vista dell’acquisizione di un ampio pubblico interessato. Gli “Oscar” presentano la compresenza di autori italiani e stranieri, classici e contemporanei, noti e istituzionali, insieme ad autori emergenti o meno celebri. L’eterogeneità delle pubblicazioni sarà ben presente anche nel progetto dei “Meridiani”, collana mondadoriana nata nell’autunno del 1969 per volontà di Vittorio Sereni, la cui vitalità perdura ancora oggi.
Il modello dei “Meridiani”
La collana dei “Meridiani” nacque sul modello della “Bibliothèque de la Pléiade” edita da Gallimard. L’idea di una nuova collana mondadoriana scaturì dal progetto di sostituire gradualmente le storiche collane dei “Classici Contemporanei Italiani” e stranieri, ampliandone e rilevandone il ruolo e introducendo nella Mondadori «una collana universale di classici in versione lusso, che mancava alla casa dai tempi della “Biblioteca Romantica”».[8]
Vittorio Sereni aveva sin dall’inizio individuato la collana gallimardiana come modello, infatti già nel gennaio del 1969, quando il progetto dei “Meridiani” non aveva ancora una denominazione propria, Sereni descriveva i “Meridiani” come «una futura collana del tipo “Pléiade” (manca tuttora la denominazione), che allargherà la sua sfera anche ad autori del passato, superando il criterio della contemporaneità».[9] La “Bibliothèque de la Pléiade” fu fondata a Parigi nel 1923 da Jacques Schiffrin, un intellettuale esule da Baku a causa della Rivoluzione Russa. La collana di Schiffrin si proponeva come «strumento di conoscenza delle Pleiadi, le “stelle” della letteratura universale – con una naturale predilezione per quelle russe e francesi».[10] La “Bibliothèque de la Pléiade” si contraddistingueva per una grande attenzione alla elegantissima veste editoriale: i volumi erano infatti rilegati in pelle, stampati su carta bibbia, con un piccolo formato tascabile.[11] Gaston Gallimard rilevò nel 1933 la piccola azienda, mantenendo Schiffrin nella direzione e pubblicando volumi di qualità contenenti l’opera omnia di grandi autori, considerati classici, contribuendo quindi al «meccanismo sociale di monumentalizzazione» degli stessi scrittori.[12] La collana gallimardiana si proponeva quindi come una biblioteca ideale, garante di una sorta di Weltliteratur, con «diversi approcci tematici, fondati su alcuni periodi storici -l’età classica, l’illuminismo, l’età moderna- o generi o tematiche come la poesia e la traduzione».[13]
La varietà degli approcci tematici e dei generi pubblicati venne mantenuta nel progetto dei “Meridiani”, fortemente voluti da Vittorio Sereni anche per la stringente necessità di una collezione innovativa per la Mondadori, che riuscisse a mantenere un ritmo di pubblicazione più elevato rispetto a quello offerto dalla collana dei “Classici italiani”, diretti da Dante Isella.
La collana dei “Classici italiani” si proponeva di pubblicare le opere complete di moltissimi autori classici, con una laboriosa curatela filologica, che spesso era causa di ritardi o peggio di rinunce a molte pubblicazioni. Tanti furono gli scontri tra Vittorio Sereni e Dante Isella, che criticò aspramente sin da subito il nuovo progetto dei “Meridiani”, a suo parere sede inadatta alla pubblicazione dei grandi classici italiani. Dante Isella individuava grandi problemi strutturali nel nuovo progetto, che si ispirava alla “Pléiade” gallimardiana nella veste editoriale, ma che non poteva fare altrettanto per quanto riguardava la formula. Isella affermava infatti che essa non era adottabile «senza sostanziali mutamenti, imposti dal diverso carattere della letteratura francese rispetto alla italiana».[14] Secondo Isella infatti, se la tradizione letteraria francese era costituita da opere «scritte nella lingua di tutta una nazione»[15] e quella italiana non lo era, poco senso aveva ispirarsi a un modello così tanto inconciliabile per i “Meridiani” mondadoriani. Nonostante gli aspri scontri, Vittorio Sereni continuava a vedere nella nuova collezione dei “Meridiani” una grande occasione, poiché essendo una collana miscellanea avrebbe raggiunto un pubblico ampio e appassionato; inoltre, contenendo curatele di qualità, ma senza uno spiccato interesse di studio filologico, l’officina dei “Meridiani” sarebbe stata più agile. Questa fu un’importante intuizione da parte di Vittorio Sereni che aveva già iniziato a intravedere il repentino mutamento del panorama editoriale a cavallo tra gli anni sessanta e sessanta, che necessitava di iniziative editoriali tanto di qualità quanto di agile pubblicazione.
I “Meridiani” dalla prima pubblicazione al ritiro di Sereni
Il progetto dei “Meridiani” si concretizzò e inaugurò nel 1969 con Vita d’un uomo. Tutte le poesie di Giuseppe Ungaretti e i Romanzi di Franz Kafka, curati rispettivamente da Leone Piccioni ed Ervinio Pocar. Sin da subito emerge un tratto innovativo dei “Meridiani”, cioè quello di proporre dei «particolari connubi»,[16] sia tra autori i cui volumi escono quasi in contemporanea, ma soprattutto tra autore e curatore. Il primo Meridiano, dedicato a Ungaretti, fu allestito con la stretta collaborazione del poeta stesso, che si rivelò estremamente attento e partecipativo. Ungaretti, infatti, propose a Sereni di inserire le note in fondo al suo volume, «come fa Gallimard per i suoi della Pléiade»[17] e nell’estate del medesimo anno Sereni presentò finalmente il piano per l’allestimento del Meridiano ungarettiano, che avrebbe contenuto:
L’allegria, Sentimento del tempo, Il dolore, La terra promessa, Un grido e paesaggi, Taccuino del vecchio, Apocalissi (con l’aggiunga dell’inedito Proverbio), Dialogo, Derniers jours, Poesie disperse. In seguito, come appendice: note e apparato delle varianti. Il volume ha una prefazione di Leone Piccioni e una seconda prefazione d’autore dal titolo Riflessioni suggerite all’autore dalla sua poesia.[18]
La cura verso l’allestimento del volume inaugurale della collana provocò dei ritardi, di cui Sereni si scusò con Ungaretti nel gennaio del 1969, affermando che la novità assoluta della collezione richiedeva una particolare attenzione tecnica, poiché era fondamentale evitare qualunque tipo di errore, «sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista editoriale in genere»,[19] che sarebbe andato a scapito del volume ungarettiano, così come quello dedicato ai romanzi di Kafka. Con l’uscita di questi due primi volumi si definisce il programma della collezione, che aveva l’intento di essere una biblioteca ideale, che potesse fornire:
un panorama di “classici sempre contemporanei” in varie linee di sviluppo nella storia letteraria, che corrisponda poi, col tempo, a una viva immagine di ciò che i “Meridiani” rappresentano nell’ordinamento geografico del nostro pianeta. Una “biblioteca ideale” dunque, aperta alle più varie espressioni della letteratura di livello mondiale, che per certi aspetti potrebbe richiamare la “Bibliothèque de la Pléiade” e che si rivolge tanto allo studioso quanto al più vasto pubblico di chi ama le grandi letture. [20]
Nell’officina dei “Meridiani” il ruolo di Vittorio Sereni fu fondamentale poiché, benché non fosse il direttore della collana, seguiva passo per passo l’allestimento di molti volumi. Sin dal 1968 Sereni aveva ben chiaro quali autori meritassero di essere editi dalla casa editrice Mondadori, tra cui Bacchelli, Arpino, Banti, Bassani, Buzzati, De Céspedes, Del Buono, Palazzeschi, Piovene, Vittorini e Silone. Molti dei nomi che compaiono nella lista stilata da Sereni verranno pubblicati nei “Meridiani” e questo è sintomatico di quanto il direttore editoriale fosse lungimirante e di come molte delle scelte da lui prese negli ultimi anni della sua direzione avrebbero influenzato a lungo la collana.[21] Fondamentale fu la sua capacità mediatica, atta a conciliare gli autori e i curatori, ma anche il direttore di collana Ferrata e i vertici della casa: Sergio Polillo, Arnoldo e Giorgio Mondadori.[22] Grande merito sereniano inoltre fu quello di aver rinunciato all’omogeneità della collana, permettendo ai “Meridiani” di aprirsi a pubblicazioni di opere non solo contemporanee, ma anche classiche antiche. I “Meridiani” non rinunciano a incursioni nei più disparati generi, operando «immissioni anche rischiose» e assecondando il «criterio dell’apertura senza la quale non si riuscirebbe a tenere il passo con nuovi orientamenti e nuovi modi espressivi».[23]
Per quanto riguarda la veste editoriale i “Meridiani” si presentano con un formato tascabile, cm. 10,2 x 16,9,[24] ispirato ai volumi della “Pléiade” di Gallimard; la copertina dei “Meridiani” è cartonata, con un rivestimento in similpelle blu notte e impressioni color oro sul dorso. La sovraccoperta è composta da una semplice pellicola trasparente, mentre la custodia dei volumi in cartone leggero, stampato soltanto in nero, riproduce di solito un’immagine fotografica dell’autore a cui è dedicato il “Meridiano”. I volumi della collana presentano un dorso tondo e una carta bibbia, sottile con una bassa grammatura, ricca di cellulosa e quindi non trasparente, stampata con l’elegante carattere Garamond Simoncini.[25] I capitelli dei “Meridiani” sono in tela e il taglio superiore delle pagine è colorato, aspetto grafico tradizionale per l’editoria di inizio Novecento, volto a evitare che la polvere potesse danneggiare le pagine dei più preziosi volumi. I risguardi sono stampati in una carta marcata di colore verde con il simbolo della collana di colore marrone. I volumi sono privi di apparati iconografici, a differenza dei “Millenni” Einaudi, che contengono invece illustrazioni di valore e grande qualità artistica, avvicinandoli al libro strenna. Il progetto grafico dei “Meridiani” fu ideato nel 1969 da Daniele Baroni, con una supervisione di Mario Spagnol, ispirandosi alla “Pléiade”, come era avvenuto già nelle precedenti serie dei classici mondadoriani.[26]
I “Meridiani” si propongono quindi come un oggetto di lettura lussuoso, che ha una vita editoriale a sé. Essi accolgono «edizioni complessive»[27] o dell’intera opera o di un’accurata scelta di scritti rappresentativi dei grandi autori a livello mondiale. L’officina dei “Meridiani” lavora quindi su testi già largamente maneggiati dal punto di vista editoriale, conferendogli però una sede editoriale «cucita su misura»,[28] che varia da volume a volume, poiché si plasma sulle fattezze dell’autore a cui si riferisce. Il curatore di ciascun Meridiano affronta una sorta di «lavoro pionieristico»,[29] durante il quale vi è la scelta dell’opera da pubblicare, dell’ordine dei testi, dell’edizione da dare a testo. Altro importante passaggio è la redazione degli apparati, per i quali è necessaria una grande competenza critica e filologica.[30] Non vi è quindi un protocollo di edizione, definito e tracciato in modo stabile poiché le varie edizioni si plasmano sì alle caratteristiche dell’autore, ma anche al lavoro del curatore. Ecco quindi, che come si è già notato, i “Meridiani” non rinunciano all’omogeneità del proprio programma solo dal punto di vista della scelta dei titoli e dei generi pubblicabili, ma anche dal punto di vista dell’approccio con cui si struttura la curatela e l’apparato di commento.
Ulteriore specificità dei “Meridiani” è che essi sono affiancati da un pilastro fondamentale, sempre ideato da Sereni: gli “Oscar”. Questi si rivelano sede ottimale per la riedizione di classici in edizione economica, qualora si volesse riproporre un testo edito nei “Meridiani”. Con gli anni e le diverse direzioni il rapporto tra le due collane è diventato sempre più vitale e sintomatico di questo avvicinamento è il fatto che i “Meridiani” e gli “Oscar” dipendono oggi dalla medesima Direzione editoriale: l’Editoria di catalogo. Lo sforzo critico delle edizioni dei “Meridiani” confluisce in parte nelle edizioni economiche, permettendo a porzioni ancora più ampie di lettori di usufruire di un eccellente strumento culturale e letterario.[31]
I passaggi di testimone
Dal 1970 Vittorio Sereni, pur rimanendo presente e partecipe nell’allestimento dei volumi, affidò la direzione dei “Meridiani” a Giansiro Ferrata. Durante la direzione di Ferrata vennero pubblicati importantissimi “Meridiani”, come i Racconti di Kafka, le Opere scelte di Pound – ancora vivente – e il Faust di Goethe, prima incursione nella collana di un autore classico in senso lato. Molta attenzione durante la direzione di Ferrata venne dedicata alle traduzioni, inaugurando il metodo della traduzione con il testo a fronte, che caratterizzerà tutti i futuri “Meridiani” di poesia straniera. La direzione di Ferrata terminò nel 1986, con il subentrare al suo posto di Luciano De Maria, a cui si deve l’importante iniziativa della Recherche proustiana, con la traduzione di Giovanni Raboni. La più grande peculiarità dei “Meridiani” è però l’offerta di diversi percorsi di lettura, che spaziano tra generi distantissimi tra loro, trattati con la medesima attenzione e cura, ricollegandosi quindi al proposito sereniano di ottenere con il tempo un «uditorio omogeneo, non di casta»[32] e di conferire pari dignità ai diversi generi letterari, tutti fondamentali a costruire una solida e completa formazione dell’uomo moderno. La rinuncia all’omogeneità della collana per operare «immissioni anche rischiose»[33] fu auspicata da Vittorio Sereni nella relazione programmatica del 1969, al momento inaugurale della collana, e questa rimane una costante in tutta la storia dei “Meridiani”.
Nel 1995 la direzione dei “Meridiani” passò a Renata Colorni, che apportò alla collana enormi contributi, accelerandone le pubblicazioni e arricchendo il suo catalogo. Attorniata da un’equipe coesa, lavorò per mantenere le qualità e le specificità della collana, molte risalenti all’avvio sereniano, come l’ibridismo del catalogo, tanto caro a Sereni. La vistosa accelerazione di pubblicazioni ebbe un apice nel 1999, anno in cui si pubblicarono sedici volumi nell’arco di un solo anno.[34] La direzione di Renata Colorni non solo quindi aumentò le pubblicazioni e l’ampiezza dei volumi, che arrivano oggi anche a duemila pagine, ma diramò ancora di più i percorsi delle pubblicazioni. I “Meridiani” a oggi, con più di quattrocento volumi editi, contano circa «diciannove percorsi»:[35] classici latini e greci, la letteratura italiana dal Duecento al Settecento, poi gli scrittori italiani dell’Ottocento, del Novecento, i Classici della letteratura europea, gli scrittori europei dei Novecento e quelli americani dell’Otto e Novecento; vi è anche un percorso dedicato a racconti, novelle e fiabe. Per quanto riguarda la poesia i “Meridiani” accolgono poeti italiani del Novecento, accanto a quelli dialettali e alla grande poesia straniera moderna. Vi è poi una sezione dedicata all’Oriente, e ancora al teatro, alla filosofia, alle lettere, alla letteratura di viaggio, al genere mistico e religioso e, infine, molte sono le antologie pubblicate dai “Meridiani”.[36]
Percorsi fondamentali dei “Meridiani”
Senza la pretesa di esaminarli tutti, si procede con un’analisi di alcuni percorsi fondamentali per la collana. Per quanto riguarda la pubblicazione di classici antichi e moderni, il lavoro sui testi antichi comporta un enorme sforzo di ricerca e curatela e ciò che si rivela determinante, essendo testi già rimaneggiati, è la qualità dell’edizione, che necessita «curatele di eccezionale originalità e valore».[37] Interessante nei “Meridiani” è il percorso dedicato ai classici latini e greci, che si apre nel 1977 con l’antologia dei Tragici greci. Eschilo, Sofocle, Euripide a cura di Raffaele Cantarella, che procede con l’Antologia della poesia latina, a cura di Luca Canali, la quale accoglie gli autori più canonici affiancandoli ai poeti arcaici.[38] Importante serie di classici italiani è quella dedicata a Dante Alighieri, inaugurata nel 2011 con il primo volume comprendente Rime, Vita Nova e De Vulgari Eloquentia, frutto della curatela di Claudio Giunta, Guglielmo Gorni, Mirko Tavoni e Santagata. Il secondo “Meridiano” dantesco esce nel 2014 e comprende Convivio, Monarchia, Epistole ed Egloghe, a cura di Gianfranco Fioravanti, Claudio Giunta, Diego Quaglioni, Claudia Villa e Gabriella Albanese. L’intera impresa dei “Meridiani” danteschi dimostra ancora una volta come l’allestimento di una simile iniziativa si dimostri una vera e propria impresa editoriale per la quale è necessaria un’équipe ad hoc.
Altro percorso della collana è quello dedicato al genere epistolare; i “Meridiani” dedicano ampi spazi alle lettere degli autori, pubblicando le Lettere leopardiane ma anche quelle di Shelley, Pirandello, Proust, Mann, Kafka, Calvino e Don Lorenzo Milani. Alle Lettere di Thomas Mann è dedicato un intero volume, edito nel 1986 a cura di Italo Alighiero Chiusano, il quale ha operato sia la scelta delle lettere che uno studio sulla traduzione e la presentazione di esse. Ancora vi è il Meridiano contenente le epistole di Italo Calvino, Lettere (1940-1985), che conclude la titanica impresa dei “Meridiani” dedicati all’autore. Grande spazio nella collezione è dedicato agli autori novecenteschi, di poesia e prosa, italiani e stranieri. La serie dedicata a Calvino vede come secondo volume Fiabe Italiane. Raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dei vari dialetti da Italo Calvino, edito nel 1993 a cura di Mario Lavagetto, di grande importanza perché introduce nei “Meridiani” il genere favolistico popolare. L’impresa dei “Meridiani” dedicati a Italo Calvino è estremamente rilevante, poiché è completa e conforme alla natura variegata della collana; dell’autore si riesce infatti a tracciare un ritratto obliquo, che tocca diversi generi letterari in maniera trasversale.
Di Calvino sono pubblicati anche i Saggi, a cura di Mario Barenghi, editi nel 1995, contenenti testi «spesso mai raccolti in volume».[39] Questa scelta si collega a un altro interessante percorso della collana: quello della saggistica. Nel 1973 si collocano due importanti iniziative: i volumi dedicati a Roberto Longhi e a Luigi Einaudi. Queste due opere aprono la strada nei “Meridiani” al genere saggistico, nel primo caso d’arte e nel secondo di storia ed economia. I volumi dedicati a Einaudi e Longhi rimangono gli unici ad essere dedicati per intero al genere saggistico, motivo per cui costituiscono due casi di grande interesse. Molti autori novecenteschi editi nei “Meridiani” non sono autori storicamente mondadoriani, come Pasolini, Carver, Singer, Saramago o Terzani,[40] e la loro pubblicazione è legata alla legge dell’opera in raccolta, la quale fa sì che possano essere editi autori le cui opere singole appartengono ad altre case editrici, con la clausola che se ne pubblichi o l’opera omnia o una significativa selezione.[41] Ciò che i “Meridiani” fanno con scritti di autori già editi altrove è apportare loro il valore aggiunto: l’eccezionale lavoro di curatela che li contraddistingue.
Per quanto riguarda la poesia italiana del Novecento è indispensabile citare l’immensa impresa del Meridiano di Eugenio Montale, che vede come prima uscita Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, contenente la riproduzione anastatica delle prime edizioni di La casa dei doganieri, Finisterre, Satura e Xenia. Il volume, edito nel 1984, è seguito da Prose e racconti a cura di Marco Forti, con note ai testi e varianti di Luisa Privitera. Per i “Meridiani” esce poi nel 1996 Il secondo mestiere, costituito da quattro volumi di prose critiche sulla letteratura, l’arte, la musica e la società, curati da Giorgio Zampa.[42]
A conferire ulteriore prestigio alla collana dei “Meridiani” è l’impegno nel lavoro di traduzione, che come afferma Renata Colorni è da considerarsi «un lavoro letterario a pieno titolo», poiché «una buona traduzione può essere decisiva per il successo editoriale di un libro».[43] Nella collana sin da subito confluiscono grandi autori stranieri come Hardy, di cui uscì nei “Meridiani” un unico volume dedicato ai suoi Romanzi, a cura di Carlo Cassola. Questo, edito nel 1973 e contenente Il ritorno del nativo e Tess dei d’Urberville, comprenderà anche la sezione intitolata Dalle “Poesie” di Hardy, con componimenti attentamente selezionati e tradotti da Cassola, Bertolucci e Montale.[44] La traduzione da parte di grandi nomi della letteratura italiana è sintomatica dell’altissima attenzione rivolta alle traduzioni da parte dell’officina dei “Meridiani”.
Il prestigio in casa Mondadori continua
Ecco quindi che i “Meridiani” offrono al lettore numerosi percorsi possibili e di conseguenza molteplici modalità d’approccio ai testi, varie e interessanti, poiché essi permettono di approfondire non solo diversi generi letterari, ma anche diversi momenti storici o fenomeni sociali e letterari.[45] Per questo motivo, come afferma Patrizia Landi, la collana dei “Meridiani” non è paragonabile ad altre collane di classici e non la vuole essere stricto sensu.[46] Essa manca infatti di moltissime opere fondamentali per una collana di classici in senso lato, specie nell’ambito della letteratura antica e del panorama ispanofono, ma anche riguardo alla letteratura russa e inglese; quest’ultima, ad esempio, è rappresentata nei “Meridiani” soltanto da Emily Dickinson e Sylvia Plath, molto amata da Sereni. Dunque, i “Meridiani” si muovono all’insegna dell’eterogeneità delle pubblicazioni, contengono delle scelte e, snaturando in parte il proposito iniziale sereniano, prediligono la contemporaneità, ricavandosi un significativo e fedele pubblico di lettori. È chiaro quindi quanto grande sia l’eredità sereniana lasciata nel mondo editoriale italiano, ma ancora di più nel progetto e nell’immagine grafica che hanno reso i “Meridiani” un vero e proprio marchio mondadoriano.
L’impronta di Vittorio Sereni è ben visibile sin dalle prime pubblicazioni della collana, ma la serietà e l’eclettismo culturale da lui impostati si protraggono fino ad oggi, rendendo i “Meridiani” una collezione di enorme prestigio, che migliora di giorno in giorno l’immagine della casa editrice Mondadori. Come afferma Patrizia Landi nel suo saggio Come una Pléiade. Appunti per una storia dei “Meridiani”, «è proprio in questo senso che i “Meridiani” si qualificano come la maggiore collezione di classici moderni, che per il momento non trova ancora equivalenti in altre iniziative editoriali ispirate ad analoghe ambizioni culturali e commerciali».[47]
Greta Giorgia Palmazio
Estratto da: Greta Giorgia Palmazio, tesi di laurea, Università di Pavia, Pavia 2019-2020, relatore Chiar.mo prof. Roberto Cicala.
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(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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