Storie di Editori Archivi - Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/category/blog/storie-di-editori/ Blog del Laboratorio di editoria diretto da Roberto Cicala Sun, 02 Jun 2024 14:14:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://editoria.letteratura.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Icona-e1547805980831-32x32.png Storie di Editori Archivi - Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/category/blog/storie-di-editori/ 32 32 Alla scoperta dei luoghi dell’editoria https://editoria.letteratura.it/alla-scoperta-dei-luoghi-delleditoria-a-milano/ https://editoria.letteratura.it/alla-scoperta-dei-luoghi-delleditoria-a-milano/#respond Sun, 21 Apr 2024 08:51:02 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8893 Un libro-itinerario tra sedi e protagonisti delle case editrici Per il volume di Roberto Cicala pubblicato dal Mulino anteprima in Università Cattolica a Milano prima di un tour di presentazioni per l’Italia: tra storia, personaggi, curiosità e architettura in Andare per i luoghi dell’editoria le vicende culturali delle città italiana dei libri Andare per i […]

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Un libro-itinerario tra sedi e protagonisti delle case editrici

Per il volume di Roberto Cicala pubblicato dal Mulino anteprima in Università Cattolica a Milano prima di un tour di presentazioni per l’Italia: tra storia, personaggi, curiosità e architettura in Andare per i luoghi dell’editoria le vicende culturali delle città italiana dei libri

Vita e Pensiero - Università cattolica - i luoghi dell'editoria

Andare per i luoghi dell’editoria è un libro-itinerario di Roberto Cicala sulle sedi delle maggiori case dei libri, molte milanesi, in uscita per Il Mulino: anteprima mercoledì 8 maggio a Milano, alla libreria Vita e Pensiero, in largo Gemelli 1, alle ore 17,45, con lo storico del libro Edoardo Barbieri e il direttore editoriale Aurelio Mottola in dialogo con l’autore, editore e docente universitario. L’evento è promosso da Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica e Creleb. A seguire presentazioni in vari sedi italiane, dal salone del libro di Torino al Gabinetto Vieusseux di Firenze, dall’Antico Caffè San Marco di Trieste al parco Villa Filippina di Palermo.

QUI UNA PAGINA CON SCHEDA, SELEZIONE DELLE RECENSIONI E BIBLIOGRAFIA DEL LIBRO

Un capitolo del volume è dedicato alla Milano tra ’800 e ’900 quando scrittori ed editori scoprono fama e guadagno con i libri: tra Scala e Monte Napoleone gli editori di Leopardi e Manzoni, tra molte edizioni pirata) aprono all’Italia letteraria accolta in casa Treves, a cominciare da Verga, senza dimenticare i manuali Hoepli per una Milano industriale in crescita. Una sezione è poi dedicata a Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli, «il presidente, il commendatore e il rivoluzionario» con aneddoti sulla battaglia a tre sul fronte dei tascabili economici durante il boom economico. Un altro capitolo segue le strade di una Milano divenuta capitale della lettura: s’ inizia dal periodo tra le guerre con Bompiani, Garzanti e i libri per ripartire, quindi il mondo degli studi nella capitale delle university press, prima di tutte Vita e Pensiero, con piccoli e grandi sigle tra letteratura e mercato, tra Scheiwiller, Il Saggiatore, Adelphi e gruppo GeMS, con uno spazio ai piccoli lettori nella grande città e uno sguarda dagli anni ’60 al Duemila in una «BookCity» da Adelphi alla Nave di Teseo.

Le case editrici sono luoghi dove non sono previste visite guidate, che è possibile fare in queste pagine per scoprire dove nascono i libri che amiamo grazie all’incontro di persone, idee, storie ed emozioni. Dai sestieri lagunari di Manuzio alle gallerie del centro storico di Milano, dalla Mole di libri torinesi tra Gobetti, Einaudi e don Bosco alla Bologna di Zanichelli e del Mulino (che nel 2024 compie 70 anni) e fino alla Firenze dei caffè scelti dai poeti per le riunioni di redazione, e ancora dalla Roma di politica e santità alla Napoli delle bancarelle, alla Bari laterziana e alla Palermo della “Memoria” è un itinerario dietro le quinte delle fabbriche dei best seller tra uffici, ville, open space e librerie. Un volume che mancava con una mappa del come e perché si produca tanto sapere in tutta la penisola: è una bibliodiversità che rispecchia la variegata identità dell’Italia di oggi, di cui le case editrici sono uno specchio veritiero tra carta e digitale.

Roberto Cicala è docente all’Università Cattolica di Milano ed editore di Interlinea. Collaboratore di riviste e quotidiani, ha pubblicato per il Mulino I meccanismi dell’editoria. Ha curato inediti di Rodari, Rebora e Vassalli e saggi sulla storia di Einaudi, Mondadori, De Agostini, Vita e Pensiero e altri editori.

«Il fatto che si chiamino “case” la dice lunga sull’importanza dei luoghi in cui si cucinano le parole per renderle le più appetibili e gustose al palato degli ospiti, cioè i lettori, dentro il piatto dei libri. In gergo è detto davvero “cucina” il lavoro di redazione: è ciò che capita dietro le quinte dei libri per farli nascere. A partire dalle sedi più rappresentative questo viaggio in Italia tenta di tracciare una piccola storia dell’editoria italiana attraverso alcuni marchi consolidati la cui aura permea molti luoghi. È il racconto di un campione di sigle che hanno plasmato l’identità culturale della nostra nazione mediante i gusti e le scelte di editori protagonisti o di letterati editori, due categorie che non sono del tutto tramontate», scrive l’autore nell’introduzione.

Dopo l’anteprima milanese le prime presentazioni di Andare per i luoghi dell’editoria di Roberto Cicala saranno sabato 11 maggio alle 10,30 al Salone del libro di Torino con Irene Enriques, Giovanni Hoepli e Giuseppe Laterza e venerdì 17 maggio ore 17,30 a Firenze al Gabinetto Vieusseux di palazzo Strozzi con Franco Contorbia e Cristina Nesi.

Il libro: Roberto Cicala, Andare per i luoghi dell’editoria (Il Mulino), pp. 192, con fotografie, euro 14
https://www.mulino.it/isbn/9788815388735

 La scheda del libro in pdf: CICALA_Luoghi-editoria_RITROVARE L’ITALIA_Mulino


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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La “locomotora” di via Diaz: Pablo Neruda e i Tallone https://editoria.letteratura.it/la-locomotora-di-via-diaz-pablo-neruda-e-i-tallone/ https://editoria.letteratura.it/la-locomotora-di-via-diaz-pablo-neruda-e-i-tallone/#respond Sun, 02 Oct 2022 17:46:37 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8806 Uno studio che ricostruisce l’insolita relazione tra il poeta Pablo Neruda, la bottega tipografica dei Tallone e una locomotiva parcheggiata nel loro giardino. Fin da piccoli Alberto e Guido Tallone adorano i treni. Ad Alpignano si assiste a una specie di vero e proprio rito, ogni volta che il Roma-Parigi transita per la stazione: cronometro […]

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Uno studio che ricostruisce l’insolita relazione tra il poeta Pablo Neruda, la bottega tipografica dei Tallone e una locomotiva parcheggiata nel loro giardino.

Fin da piccoli Alberto e Guido Tallone adorano i treni. Ad Alpignano si assiste a una specie di vero e proprio rito, ogni volta che il Roma-Parigi transita per la stazione: cronometro alla mano, i due fratelli ne verificano la puntualità, cercano di cogliere con gli occhi i visi dei viaggiatori, a volte mettono addirittura una monetina sui binari – il passaggio del treno l’avrebbe deformata in maniera unica e questo avrebbe significato ogni volta qualcosa di nuovo e di emozionante –.[1]

Siamo nel 1960, l’anno dell’inaugurazione della “casa-bottega” tanto desiderata da Alberto: giunge la notizia dell’ultimo transito di una vecchia locomotiva a vapore, costruita nel 1900[2] dalle Officine di Saronno e attiva presso lo scalo ferroviario interno al Lingotto torinese. Il suo destino è la demolizione, almeno fino a quando i Tallone non intervengono. Alberto e Guido contattano il presidente della Fiat in persona, Vittorio Valletta, e lo convincono ad effettuare uno scambio: classici danteschi e un quadro di Guido in cambio della locomotiva.

Gli operai addetti alle demolizioni erano già con la fiamma ossidrica in mano, ma furono fermati pochi minuti prima che il fuoco cominciasse a violare questo cimelio. Ad Alpignano raccontano che ci rimasero male. Poi la grande locomotiva fu posta nel giardino dei Tallone, venne costruita una linea di 45 metri che collegava le case di Guido e di Madino. Si facevano visita l’un l’altro mettendola in pressione, tirando la sirena dopo gli sbuffi del vapore, ricordando l’epoca dei loro viaggi, quando la natura li raggiungeva ai finestrini di un treno e non si doveva cercarla e scoprirla come una rarità. Diventò una parte della tipografia, anzi per taluni aspetti ne testimoniava il carattere, e ricordava ai visitatori che i padroni di casa avevano un ospite fisso, che un giorno si chiamava sogno e quello successivo fantasia. Per questi e per altri motivi la locomotiva conobbe un successo singolare.][3]

Ben presto il giardino dei Tallone fa spazio a una vaporiera a scartamento ridotto, proveniente dalla Val di Susa, con tanto di vagoncini, pompa per caricare l’acqua nel serbatoio, orologio a muro e panchina in stile liberty. A casa Tallone si fa merenda in giardino, in una vera e propria stazione.

Molti dei celebri ospiti e clienti della casa editrice rimangono meravigliati dall’atmosfera che scaturisce da un “gigante di ferro” in giardino; non pochi chiedono di fare un giro a un entusiasta Alberto, che non perde mai occasione di calarsi nei panni di capotreno e di mettersi alla guida. Rimane perciò piacevolmente sorpreso quando, il 7 giugno del 1962, trova sulla sua locomotiva Pablo Neruda[4] e la compagna Matilde Urrutia,[5] sorridenti e del tutto dimentichi di essere attesi per il pranzo.

Pablo Neruda scopre la figura di Alberto Tallone e le edizioni di classici da lui curate già nel 1955.[6] Questo motiva la presenza, nel finale della sua Oda a la Tipografía, dove innalza alle vette dell’arte i tipografi e i bibliofili, le iniziali A e T, chiaro riferimento ad Alberto Tallone.[7]

È nel 1962 che il poeta cileno ha la possibilità di entrare in contatto con Tallone in persona: si trova a Milano, in galleria, quando scorge nella vetrina della libreria Garzanti una copia delle edizioni Tallone. È un attimo: Pablo entra assieme a Matilde e riesce a farsi combinare un incontro con Alberto per l’indomani, il 7 giugno. La notizia mette in subbuglio la “casa-bottega” alpignanese: mentre Bianca pensa ad allestire un pranzo degno degli ospiti che stanno per ricevere, Alberto prepara la locomotiva: «noi si mise dentro fascine, paglia e gli si fece fumare la locomotiva, per rendere omaggio al poeta».[8]

Quando Pablo e Matilde arrivano in via Diaz rimangono basiti: la visione della locomotiva, delle rotaie e dell’abbondante fumo nero li coglie di sorpresa. «Credemmo di aver sbagliato direzione, forse eravamo giunti alla stazione del paese»,[9] scrive Neruda nell’Addio a Tallone: in realtà il posto è quello, solo l’orario è sbagliato. Sono le due e mezza, gli ospiti erano attesi per pranzo. Quando Alberto, preoccupato per il ritardo, decide di uscire nel parco, è il suo turno di rimanere a bocca aperta: Neruda e Matilde sono sulla locomotiva.

Durante il pranzo il poeta parla con entusiasmo di treni, di locomotoras[10] e di libri, non vede l’ora di esplorare il mondo da lui tanto esaltato della stampa a caratteri mobili; fa il giro dei libri, rimane incantato da I promessi sposi, le Rime dantesche, i testi dei grandi filosofi greci presocratici. Pablo Neruda in quel momento si innamora delle edizioni Tallone, non potrà più farne a meno.

Una settimana dopo arriva ad Alberto la prima di una lunga serie di lettere scritte dal poeta. Con grande affetto Neruda ricorda la permanenza ad Alpignano, piacevole in ogni dettaglio (dalla stamperia, al vino, alla sorprendente e inaspettata locomotiva)[11]; aggiunge inoltre che ha inviato a Bellini[12], traduttore di fiducia, un testo che – il poeta ci tiene molto a sottolinearlo – «c’est totalement inédit même en espagnol».[13] Prospetta anche altre collaborazioni con il traduttore (parla di un Bestiario, di un Herbario e di venti poemi d’amore – che andranno poi a comporre per l’appunto Venti poemi d’amore e una canzone disperata) e concede ad Alberto di scegliere ciò che più gli piace: «le reste jetez le à la locomotive parce que cette fumée rendra justice»,[14] conclude scherzosamente Neruda.

Alberto non perde tempo: la prospettiva di stampare un inedito di Neruda (dal titolo provvisorio di Sumario) è fin troppo allettante; per la prima volta dall’Ange di Valery un poeta contemporaneo va a scuotere il rigido catalogo di classici editi da Tallone. La risposta del poeta non si fa attendere: in una seconda lettera Neruda scrive qualche frase tratta dall’introduzione di Sumario, scusandosi per la brevità della citazione e per la potenziale indecifrabilità della scrittura, per la quale però Bellini, abituato alla calligrafia del cileno, avrebbe sicuramente potuto dare il suo aiuto.

È proprio il traduttore che, in una lettera del 27 novembre, scrive a Neruda che i preparativi stanno andando per il meglio e che «Tallone está cada vez más entusiasmado y pienso salga algo bueno»[15]. Il buon auspicio viene confermato dal poeta stesso che dopo qualche giorno invia un telegramma ad Alberto, con il quale valuta il quartino di prova composto dall’editore-tipografo e spedito a Capri, dove Neruda si trova in vacanza. Il messaggio è incisivo ma chiaro: «bellas rimas gracias y gracias».[16] La composizione può proseguire.

In conclusione del 1962 Neruda scrive all’editore «cher ami» quello che è stato scelto da lui come titolo definitivo e completo: Sumario. Libro donde nace la lluvia.[17] Il rapporto tra i due è già a quest’altezza molto forte: Alberto in una lettera del 2 novembre, oltre a parlare dell’incontro con Bellini e della volontà di inviare a Neruda una prima tiratura del testo per avere la sua benedizione, non manca di ringraziare per i complimenti (che nelle lettere del poeta non mancano mai) e di salutare la consorte Matilde; lo stesso Neruda nella lettera sopra citata augura un buon anno a Bianca (o meglio Blanca, come talvolta gli sfugge) e ai piccoli Aldo e Enrico, chiamati affettuosamente Talloncinos.

Tra i due il più entusiasta per l’uscita di Sumario è sorprendentemente Neruda: scrive più volte che non vede l’ora di avere tra le mani il libro compiuto, la sua prima opera edita da Tallone.[18] Il suo desiderio si realizza il 30 aprile 1963, quando Sumario esce in lingua; la traduzione arriva nel settembre del medesimo anno.[19]

Questo testo si rivela singolarmente adatto nel ricoprire il ruolo di primo collegamento tra le due figure di Alberto Tallone e Pablo Neruda.

Neruda era un poeta popolare, socialista, che credeva nella poesia come educazione e riscatto delle classi umili. Le immagini di Sumario sono tratte dalla concretezza della vita quotidiana. Il ritratto di «mamadre» […] riportava Madino agli anni dell’infanzia vissuti con sua madre nel podere Jaquet. C’è una complicità segreta tra le “povere” e potenti immagini di Sumario e la purezza della stampa artigianale che ce le svela. Foglio dopo foglio. Da un inverno a un altro inverno. La composizione manuale a caratteri mobili richiede un lungo tempo, che affascina Neruda. Ora che la vita si è consumata e ha perduto le scorie impure, i sogni fallaci, l’infanzia assume un valore purificatorio. […] Questa infanzia, vissuta in una natura ostile, la terra delle «Cordigliere, di fiumi e di arcipelaghi che a volte non conoscono il loro nome»,[20] Neruda affidava a Tallone, «rettore della suprema chiarità»,[21] la cui arte era paragonata dal poeta al lavoro incessante delle api; come dal «favo selvatico», così dal suo torchio esce il miele profumato.[22]

Nelle lettere successive il poeta cileno si dimostra soddisfatto del lavoro di Alberto[23], dimostrando medesimo entusiasmo per la versione tradotta da Bellini – in una cartolina della splendida Laguna Azul (presso Magallanes, in Cile) definisce il Sumario italiano «bello come un glaciar» – e rassicura l’amico più volte: «j’écrirais des poèmes en prose pour Tallone».[24] Il livello di confidenza tra i due si fa sempre più alto, tanto che nel 1964, in occasione della pubblicazione a Buenos Aires di Memorial de Isla Negra e del sessantesimo compleanno dell’autore, Alberto riceve da Parigi un poncho, pegno di devozione e amicizia da parte di Neruda.[25]

Ciò nonostante passa un anno prima che riprenda la comunicazione tra Alberto e Pablo: è quest’ultimo a scrivere per primo, adducendo come motivi del suo silenzio «de long voyages, de travaux interminables et embêtants».[26] Non dimentica però quello che lui definisce «orgueil de me sentir ami de Tallone»[27] e gli propone di incontrarsi nel mese di giugno nella città di Londra, dove per l’appunto è in programma la mostra Special Editions of Dante’s Works published by Alberto Tallone presso l’Institute of Italian Culture.

La corrispondenza riprende, i toni sono ora ufficiali ora familiari: ad esempio Alberto (che ha preso a firmarsi Madino nelle lettere rivolte al poeta), in occasione di una celebrazione in onore di Dante presso la stamperia di Alpignano, non manca di sottolineare all’amico appassionato di treni che «dans le même temps j’inaugurerai le petit train complet»,[28] cioè la vaporiera della Val di Susa. Più volte le due coppie si incontrano a Roma, all’Hôtel Inghilterra o al Caffè Greco, e il tempo sembra volare: Bianca non può fare a meno di chiedere notizie di Pablo e di Matilde in un foglietto volante datato 2 ottobre 1966[29], sebbene qualche mese prima avessero inviato ai Neruda una cartolina dalla città di Madrid.[30] In risposta ecco che arriva un’altra cartolina, questa volta personalizzata: una bella foto di Matilde e Pablo, sulla quale con un pennarello verde (spesso usato dal poeta per scrivere) sono disegnati due cuori all’altezza del petto della coppia. Sotto la foto, una didascalia: «A los Tallones, nuestros corazones», l’ultima parola collegata ai due cuori da un tratto. I Tallone, a loro volta, rispondono con i loro «quattro cuori» in una delle ultime lettere: Alberto insiste in maniera sottile sui tanto attesi «poèmes en prose» e propone un incontro per la fine del mese.[31] Pablo Neruda e Alberto Tallone si vedono per l’ultima volta a Roma nel febbraio del 1967; l’editore muore a marzo.

La notizia raggiunge Isla Negra più di un anno dopo e colpisce nel profondo il poeta.

Bianca chérie, «ça» a été terrible pour moi, pour nous. Je ne savais relirea jus’quà bien que j’ai reçu.
Notre grand ami, notre grand homme, ce poète du livre!
Mais vous avez choisi la ligne du courage, qu’il aurait approuvé. C’est merveilleux que vous continuez son travail.
J’écrirai une dédicace pour lui et je vous fait arriver un autre chapitre que j’avais oublié.
Bianca, Matilde et moi nous vous embrassons avec tout notre cœur.[32]

La lettera, datata 7 maggio 1968, è carica di dolore e nostalgia, ma anche di profonda ammirazione per Bianca, che con coraggio ha deciso di portare avanti il mestiere del marito.

È il 23 maggio: Pablo inizia la sua lettera intestandola ai «queridísimi Tallone» e la imposta con toni ben diversi rispetto a quelli sommessi e trattenuti della missiva  precedente; in lui la gioia, l’entusiasmo, il ricordo del caro amico compianto e la volontà di aiutare la lodevole Bianca hanno avuto la meglio sul rammarico e sul lutto. Finalmente i «poèmes en prose» sono pronti: la vecchia promessa è stata mantenuta.

 Queridísimi Tallone:
Le silence est fini! Je vous aime et vous admire!
Bonjour, Bianca Leonardina!
Bonjour, imprimerie!
Bonjour, locomotive!
J’avais beaucoup de honte parce que je n’avais pas ancore fait ce livre de poèmes en prose que Tallone, me faisant grand honneur, m’avais demandé. Maintenant le voici: il est très court mais il n’est pas mal. Je me permets de conseiller à mon plus admiré typographe-éditeur que les caractères soient très, très grands. Comme ça, le livre ne sera pas trop petit.
Edition de peu d’exemplaires? Enfin, vous fairez ce que vous voudrez. Le livre est votre.
Je vous salue avec grande amitié et émotion. L’année prochaine nous voulons boire avec vous à votre trattoria.
Adieu, au revoir, à tantôt.
Abrazos de Matilde y Pablo[33]

L’opera in questione, La Copa de Sangre, si conclude, per volere stesso del poeta, con un toccante saluto all’amico Alberto, «maestro moderno della tipografia».[34] I «pochi esemplari» prospettati da Neruda in realtà eccedono di gran lunga quella che è la normale tiratura dei Tallone: del libro, edito nel 1969, vengono realizzate oltre cinquecento copie, a dimostrazione di quanto Bianca abbia preso in considerazione l’affermazione dell’autore, «le livre est votre».

La giovane vedova viene invitata alla presentazione di La Copa de Sangre a Santiago del Cile, il 12 settembre 1970. Il viaggio è pagato da Neruda in persona, ma all’ultimo Bianca è costretta a rinunciare: «non potevo muovermi dovendo gestire da sola la stamperia e i figli erano ancora piccoli»,[35] scrive in una lettera del 2003. Va così sprecata l’unica occasione per la donna – e, in qualche modo, anche per il compianto Alberto – di visitare quella Isla Negra tanto amata dal poeta.[36]

Gli anni passano: Bianca si occupa della stamperia di Alpignano con impegno, osservando da lontano quello che accade oltreoceano. Così nel 1971 viene a sapere che il premio Nobel tanto ambito, dopo un “volo” piuttosto lungo (per dirla con le parole usate dal poeta nel 1963), è finalmente atterrato in grembo a Pablo Neruda.[37] È datata 19 marzo 1972 la lettera in cui il cileno fa dono a Bianca del discorso pronunciato a Stoccolma in occasione della cerimonia;[38] ancora una volta Pablo vuole che l’arte dei Tallone consacri alla storia una sua opera, ancora una volta il profondo sentimento di amicizia e affetto nei confronti di Alberto e Bianca lo porta ad aiutare come può la stamperia di Alpignano e chi la vive ogni giorno.[39]

Bianca Tallone e Pablo Neruda si incontrano per l’ultima volta qualche tempo dopo, a Milano. Il poeta da qualche tempo è malato, ma non riesce a rinunciare all’incarico di ambasciatore del Cile a Parigi, né tantomeno alla mostra sui pittori della Resistenza spagnola organizzata nel capoluogo lombardo, a cui assiste con interesse.

Bianca lo vede all’Hôtel Duomo, mentre mangia scampi fritti, la sua passione.[40]

Appena lui mi ha visto, mi è corso incontro, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Ho un regalo per te», e mi ha dato una scatolina di legno e argento. «Questi gemelli li ho fatti fare apposta per te da un artigiano che lavora l’argento, in Cile». Erano due gemelli a forma di locomotiva. Uguale uguale a quella del nostro giardino. Guarda caso quella sera avevo proprio la camicetta giusta, con le asole. Allora lui si è avvicinato e ha infilato i due gemelli ai polsini bianchi della mia camicetta. Quella è stata l’unica volta in cui li ho indossati.[41]

Il 23 settembre 1973 Pablo Neruda si spegne guardando il mare della sua Isla Negra. È Matilde, quasi un mese dopo, a dare il triste annuncio a Bianca, con una telefonata proveniente dal Venezuela.[42] Tra le due donne, entrambe giovani vedove, la corrispondenza continuerà, in nome dell’amicizia profonda che le lega e che animava i due uomini da loro molto amati.

Pablo ha però in serbo per i Tallone un’ultima sorpresa “postuma”: è l’inizio di novembre quando Matilde scrive a Bianca per ringraziarla del conforto dopo il lutto.[43] La informa che il poeta ha lasciato sei libri inediti; uno di questi è stato riservato appositamente per Bianca, qualora avesse interesse nel pubblicarlo.

La vicenda di questo caso, che unisce per l’ultima volta il nome di Neruda a quello dei Tallone, è degna di nota: l’inedito arriva ad Alpignano il 26 novembre, la lettera che lo accompagna lo presenta con lo stravagante titolo di 2000.[44] La stampa tanto attesa cade improvvisamente nell’oblio, il manoscritto scompare. Solo trent’anni dopo, aprendo un cassetto, il ritrovamento. 2000 viene composto, assieme alla lettera di Matilde e a un saggio dello storico traduttore Giuseppe Bellini, nel 2004, in occasione del centenario della nascita di Neruda.[45]

Anche a distanza di tempo, Alberto Tallone e Pablo Neruda rimangono uniti indissolubilmente; a rappresentare questo legame profondo e straordinario, la locomotora, simbolo del loro destino condiviso.

Valentina Giusti

 

[1] Cfr. Maurizio Pallante, I Tallone, p. 95.

[2] È ad oggi la più antica macchina italiana conservata.

[3] Armando Torno, La tipografia dei Tallone, un carattere per il futuro, in “Corriere della Sera”, 10 ottobre 2010.

[4] Pablo Neruda, pseudonimo legalmente riconosciuto di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, nato nel 1904 a Parral (Cile), è tra le più importanti personalità della letteratura latino-americana contemporanea. Ricopre anche diverse cariche politiche: console in Birmania, a Barcellona, a Batavia, a Singapore; riceve l’incarico di console generale a Città del Messico, dove ha la possibilità di rappresentare la propria patria. Il 4 marzo 1945 ottiene la sua prima nomina ufficiale come senatore indipendente in Cile e pochi mesi dopo prende la tessera del Partito Comunista. A causa però dei rapporti tesi tra Neruda e il candidato ufficiale del Partito Radicale per le elezioni presidenziali, Gabriel González Videla, per il quale in un primo momento dirige la campagna elettorale, il poeta culmina in un drammatico discorso (il celebre Yo acuso del 1948) dove vengono elencati i nomi dei minatori tenuti prigionieri nella regione di Bío-Bío, a Lota, per reprimere uno sciopero. Videla emana un ordine d’arresto contro Neruda, per sottrarsi al quale il poeta è costretto all’esilio. Può ritornare in patria solo con l’avvento al potere dell’amico Salvador Allende. Definito da Gabriel García Márquez «il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua» e considerato da Harold Bloom tra gli scrittori più rappresentativi del canone occidentale, è insignito nel 1971 del Premio Nobel per la letteratura – si ricorda anche il premio Lenin per la Pace (1953) e una laurea honoris causa presso Oxford (1965) –. Pablo Neruda muore a Santiago del Cile poco dopo il golpe del generale Augusto Pinochet – a causa del quale stava per andare nuovamente in esilio – nel 1973 (il mistero aleggia attorno alla sua morte: anche se ufficialmente archiviata come causata da un tumore, non si può ancora escludere l’ipotesi di omicidio).

[5] Matilde Urrutia (1912-1985) è una cantante cilena. Incontra per la prima volta Pablo Neruda a Santiago nel 1946, con il quale inizia una relazione clandestina; il poeta, una volta rientrato in Cile, lascia la seconda moglie Delia del Carril per Matilde, con la quale resta sposato dal 1966 fino alla morte. È lei a curare la pubblicazione postuma del libro di memorie di Neruda, Confieso que he vivido (Confesso che ho vissuto). Queste e altre attività l’hanno portata in conflitto con il governo di Pinochet, che ha più volte cercato di sopprimere la memoria di Neruda.

[6] «Quindici anni fa il poeta cileno vide per la prima volta un libro stampato dal tipografo-editore piemontese: erano le poesie di Baudelaire, senza note né commento, presentate in una veste che giudicò perfetta. Da allora nutrì il desiderio di conoscere Alberto Tallone». Da Pablo Neruda parla dei poeti italiani, in “La Stampa”, 8 giugno 1962.

[7] Questa ode vede la stampa nel 1983, tradotta in Ode alla Tipografia, quando il poeta e il suo stampatore sono già morti: la composizione è a cura dei figli di Alberto, Aldo e Enrico. Così scrive Pablo Neruda in questo poema: «Lettere, / continuate a cadere / come pioggia necessaria / sulla mia strada. / Lettere di tutto / ciò che vive / e che muore, / lettere di luce, di luna, / di silenzio, / d’acqua, / vi amo, / e in voi / raccolgo / non solo il pensiero, / e il combattimento, / ma i vostri vestiti, / i sensi / e i suoni: / A / di gloriosa avena, / T / di trigo [frumento] e di torre / e M / come il tuo nome / di mela». Oltre alle iniziali del futuro amico Alberto è presente la lettera M, riferita all’amata Matilde. Cfr. Pablo Neruda, Oda a la Tipografía, Tallone Editore, Alpignano 1983: Id., Ode alla Tipografia, a cura di Giuseppe Bellini, ivi, 2010; «Ode alla Tipografia»: Neruda e Tallone rivivono con Colophon, in “Corriere delle Alpi”, 4 gennaio 2011.

[8] Giorgio Calcagno, La locomotiva di Neruda, in «La Stampa», Torino, 23 ottobre 1997.

[9] Pablo Neruda, Addio a Tallone, in La Coppa di Sangue, traduzione italiana di Giuseppe Bellini, Tallone Editore, Alpignano 1997, p. 83.

[10] «A pranzo ci ha raccontato che il suo babbo di mestiere faceva il conducente di locomotive e che spesso lui, da piccolo, lo aveva accompagnato in uno dei suoi viaggi attraverso il Cile. Era pieno di gioia perché la nostra locomotiva gli ricordava tanto quella del padre», così Bianca ricorda il primo incontro con Neruda in un’intervista rilasciata a Sara Beltrame e contenuta in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto, supplemento a “Colors”, 62 (2004) realizzato da Dipartimento Scrittura Creativa di Fabrica.

[11] «Querido maestro, amico y hermano, je vous envoie seulement deux mots de joie à cause du grand bonheur de vous avoir connu, votre compañera Blanca, votre maison, votre imprimerie légendaire, le vin (j’ai oublié une bouteille), la vieille maison au salon rougeorangegranate, le bistrot magnifique et last but not last la locomotive dont la fumée cordiale est encore dans nos cœurs»; Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Arezzo, 14 giugno 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone. Tutte le lettere di Neruda e Matilde sono state dattilografate in «Cher ami…». Lettere di Pablo Neruda a Alberto e Bianca Tallone, a cura di Antonio Motta, in “Nuova Antologia”, 2229 (2004), pp. 178-189.

[12] Giuseppe Bellini, nato nel 1923, ha insegnato presso diverse università italiane: tra le cattedre ricoperte si ricorda quella di Letteratura Spagnola e di Letteratura ispanoamericana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Bocconi di Milano e di Lingua e Letteratura spagnola presso l’Università Cattolica di Brescia e di Milano. Ha tenuto conferenze in università europee e americane e diretto missioni culturali per incarico del Consiglio Nazionale delle Ricerche. È stato premiato con molti riconoscimenti ufficiali e gli sono state conferite ben quattro lauree honoris causa (presso le università di Mérida, Salamanca, Perpignan e Napoli). Ad oggi ha pubblicato fino ad oggi 58 volumi di critica letteraria nell’ambito ispanico e americano, più di 500 tra saggi e recensioni, circa 100 volumi di traduzioni e edizioni di testi (specialmente di letteratura spagnola medievale, teatro spagnolo e americano e autori contemporanei).

[13] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Arezzo, 14 giugno 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[14] Ibidem.

[15] Giuseppe Bellini a Pablo Neruda, Roma, 27 giugno 1962, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[16] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Capri, 29 giugno 1962, telegramma, Archivio Tallone.

[17] «Cher ami: voici le titre complet: Sumario Libro primero donde nace la lluvia on peut supprimer Primero et si vous preferez aussi Libro restant seulement donde nace la lluvia». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, dicembre 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[18] «Je suis heureux de voir approcher le moment où le livre sera né». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 20 gennaio 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[19] L’edizione originale in spagnolo fu stampata in 300 esemplari: 15 su Japan Kifì nacré, 50 su vergata Van Gelder Zonen e 235 su Magnani di Pescia.

[20] Pablo Neruda, prefazione a Sommario. Libro dove nasce la pioggia, a cura di Giuseppe Bellini, Tallone Editore, Alpignano 1963, p. 11.

[21] Ibidem.

[22] «Cher ami…». Lettere…, pp. 5-6.

[23] In una lettera gli chiede addirittura dove acquistare l’edizione talloniana di Sumario a Parigi (scrive che alcuni suoi amici «l’ont cherché sans succès»). Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 28 agosto 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[24] Neruda in questa lettera si dimostra un poco abbattuto: «Au revoir, le Nobel a volé sur moi et s’est perdu dans le ciel grec», così scrive; il premio Nobel del 1963 infatti viene assegnato al poeta, saggista e diplomatico greco Giorgos Seferis, “volando” al di sopra del poeta cileno. Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 25 ottobre 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[25] «Cher ami, cet poncho est pour vous. Je l’apporte de notre Amérique avec toute mon amitié et admiration». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Parigi, 7 aprile 1964, biglietto manoscritto, Archivio Tallone.

[26] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 19 febbraio 1965, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[27] Ibidem.

[28] Alberto e Bianca Tallone a Pablo Neruda, Alpignano, 7 settembre 1965, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[29] Nel medesimo biglietto compare un altro messaggio: «Quando torna nella mia officina?», firmato Madino T..

[30] La cartolina, destinata al “Poeta” Pablo Neruda, reca: «Il tipografo di Neruda che aspetta un nuovo testo: i Poemi in prosa. Con affetto, l’amico Tallone e la sua Bianca». La promessa fatta dal poeta tre anni prima è fissa nella mente dell’editore, anche mentre è impegnato nella mostra madrilena sulle edizioni dantesche. Alberto e Bianca Tallone a Pablo Neruda, Madrid, 25 maggio 1966, cartolina, Archivio di Santiago.

[31] «Hier soir nous étion dans une assemblée très élevée et Bianca a lu plusieurs poèmes de Sumario. […] J’ai annoncé que j’attends de vous les “poems en prose”. Quand on pourrait se revoir? Vers la fin du mois je me rends à Paris». Alberto (Madino) e Bianca Tallone a Pablo e Matilde Neruda, Alpignano, 7 gennaio 1967, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[32] Pablo Neruda a Bianca Tallone, Isla Negra, 7 maggio 1968, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[33] Pablo e Matilde Neruda ad Alberto e Bianca Tallone, Isla Negra, 23 maggio 1968, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[34] Pablo Neruda, Addio a Tallone, in La Coppa di Sangue, p. 80. Per l’opera e le edizioni talloniane si veda il capitolo II.2.

[35] Bianca Tallone ad Antonio Motta, 19 novembre 2003, lettera.

[36] «[Pablo Neruda] Mi raccontava sempre di Isla Negra. Ci sedevamo al tavolo, qui, per mangiare – per lui era sempre una festa mangiare insieme e bere il vino rosso – e iniziava a raccontare di Isla Negra. “Devi venire a vedere Isla Negra. Perché non è come tutti i posti di mare che si trovano nel mondo. Lei ha dei fiori, Bianca, dei fiori che arrivano magari fino al soffitto!”. Mi aveva spedito il biglietto per Isla Negra, un giorno, ma io avevo i due bambini piccoli, mio marito era morto, ero sola e così non sono potuta partire. Non ci sono mai andata»; Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[37] Questa la motivazione dell’assegnazione del premio: «per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino ed i sogni del continente [americano]». Cfr. <http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1971> (ultima consultazione 8 gennaio 2016).

[38] «Chère et belle amie Bianca, je vous envoie le Premier Discours, très court. Je pense che peut être on pourrait le faire en cursive (bastardilla) très grande, même 22, comme dans les éditions Foppens, flamandes du XVII ou certaines Bodoni. C’est à vous, charmante autorité, de décider». Pablo Neruda a Bianca Tallone, Normandia, 19 marzo 1972, lettera manoscritta, Archivio Tallone. I caratteri olandesi richiesti da Neruda in questa lettera non vengono adoperati (la stamperia infatti non ne possedeva di tale tipo), si opta invece per i “talloniani” Garamond. Dell’edizione, in lingua spagnola, vengono impressi 270 esemplari su carta Sant’Ilario di Pescia, 35 su carta Japan Hosho, 25 su carta Torinoko Kozu, 10 su carta Torinoko Elfenbeine. La prima copia del Discorso di Stoccolma viene inviata al presidente del Cile Salvador Allende, amico fraterno di Neruda.

[39] «Siamo diventati subito amici, dal primo giorno. Quando mio marito è morto lui mi ha detto: “Bianca, tu devi continuare!”, così mi ha detto e mi ha dato da pubblicare il discorso di Stoccolma, quello del premio Nobel. Allora mi son fatta coraggio e ho iniziato a lavorarci e, mentre stampavo, insegnavo ai miei due figli questo mestiere e loro poi lo hanno insegnato ai loro figli. Era un uomo straordinario!»; Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[40] Cfr. Bianca Tallone ad Antonio Motta, 1 dicembre 2003, lettera.

[41] Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[42] «Si era rifugiata da amici fedeli, dove si sentiva più tranquilla e molto più sicura»; Bianca Tallone ad Antonio Motta, 23 novembre 2003, lettera.

[43] «Queridísima Bianca, muchas gracias por tus cariñosas palabras, que me han servido de consuelo en estos duros momentos de immenso dolor». Matilde Neruda (Urratia) a Bianca Tallone, Isla Negra, 1 novembre 1973, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[44] «Bianca queridísima, aqui te mando este libro de Pablo que lo tituló 2000». Matilde Neruda (Urratia) a Bianca Tallone, Caracas, 26 novembre 1973, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[45] Cfr. Pablo Neruda, 2000, Tallone Editore, Alpignano 2004.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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La casa editrice Tallone: una “bottega rinascimentale” del libro https://editoria.letteratura.it/la-casa-editrice-tallone-una-bottega-rinascimentale-del-libro/ https://editoria.letteratura.it/la-casa-editrice-tallone-una-bottega-rinascimentale-del-libro/#respond Mon, 12 Sep 2022 16:20:48 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8715 La storia della casa editrice Tallone, un unicum nel panorama italiano, in cui ancora oggi ogni libro viene composto interamente in caratteri mobili. La casa editrice Tallone si presenta come un mondo a sé stante. La cura e la speciale dedizione che accompagnano la nascita di ogni singolo libro vanno a trasformarlo in qualcosa di […]

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La storia della casa editrice Tallone, un unicum nel panorama italiano, in cui ancora oggi ogni libro viene composto interamente in caratteri mobili.

La casa editrice Tallone si presenta come un mondo a sé stante. La cura e la speciale dedizione che accompagnano la nascita di ogni singolo libro vanno a trasformarlo in qualcosa di più di un semplice oggetto a stampa: usando le parole di Gianfranco Contini, esso è un «individuo nuovo»,[1] un essere quasi dotato di vita propria, che vibra della stessa energia e passione che anima la famiglia Tallone da più di mezzo secolo. Quello che rende particolarmente interessante e privilegiata la testimonianza talloniana è la volontà di rimanere fedeli non solo alle proprie origini, con un occhio di riguardo a quanto il fondatore Alberto ha voluto trasmettere fin dagli anni di apprendistato a Parigi.[2] Quelle che i Tallone hanno a cuore sono le origini dell’editoria stessa. La scelta di un’impostazione che privilegia la manualità e la totale assenza di industrializzazione del processo tipografico sono prove di grande ricchezza interpretativa e profondità. In questo modo i classici della letteratura europea vengono dotati di «bellezza formale, leggibilità e grande forza espressiva»[3] e brillano all’interno del panorama dell’editoria contemporanea, legata «allo standard industriale della composizione meccanica e alle font elettroniche».[4]

Il fondatore Alberto Tallone: da «più felice  degli operai» a «grande stampatore»

Si può parlare della casa editrice Tallone come di una rappresentazione di quella che era l’antica bottega rinascimentale, dove il libro veniva progettato, stampato e venduto. Tenendo in considerazione ciò, non stupisce che il fondatore Alberto venga definito come personalità che ha riunito in sé le figure di editore, stampatore e libraio, esattamente come accadeva secoli fa. La sua storia è esemplificatrice di un percorso di vita all’insegna della cultura e della passione per l’oggetto-libro, dove la volontà di raggiungere i propri obiettivi si allinea alla necessità umana di seguire e realizzare i propri sogni.

Alberto Tallone nasce il 12 febbraio 1898 a Bergamo, all’interno di una famiglia numerosa (sarebbe arrivato a contare quattro fratelli e ben sei sorelle). I natali sono quanto più favorevoli per l’elevatezza culturale che caratterizza i genitori: il padre, Cesare, è un pittore, fregiato di numerosi riconoscimenti e apprezzato per le sue qualità di ritrattista e paesaggista. L’Esposizione Nazionale delle Belle Arti, svoltasi a Roma nel 1883, segna una svolta nella sua vita, sia per l’acquisizione per tremila lire del suo Trionfo del Cristianesimo da parte del principe Marcantonio Borghese, sia per l’incontro fortuito con Eleonora Tango. Di dieci anni più giovane di Cesare, la donna, di nobile origine partenopea, nota per la sua sensibilità e cultura, con particolare predisposizione per la poesia, rimane affascinata dal pittore, tanto che i due di lì a qualche anno convolano a nozze e si trasferiscono a Bergamo (dove Cesare aveva ottenuto il ruolo di Direttore presso l’Accademia Carrara[5]).

Nonostante l’assenza relativamente costante del marito – l’attività della pittura unita all’insegnamento tengono Cesare lontano da casa – Eleonora riesce a combinare l’amore per la poesia con il suo pressoché perenne stato interessante (dieci figli su undici vengono messi al mondo tra il 1889 e il 1898) e con una famiglia che di anno in anno si fa sempre più numerosa e bisognosa di cure e attenzioni. I suoi sforzi saranno ricompensati dal profondo affetto filiale e addirittura da una “consacrazione letteraria” ad opera di Alberto stesso: egli infatti ritroverà, anni dopo la scomparsa di Eleonora, due sacchetti di iuta pieni di foglietti volanti, dove la madre era solita appuntare pensieri e versi. Ammirato dalla straordinaria serenità con cui ella aveva affrontato una quotidianità non facile, sia dal punto di vista economico che affettivo (infatti perse quattro figlie in età precoce, con Cesare non ebbe mai un rapporto facile e anzi dovette sopportare la scoperta di una relazione extraconiugale del marito e della presenza di due figli, accolti poi in casa da Eleonora stessa), Alberto deciderà di realizzare due poesie con i foglietti della madre e di stamparli. Sulla plaquette datata 1946 comparirà anche un ricordo toccante della figura di Eleonora, da sempre fondamentale per la formazione culturale e umana dei figli:

Questi [i figli], nei versi della Madre rivivono una vita familiare che, governata dall’arte, spesso contraria alle realtà quotidiane, fu ardua e ineguale. Mamma Tallone visse i suoi sacrifizi, educò i figli nelle asprezze e nelle gentilezze della vita, assorta in un rapimento lirico. Versava amore e dolore in parole di poesia schietta. L’instabilità di un’esistenza pellegrinante disperse le carte della sua confessione.[6] Queste poesie si sono salvate: la Mamma pensava di affinarne ancora l’espressione. Quali sono, i figli vi ascoltano un messaggio benedicente. Uno di questi, il tipografo, piamente le stampa.[7]

È interessante come all’interno di questa citazione Alberto si autodefinisca con tranquillità «tipografo», senza sentire il bisogno di sottolineare o motivare questa denominazione. In effetti sin dall’infanzia egli coltiva la sua passione per la letteratura e per il mondo della cultura, senza nessun tipo di freno; e non è il solo. Tutti i figli Tallone dimostrano una particolare propensione per questo o quell’aspetto del mondo artistico e più genericamente legato alle scienze umane: tre sorelle sposano giovani intellettuali molto attivi durante gli anni venti del Novecento, letterati, critici d’arte e docenti di filosofia – e non si può trascurare l’aneddoto della storia d’amore “mancata” tra Ponina Tallone e Cesare Pavese, incantato dalla bravura al piano della giovane e dalla sua intelligenza, ma amaramente rifiutato da lei –. I quattro figli maschi seguono la strada artistica a loro più affine: da Ermanno, detto Chicco, che sceglie l’antiquariato, a Cesare Augusto, che porta la passione per il pianoforte a livelli tali da arrivare a costruirli e ad accordarli, al più celebre Guido, che segue le linee paterne affermandosi come pittore celebre a livello europeo (si sa di contatti con Kokoschka e Paul Klee), fino ad Alberto.

Egli sperimenta la strada del teatro, debuttando nel 1916 accanto a Paola Borboni con Il fior della vita, ma ha nel cuore i libri. La sua passione da bibliofilo lo porta ad aprire la biblioteca antiquaria di via Borgonuovo a Milano, dove ha come socio Walter Toscanini, figlio del celebre direttore d’orchestra Arturo. Nonostante il favore con cui il panorama culturale milanese lo accoglie (grazie al nome celebre del padre ma anche alle prospettive positive offerte dal cognato e critico d’arte Enrico Somaré), gli introiti della libreria a malapena coprono le uscite, a causa della tendenza smodata all’acquisto di Alberto: in lui, più che il commerciante, prevale il collezionista. Inoltre si sente sempre più oppresso in quella volontà di fare, di intervenire in prima linea nella creazione dei libri; fare da intermediario tra essi e i compratori non gli basta. Per questo motivo, dopo una quindicina di anni di attività, decide di abbandonare la sicurezza milanese e «di avviare i primi passi, con l’umiltà di un garzone di bottega, lungo la strada per cui si sentiva portato»[8]: arriva nel 1932 a Parigi, più precisamente a Châtenay Malabry, per apprendere l’arte della stampa presso la tipografia di Maurice Darantiere.[9]

Gli esordi sono promettenti: il vecchio maestro tipografo non si pente di aver accolto sotto la sua ala un apprendista ormai non più giovane (Alberto ha già trentuno anni quando arriva in Francia), e d’altronde il fatto che egli si sia presentato presso di lui con una lettera di presentazione firmata dalla celebre Sibilla Aleramo ha sicuramente contribuito. Lo stesso Alberto dimostra di non essere mai stato più felice in vita sua, come si può capire dalla sua prima opera tipografica: si tratta di una lettera, esemplare unico, inviata alla madre Eleonora il 9 settembre 1932, pochi mesi dopo l’inizio del suo apprendistato.

Cara mamma,
il Signor Darantiere è molto buono, le ore passano nella sua stamperia velocissimamente.
I compagni di lavoro sono dei pazienti maestri. Darantiere mi farà comporre un volumetto che sarà tirato a soli sei esemplari; nell’achevé d’imprimer sarà scritto: «M. Tallone a composé le texte». Questa lettera è stata da me composta con caratteri Caslon corpo 20.
Scrivi spesso al più felice degli operai: il tuo figlio
Madino[10]

Il «volumetto» di cui Alberto parla alla madre è effettivamente minuscolo, di appena tredici pagine di testo; si tratta di La vie de Sainte Thays pénitente escrite par un ancient auteur grec; ogni esemplare della ridottissima tiratura è dedicato ad personam e, nonostante manchi la data (anche se dalle fonti che abbiamo il 1932 sembra l’anno da prendere in considerazione), è interessante come invece sia presente nel colophon la dicitura «Ce livre a été composé aux ateliers de la Vallée aux Loups[11] chez Maurice Darantiere par Alberto Tallone»: insomma, anche se non proprio con lo stesso rilievo auspicato, Madino mantiene la promessa fatta a Mamma Tallone.

La prima esperienza significativa, da considerare come il primo progetto editoriale di ampio respiro, arriva nel 1933 quando, grazie alla collaborazione di Léon Pichon,[12] Alberto inaugura la collana “Maestri delle Umane Lettere editi da tipografi artisti”: è chiara in questa idea la volontà di esaltare ogni nazione europea con opere edite in maniera accurata e precisa nel dettaglio, con la collaborazione dei professionisti più celebrati. Non a caso Alberto sceglie la Vita Nuova dantesca come primo esemplare della collana, un’opera dove si possono già riscontrare «l’eleganza architettonica dell’impaginazione, l’equilibrio tra spazi e pieni, l’estrosa armonia dei rapporti tra prosa e versi, tra tondi e corsivi; la generosa libertà distributiva dei margini»[13] che ancora adesso caratterizzano la produzione talloniana. Alberto riconferma la sua passione per la letteratura italiana presentando come secondogenito della collana i Canti di Giacomo Leopardi,[14] edito stavolta in collaborazione con il maestro Darantiere. È dopo qualche anno, nel 1938, che quest’ultimo capisce di aver trovato nel «più felice degli operai» il suo degno erede: l’officina passa nelle mani di Alberto, nella nuova sede parigina dell’Hôtel de Sagonne.[15]

La collana nel frattempo si amplia: Alberto dedica le sue attenzioni oltre che ad autori italiani come Foscolo e Parini[16] anche a Keats, del quale stampa le Odi, e a Racine e alla sua Phèdre. È soprattutto grazie a quest’ultima opera che il quasi quarantenne Alberto viene proiettato nel panorama culturale ed editoriale della Parigi contemporanea. Il responsabile di questo salto di qualità è un grande poeta francese, Paul Valéry:[17] egli stesso racconta di essersi fermato, mentre si incamminava verso l’Accademia di Francia, davanti a una libreria sulla Senna, pieno di stupore e incanto. «Era esposta, in grande formato e stampata a caratteri molto belli, una pagina intera di versi. Si produsse allora, tra me stesso e quel nobile frammento di architettura, uno scambio singolare».[18] Il poeta sentì in quel momento il bisogno di conoscere chi fosse il fautore di tanta perfezione stilistica, tale da essere definita «architettura»: è così che entra in contatto per la prima volta con Alberto, con il quale si complimenta per l’ottima edizione del testo in vetrina (per l’appunto la Phèdre) e al quale chiede di collaborare. «Dopo qualche anno i nomi del maestro di pensieri e del maestro di segni […] apparivano congiunti in un libro di nivale bellezza, degno del nome che portava in fronte: L’Ange».[19]

La fama raggiunge Alberto come un fulmine: viene apprezzato non solo come valido membro della società letteraria parigina, ma anche come solido punto di raccordo tra due diverse culture, da sempre sorelle: quella italiana e quella d’oltralpe. Purtroppo, allo stesso modo, il fulmine colpisce l’editore-tipografo in un modo che non avrebbe mai potuto prevedere: il 10 giugno 1940 le truppe fasciste invadono Parigi. Alberto, essendo italiano in terra francese, con lo svantaggio di essere conosciuto pubblicamente, viene prelevato con facilità e rinchiuso nel campo di concentramento per “stranieri indesiderabili” a Le Vernet, vicino ai monti Pirenei.[20]

La fortuna gli arride, dopo tre mesi di detenzione Alberto viene rilasciato e può riprendere a pieno ritmo la sua attività tipografica a Parigi,[21] nonostante le restrizioni e le difficoltà legate al regime nazista. La passione per il suo lavoro e per quanto aveva lasciato a Parigi, assieme a una forte empatia, lo avevano accompagnato anche all’interno del campo di prigionia; Pallante riporta un aneddoto legato a quel momento.

Nei pochi minuti che gli furono concessi per radunare un po’ di effetti personali [prima di essere trasferito a Le Vernet], per deformazione professionale mise nella valigia alcuni ritagli della carta che si era fatta appositamente confezionare per La Divina Commedia, di cui aveva appena finito di stampare l’Inferno. Quei ritagli di carta, che recavano impresso in filigrana il nome di Dante, si rivelarono di un’utilità insperata, poiché servirono per ricavare delle cartoline postali con cui i prigionieri italiani del Vernet riuscirono a far avere notizie di sé alle loro famiglie in patria.[22]

Alberto non si era curato del costo o del prestigio della carta, aveva fatto ciò che da sempre gli veniva spontaneo: aiutare il prossimo, con generosità e altruismo.

La guerra colpisce duramente anche i fratelli dell’editore-tipografo: addirittura una sorella, Emilia detta Milini, viene uccisa assieme alla figlia Allegra sotto le macerie di un’ala della casa di Alpignano, distrutta da un bombardamento.[23] Questo avvenimento, unito ad altre perdite familiari (prima fra tutti Eleonora),[24] non impedisce però ad Alberto di continuare il lavoro intrapreso, la missione che si è prefisso. Il contatto con Valery prima e con la società letteraria parigina poi raffinano il suo gusto, lo portano a cercare una precisione e una eleganza differente da quella degli altri editori. L’obiettivo si fa sempre più chiaro: si deve raggiungere una perfezione formale mai vista prima.

Si parte dalla carta: deve essere sempre di puro straccio, con un pH neutro, resistente all’usura; l’assenza della pasta di legno e di additivi chimici avrebbe prevenuto l’ingiallimento delle pagine. Alberto richiede solo carte realizzate artigianalmente, quasi dotate di anima e voce, in grado di conservare la parola scritta e sopravvivere al proprio autore – e al proprio editore –.[25] Dalla carta di Rives alla Fabriano, dalla Imperiale giapponese alla carta impalpabile proveniente dalla Cina: le carte vengono scelte come se si avesse a che fare con delle stoffe.

L’inchiostro, categoricamente nero (rarissime e discrete le eccezioni colorate), è denso, pieno, senza riflessi lucidi; si adatta con naturalezza ai caratteri voluti dall’editore-tipografo, anch’essi eleganti e sobri, precisi al dettaglio. I preferiti di Alberto sono il Caslon e il Garamond, che saranno di grande ispirazione per il carattere disegnato e voluto in esclusiva per sé, il Tallone o Palladio.[26]

«Che il bello potesse convogliare il vero, fu un’idea che nacque in lui spontaneamente, e al limite inconsciamente»:[27] così Gianfranco Contini definirà quanto era accaduto in Alberto, quale era stata la sua volontà da quell’istante e per tutto il resto della sua vita (commemorata in Un saluto ai Tallone). Il critico entra in contatto con l’editore-tipografo grazie all’Ange valeriano (di cui ammira «la bellezza formosa», come scrive in una lettera del 1946)[28] e rimane al suo fianco per un progetto dai presupposti monumentali: il Canzoniere di Petrarca, pensato nel 1948 (in vista del sesto centenario della morte di Laura) e edito l’anno successivo. La scelta di contenere l’intera opera in un volume unico in 4° e di comporla in carattere Garamond su carta filigranata con il nome del poeta[29] ben si adegua alla cospicua Nota al testo di Contini, curatore dell’edizione. L’accoglienza del progetto è delle migliori: Giuseppe Ungaretti, scelto per presentare l’opera presso la Galleria dell’Obelisco a Roma, la descrive in una recensione come «Petrarca monumentale» e la eleva al livello di «miracolo»,[30] mentre Hernest Hatch Wilkins[31] scrive ad Alberto: «The volume reminds me of the finest of early Petrarch incunabula».[32]

L’anno successivo, il 1950, è anch’esso molto propizio, non solo da un punto di vista prettamente editoriale. Volendo realizzare un volume su Leonardo da Vinci architetto, Alberto approfitta dell’amicizia tra il fratello Cesare Augusto e il custode del Castello leonardesco per chiedere di esaminare, nel mese di giugno, la documentazione qui conservata. Non può ovviamente sospettare quello che gli sta per accadere.

Il giovane curatore ha una sorella, Bianca. Una ragazza semplice: ha appena concluso le scuole, sta iniziando a insegnare. Una quinta elementare. Quando entra nel museo manca poco a mezzogiorno. Per le due Alberto le ha già chiesto di sposarla. Per convincerla, la invita a Firenze, dove ha organizzato una mostra. Bianca come Alice, si muove fiabesca con gli occhi grandi tra i personaggi che hanno fatto la storia e la cultura: Sibilla Aleramo, Giorgio La Pira, Montale e la Mosca… Due mesi dopo, è sposata a Parigi.[33]

La novella sposa Bianca Bianconi in Tallone si dimostra sin da subito anima affine ad Alberto: sarà sua compagna di vita e di lavoro negli anni a venire. È sotto i migliori auspici che vengono messi al mondo, di lì a qualche anno, Aldo e Enrico;[34] quest’ultimo riceve una particolare benedizione da Mario Bergamo:[35] «se tu seguirai la stella sotto la quale sei nato, i tuoi invidiabili genitori, non fallirai a glorioso porto, lungo il mare di questa vita che impazza in cecità e nell’assurdo».[36]

Bergamo è in realtà solo uno dei numerosi frequentatori della stamperia parigina di Alberto, divenuta nel corso degli anni punto di ritrovo per intellettuali e politici, artisti e personaggi di spicco non solo nel panorama francese, ma anche a livello internazionale. La coppia di neosposi riceve le visite assidue dei già citati Giuseppe Ungaretti e Gianfranco Contini, di Eugenio Montale, di registi come Luchino Visconti e Vittorio De Sica, di artisti come Giorgio De Chirico, Gino Severini, Filippo De Pisis. Il filosofo Jean Zafiropulo cura l’edizione di molti classici greci; il Cardinale Giuseppe Angelo Roncalli, in questo momento nunzio apostolico a Parigi,[37] ama esaminare e collezionare i libri che escono dalle mani di Alberto e Bianca, che si fa sempre più esperta del mestiere del marito.

Il futuro papa Giovanni XXIII apprezza molto il lavoro di Alberto e l’immagine dell’Italia che viene trasmessa ai francesi, e non è il solo: nel 1954 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi trova il tempo, durante una visita di Stato, di recarsi dall’editore-tipografo e di visitare la tanto rinomata stamperia. È in questa occasione che viene conferita ad Alberto l’onorificenza di Grande Ufficiale al merito della Repubblica italiana, in virtù dell’opera di riconciliazione tra la Francia e l’Italia, dopo le lacerazioni della guerra, attraverso la cultura.[38]

A questo punto però Alberto prende una decisione all’apparenza insensata, ma in realtà animata da principi umanistici e intimi: l’uomo, ormai sessantenne, sente il bisogno di ritornare in patria, di allontanarsi dal chiassoso successo parigino e di tornare ancora una volta alle origini della stampa e dell’editoria. Nella mente e nel cuore ha Alpignano, una casa padronale di proprietà di Mamma Tallone, una tra le più antiche rimaste in città.[39] Vuole trasformarla, renderla perfetta fino al più piccolo dettaglio: come un editore-tipografo rinascimentale che si rispetti, anche Alberto vuole la sua “casa-bottega”.

Per far ciò chiama l’architetto Amedeo Albertini, al quale chiede di mantenere intatta la base settecentesca della casa, ma di rivoluzionarla al suo interno. Così accade: al piano terreno, in un ampio locale arioso e illuminato da vetrate, viene installata la stamperia, mentre il piano superiore è riservato agli alloggi della famiglia. Albertini realizza una vera e propria casa-atelier, con un salto all’indietro di quasi trecento anni.[40]

Il 15 ottobre del 1960 i Tallone inaugurano la nuova officina tipografica: Alpignano si riempie di volti prestigiosi appartenenti all’élite italiana. Luigi Einaudi, accompagnato questa volta dalla moglie Ida e dal figlio Giulio, porta come presente una bottiglia di Dolcetto di Dogliani,[41] non più in veste di Presidente della Repubblica, bensì come amico e ammiratore. Le personalità presenti, intellettuali, giornalisti, librai, apprezzano molto la nuova “casa-bottega” e non pochi paragonano il suo proprietario al grande padre dell’editoria, Manuzio.[42]

È proprio su un altro celebre antesignano della stampa, Gutenberg, il primo volume ufficialmente licenziato dalla nuova officina alpignanese e presentato in questa occasione da Ernesto Lama e Jean Zafiropulo, Gutenberg, inventeur de l’imprimerie di Alphonse de Lamartine.

Questo volume è l’esito e l’espressione di una serie di dati di fatto che hanno avuto particolare significato nella attività tipografica e nella vita stessa di Tallone: egli scelse il testo di Lamartine, tra i tanti che poteva scegliere, e volle pubblicare il volume nella lingua originale francese, persino nelle diciture fuori testo (come il colophon), perché alla Francia doveva gli inizi della sua attività tipografica; e volle che la prima opera ufficialmente stampata nella nuova officina, richiamandosi alle fonti primigenie, rendesse omaggio a Gutenberg, al capostipite della gloriosa famiglia cui Tallone si onorava di appartenere; ha infine voluto che questo testo uscisse il 15 ottobre 1960, in perfetta coincidenza con la data della inaugurazione del nuovo stabilimento in Italia.[43]

L’idea molto originale di servire il rinfresco – una rustica merenda piemontese – tra i banconi e le casse dei caratteri contribuisce all’effetto di straniamento che provano un po’ tutti gli invitati: un vero e proprio ritorno al Rinascimento.

La tranquillità della nuova officina in realtà viene presto turbata dal grande boom economico che colpisce il Piemonte negli anni sessanta: anche la piccola Alpignano vede sorgere in tempi record cantieri, palazzi, negozi che modificano per sempre l’assetto della città e richiamano lavoratori da tutte le parti d’Italia. Ne soffre molto la famiglia Tallone, in particolar modo il fratello pittore di Alberto, Guido, così ispirato e innamorato del panorama alpignanese, ora ostruito dalla modernità; lui è ora in preda alla nostalgia per «il suo, il nostro Alpignano com’era a quei tempi, prima che l’immigrazione in massa e la brutale ottusità dei geometri lo profanassero, lo deturpassero, lo distruggessero».[44] Il parco che circonda ancora oggi la tenuta dei Tallone è un ostacolo per l’espansione edilizia: ai fratelli vengono presentate molte offerte per abbattere il boschetto e mantenere l’abitazione. Ovviamente tutto questo viene rifiutato da Alberto e Guido, che decidono prima di posizionare a fianco della casa una molazza e due locomotive,[45] simbolo della passione per i treni che accomuna i fratelli e metafora della loro irremovibilità; solo l’intervento di autorità sovracomunali, come il prefetto e addirittura il Presidente della Repubblica, permettono di mantenere quella che ancora oggi è una anomalia toponomastica carica di significato.

Il prestigio di Alberto, ormai considerato all’unanimità il più grande tipografo del secolo, lo accompagna anche negli ultimi anni della sua vita: la “casa-bottega” riceve spesso le visite di personalità eccezionali: tra le tante si può citare Pablo Neruda (di cui si parlerà nel capitolo II) e Miguel Ángel Asturias, il quale approfitta della laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Venezia nel 1964 per visitare Alpignano e la stamperia.[46]

Sono numerose anche le mostre che vengono organizzate: nel 1963 la mostra Alberto Tallone – Maître Imprimeur all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi[47] ; nel 1965, settimo centenario della nascita di Dante Alighieri, Alberto espone le proprie edizioni dantesche a Roma, Parigi, Londra e, l’anno successivo, a Madrid.[48] Nello stesso anno, Alberto Tallone riceve il Premio Italia tipografica a Bolzano, istituito in occasione del quinto centenario dell’introduzione della stampa in Italia. È il primo di una serie di prestigiose onorificenze: la Medaglia d’Oro al Merito della Cultura e dell’Arte nel 1966, la nomina a Cancelliere dell’Ordine Europeo di Gutenberg nel 1967.

Alberto Tallone muore all’improvviso, a causa di complicazioni insorte dopo un intervento chirurgico, il 25 marzo 1968, sei mesi dopo il fratello Guido, da lui molto amato. Bianca, giovane vedova, non permette però che il lutto e la sofferenza fermino ciò che il marito aveva da sempre nel cuore: la stampa, i caratteri, i libri. Assieme a Aldo e Enrico, ancora piccoli ma tanto volenterosi, riesce a dimostrare la tempra di cui Alberto si era innamorato e l’esperienza che negli anni di officina aveva accumulato; la stamperia e casa editrice Tallone non finisce con Alberto, ma anzi prosegue con prestigio e onore – come dimostra il riconoscimento per il libro più bello del mondo[49] e il Premio del Circolo della Stampa di Torino, entrambi assegnati a Bianca nel 1987 –.

Bianca in realtà non si trova da sola dopo la morte di Alberto: ha al suo fianco collaboratori anziani ma affidabili[50] e gli amici di sempre, i grandi intellettuali che tanto amavano il lavoro del marito e che ora non vogliono che svanisca assieme a lui. È il caso di Pablo Neruda, che invia a Bianca La Copa de Sangre, una raccolta di prose inedite, cui aggiunge in conclusione il commovente Adiós a Tallone in ricordo dell’amico scomparso. Il poeta cileno porge così i suoi omaggi a quello che lui definisce un «grande stampatore»,[51] quella che in fin dei conti è la descrizione migliore della persona che fu Alberto Tallone.

L’attività odierna della casa editrice

Persino la collocazione fisica della stamperia Tallone contribuisce alla magia che avvolge le loro creazioni. In uno spaccato cittadino quotidiano, come può essere la via Diaz ad Alpignano (in provincia di Torino, all’imbocco della Val di Susa), ecco che al numero 9 si presenta all’improvviso un boschetto, messo quasi a difesa delle inconsuete locomotive che troneggiano al fianco dell’edificio, proprietà di campagna dove Eleonora Tango,[52] consorte di Cesare Tallone,[53] era solita portare i figli. Un’ambientazione quasi surreale, che dà l’impressione che un mondo, proprio quello frenetico e rigoroso dell’editoria, abbia voluto prendere una pausa, recuperare quell’aspetto sacrale che circondava l’idea del libro, il quale un tempo aveva caratteristiche tali da elevarlo al rango di oggetto di prestigio e di lusso.

Proprio queste caratteristiche sono rimaste sostanzialmente invariate all’interno della pratica della famiglia Tallone, ad oggi composta dagli eredi di Alberto, il figlio Enrico, la nuora Maria Rosa e i nipoti Elisa, Lorenzo e Eleonora. Una grande perizia tecnica è ciò che caratterizza il lavoro della stamperia, una cura quasi maniacale che riesce a portare in vita esseri unici.

Ogni volume è realizzato a mano, mediante l’utilizzo di caratteri pescati dalle casse tipografiche, come facevano i primi editori tipografi nelle botteghe rinascimentali; un preziosismo che non può e non deve essere considerato simbolo di narcisismo né di arretratezza, bensì si rivela l’elemento di forza di questi testi, elevati grazie alla bellezza del carattere, che porta con sé eleganza e precisione calligrafica. Punzoni disegnati da grandi artisti, passando da Kis a Caslon, ai più recenti Parmentier e Malin, rientrano nella scuderia di caratteri utilizzati, arricchita dal carattere originale Tallone o Palladio.[54]

Il lavoro della composizione richiede grandissima attenzione e cura: lettera affiancata a lettera, parola a parola, riga a riga, con pazienza e tranquillità. Da ciò deriva un fatto all’apparenza banale, ma potente nella sua semplicità: ogni pagina composta è irripetibile, non ne verrà mai realizzata una uguale.

Comporre a mano significa anche essere consapevoli dell’attenzione a tratti folle da rivolgere a certi aspetti. I margini della pagina ad esempio risultano sempre ariosi e ampi senza creare problemi particolari, mentre altri elementi, come gli spazi bianchi tra le parole o l’interlinea, se non calibrati con puntigliosità rischiano di rovinare l’equilibrio armonico della composizione: un lavoro che si riesce a portare a termine solo dopo anni di esperienza e professionalità. Certo è che si cerca di facilitare il processo come si può: si ottiene chiarezza di impaginazione evitando, per quanto possibile, la divisione e il rimando a capo delle parole a fine riga. È sicuramente qualcosa di fuori dalla norma, e «il fatto che ne siano scaturite alcune opere senza un a capo aggiunge soltanto un pizzico di follia che non guasta».[55]

A conferire più prestigio all’oggetto libro che si ha la fortuna di avere tra le mani è la scelta di carta pregiata, proveniente non solo dall’Italia e dall’Europa ma anche da parti del mondo molto più esotiche, come la Cina e il Giappone.[56]

Per quanto riguarda la tipologia del formato, essa normalmente resta su misure perlopiù oblunghe,[57] che quasi ricalcano i caratteri, scelti appositamente per la loro snellezza. Dall’in-quarto grande, quasi in-folio, fino al ventiquattresimo, non si scarta neppure la soluzione intermedia e la sperimentazione, sempre fine all’esaltazione del contenuto dei testi.

Una volta terminato quello che è l’unico passaggio che richiede necessariamente l’aiuto della tecnologia, cioè l’operazione di stampa (che comunque, essendo realizzata mediante una macchina platina Phoenix del 1910, «presuppone sempre un accurato lavoro [manuale] preparatorio e un controllo costante dell’esecuzione»,[58] richiedendo persino l’inserimento dei fogli singoli a mano), si passa alla legatura in brossura a filo refe. Il volume così realizzato viene infatti incollato a una copertina che porta su di sé i dati essenziali dell’opera; scegliere un materiale non rigido è molto funzionale nel consentire un’esperienza di lettura maneggevole, senza però sacrificare la piacevolezza alla vista e al tatto. Ad accogliere definitivamente l’opera è poi la camicia, o chemise, di cartone rigido, a sua volta contenuta in un cofanetto della medesima materia, normalmente carta Ingres (ottima per difendere dalla luce – mortale nemica dei testi – e dalla polvere). Per finire, sul dorso dell’astuccio viene impresso tipograficamente il titolo dell’opera ed eventualmente il nome dell’autore, in verticale o in orizzontale. Non sbaglia affatto Pallante quando definisce i volumi Tallone come dotati della «bellezza biologica delle ostriche».[59]

Ogni esemplare viene numerato ed entra a far parte di tirature limitate: ecco di nuovo l’unicità che denota ogni singolo componente del progetto editoriale talloniano, da sempre caratterizzato da una scelta accurata di classici della poesia mondiale, in lingua originale e in traduzione italiana, i cui autori spaziano dai grandi filosofi greci presocratici agli autori moderni e contemporanei – le cure della famiglia Tallone sono state richieste da personalità come Sibilla Aleramo, Cesare Pavese, Primo Levi, i premi Nobel Pablo Neruda e Miguel Ángel Asturias, i contemporanei Márcia Theóphilo e Alda Merini.[60]

Il risultato ottenuto negli anni tramite queste edizioni a stampa è sempre all’insegna dell’ordine, della misura, si potrebbe dire della pace. La decisione, semplice quanto significativa, di riportare il testo per quello che è, senza adornarlo di fregi, colori e illustrazioni (se non in casi particolarmente eccezionali, si veda l’ultima meravigliosa edizione di Le avventure di Pinocchio di Collodi illustrata da Carlo Chiostri),[61] mette il lettore davanti a opere incisive, da scoprire. Sta a lui presentarsi a questi testi con attenzione, pazienza e amore, non a caso le medesime qualità che ogni singolo testo edito Tallone trasmette da ogni singola lettera stampata.

[1] Gianfranco Contini ad Alberto Tallone, Domodossola, 9 settembre 1946, copia dattiloscritta, Archivio Tallone; da Il bello e il vero: Petrarca, Contini e Tallone tra filologia e arte della stampa, catalogo della mostra con antologia di testi e iconografia, a cura di Roberto Cicala e Maria Villano, EDUCatt, Milano 2012, p. 35.

[2] Cfr. Maurizio Pallante, I Tallone, Libri Scheiwiller, Milano 1989.

[3] Presentazione sul sito della casa editrice Tallone: <http://www.talloneeditore.com> (ultima consultazione 7 dicembre 2015).

[4] Ibidem.

[5] È da ricordare tra gli allievi di Cesare anche Pelizza da Volpedo (1868-1907); prima divisionista, poi esponente principale della corrente sociale, è autore del celebre quadro Il quarto stato (1901).

[6] In origine i sacchetti di iuta di Eleonora erano tre, ma durante un trasloco uno di essi andò smarrito, nonostante l’attenzione della donna.

[7] Eleonora Tallone Tango, Due poesia della mamma, Tallone Editore, Parigi 1957; si noti che nel colophon a piè di pagina compare Madino Tallone, il soprannome dato dai familiari ad Alberto.llllllllldcejbncj

[8] Maurizio Pallante, I Tallone, p. 16.

[9] In realtà, prima di approdare alla bottega di Darantiere, è da ricordare una breve esperienza presso la tipografia di Léon Pichon. Entrambi i professionisti erano stati conosciuti in precedenza da Alberto per le sue frequenti visite parigine con lo scopo di scovare libri antichi per la libreria di Milano. Maurice Darantiere (1882-1962) è passato alla storia per aver stampato nel 1922 l’Ulisse di James Joyce per l’editrice e libraia Sylvia Beach, fondatrice della celebre libreria parigina Shakespeare and Company.

[10] Maurizio Pallante, I Tallone, pp. 16-18.

[11] Vallée aux Loups è il nome della residenza dove aveva sede la tipografia di Darantiere, nota anche per aver ospitato dal 1807 al 1818 il fondatore del Romanticismo francese Chateaubriand.

[12] Editore, stampatore e incisore, nasce nel 1872 e muore nel 1945.

[13] Piero Pellizzari, L’opera tipografica di Alberto Tallone, Tallone Editore, Alpignano 1975, p. 18.

[14] L’edizione, in due tomi nel formato in-folio, composta a mano con i caratteri Didot fusi dalla Fonderie Typographique Française, procura a Tallone l’encomio dell’Accademia d’Italia per l’iniziativa editoriale “Maestri delle Umane Lettere editi da tipografi artisti”, in quanto veicolo d’integrazione tra le nazioni europee. Cfr. < http://www.talloneeditore.com> (ultima consultazione 7 dicembre 2015).

[15] Ancora adesso lo stemma dell’Hôtel è adoperato, anche se in maniera con gli anni sempre più saltuaria, come marca editoriale dai Tallone.

[16] Rientrano nella collana le Poesie del Foscolo, edite nel 1938, e Il Giorno del Parini, edito l’anno seguente.

[17] Nato nel 1871 e morto nel 1945, Valéry è noto come scrittore, poeta e aforista. Divenuto una sorta di “poeta nazionale” dopo la prima guerra mondiale, riceve onori di ogni sorta, tra cui l’ammissione all’Accademia di Francia (celebre per gli scopi di vegliare sulla lingua francese e compiere atti di mecenatismo e per la severissima selezione dei quaranta membri) e la presidenza della commissione di sintesi per la cooperazione culturale per l’Esposizione Universale del 1936.

[18] Paul Valéry, «Phèdre» come donna, in “Varietà”, a cura di Stefano Agosti, Rizzoli, Milano 1971, p. 134.

[19] Ettore Serra, Leggenda del santo tipografo, in Piero Pellizzari, L’opera tipografica…, p. XXXI.

[20] Assieme a Tallone, molti celebri antifascisti italiani furono internati a Le Vernet, come Giorgio Braccialarghe e Francesco Leone.

[21] Sono di questi anni la prima delle tre edizioni della Commedia di Dante Alighieri, i Triumphi di Petrarca e una grande quantità di opere della letteratura francese.

[22] Maurizio Pallante, I Tallone, p. 43 e p. 49.

[23] Era il 4 febbraio 1943. Milini era dotata di grande talento musicale, come Ponina: aveva sposato Oreste Ferrari, letterato e poeta.

[24] Mamma Tallone era in realtà già morta da qualche anno, nel 1938.

[25] Cfr. Carlo Magnani, Ricordanze di un cartaio, Tallone Editore, Alpignano 1961.

[26] Il carattere inglese Caslon fu inciso tra il 1722 e il 1734 a Londra. La sua forma solida e aperta permette di ottenere una esemplare e armonica efficacia d’insieme. È il carattere con cui Alberto realizza le prime composizioni durante l’apprendistato a Châtenay-Malabry. Il Garamond, francese, molto più antico (risale al 1532), è rappresentante al massimo grado di chiarezza latina e umanistica. Alberto Tallone lo adopera per la prima volta nel 1949, iniziando un sodalizio che prosegue ininterrotto ancora oggi. Cfr. Alberto Tallone, Manuale tipografico dedicato all’estetica dei caratteri da testo, dei formati e dell’impaginazione, Tallone Editore, Alpignano 2008. Per il carattere Tallone o Palladio si veda il capitolo III.

[27] Gianfranco Contini, Un saluto ai Tallone, in Maurizio Pallante, I Tallone, p. 10.

[28] Gianfranco Contini ad Alberto Tallone, Domodossola, 9 settembre 1946, copia dattiloscritta, Archivio Tallone; da Il bello e il vero…, p. 35.

[29] Tallone scrive a Contini di «aver comandato una carta bellissima, la migliore che si possa fabbricare, una carta bianca velina con la filigrana p e t r a r c a»; in Alberto Tallone a Gianfranco Contini, 26 gennaio 1948, copia dattiloscritta, Fondo Contini presso Fondazione Ezio Franceschini, Certosa del Galluzzo.

[30] «Nella stampa del Canzoniere del Petrarca, vigilata da un critico dell’acuità di un Contini, Tallone ha superato se stesso»; in Giuseppe Ungaretti, Il Canzoniere di F. Petrarca a cura di G. Contini, in “Il Popolo”, Roma, 4 maggio 1950; ora con il titolo Un’edizione monumentale in Id., Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di Mario Diacono e Luciano Rebay, Mondadori, Milano 1974.

[31] Docente alla Harvard University dal 1906 al 1912, Wilkins (1880-1966) è autore di consistenti studi su Francesco Petrarca (Petrarch’s eight years in Milan, Mediaeval Academy of America, Cambridge, Mass. 1958; Petrarchʼs later years, ivi, 1959) e di The invention of the sonnet and the other studies in italian literature, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1959.

[32] Ernest Hatch Wilkins a Alberto Tallone, 18 aprile 1950, copia dattiloscritta, Archivio Tallone; da Il bello e il vero…, p. 51.

[33] Andrea Kerbaker, Bianca Tallone, in “Il Foglio”, 30 novembre 1999.

[34] Aldo Tallone nasce nel 1951 e muore, stroncato da un aneurisma, ad appena 39 anni. Enrico, nato nel 1953, si occupa ancora adesso in prima persona della stamperia ad Alpignano assieme a moglie e figli.

[35] Mario Bergamo (1892-1963), ex-deputato del Parlamento italiano, si avvicina molto alla stamperia dell’Hôtel de Sagonne e ad Alberto condividendo la medesima sorte di emigrato in Francia (Bergamo però, a differenza di Alberto, si rifugia a Parigi per motivazioni antifasciste).

[36] Maurizio Pallante, I Tallone, p. 59.

[37] La famiglia Tallone conserva ancora un biglietto autografo del futuro papa Giovanni XXIII, risalente alla prima visita dell’allora Cardinale in rue des Tournelles nell’agosto del 1947. Esso riporta: «Mgr Ange-Joseph Roncalli Archeveque tit. de Mesembria. Nunce Apostolique. Al nobilissimo e caro Alberto Tallone, già stampatore fuoriclasse, rinnovo il mio vivo compiacimento per i successi finora ottenuti e l’augurio cordiale di sempre più copiose e nobili affermazioni di buon gusto italico in terra di Francia». In occasione della stampa dell’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis nel 1953, Alberto adopera il nuovo carattere Tallone con la benedizione del beato che, secondo la testimonianza di Bianca, «talora assisteva alla stampa e leggeva le bozze con molta attenzione e fu felice quando ebbe in mano quest’opera a lui tanto cara». Anche durante il pontificato Roncalli rimane in contatto con la famiglia Tallone: l’ultimo incontro, mancato a causa della improvvisa scomparsa del papa, si sarebbe dovuto tenere in occasione del concerto in Vaticano del pianista Arturo Benedetti Michelangeli, di cui Cesare Augusto Tallone, fratello di Alberto, era accordatore. Cfr. Piero Scapecchi, Un beato correttore. Giovanni XXIII e i Tallone, in “Biblioteche oggi”, 4 (2001), pp. 42-44.

[38] Si tramanda un curioso aneddoto: il Presidente si immedesima a tal punto nell’osservare le novità librarie presenti in stamperia che dimentica su un tavolo, congedandosi, gli occhiali, assolutamente indispensabili a Einaudi per leggere i discorsi ufficiali che avrebbe tenuto di lì a poco all’Eliseo. La situazione viene risolta dall’intervento di un pronto gendarme che, a bordo di una motocicletta, si precipita da Alberto per recuperare i preziosi occhiali.

[39] Si narra che, nel corso della campagna d’Italia (1796-1797), Napoleone Bonaparte abbia riposato per una notte proprio in questa casa, all’epoca appartenente al sotto-prefetto del distretto di Susa Antonio Jaquet.

[40] Si potrebbe dire che Alberto ha tagliato i ponti con la Francia, quasi letteralmente: infatti il treno merci su cui è posto il carico di materiale tipografico e libraio, quaranta tonnellate di peso, che doveva arrivare ad Alpignano riesce giusto in tempo ad attraversare il Ponte di San Luigi alla frontiera tra Mentone e Ventimiglia; immediatamente dopo i piloni del ponte crollano a causa delle infiltrazioni d’acqua provocate dalle piogge ininterrotte dei due mesi precedenti.

[41] Cfr. Armando Torno, La tipografia dei Tallone, un carattere per il futuro, in “Corriere della Sera”, 10 ottobre 2010.

[42] Può bastare come esempio il telegramma inviato ad Alberto da Giovanni Ansaldo, direttore di “Il Mattino” di Napoli, che non è presente all’inaugurazione: «Vostro maestro Manuzio, aprendo sua stamperia at Venezia, mentre stava per calare Carlo VIII scriveva at amico dubitoso per barbarie tempi: “Uomo non est nato per piaceri indegni, ma per pratiche che lo onorino” Stop Voi, tempi nuova barbarie, inaugurate nuova stamperia Stop Che la parola di Aldo sia augurale per voi».

[43] Piero Pellizzari, L’opera tipografica…, pp. 133-134.

[44] Testo inedito del 1976 del musicista Carlo Pinelli. Per Guido Tallone cfr. Fernando Rea, Guido Tallone, 1894-1967, Galleria d’arte, Bergamo 1987.

[45] Detta anche mola, questo pesante arnese è adoperato per fare la carta di stracci; l’esemplare presente ad Alpignano è omaggio della cartiera Burgo di Maslianico. Per le locomotive si veda il capitolo II.

[46] Anche Asturias, come Neruda, aiuta Bianca dopo la morte di Alberto dandole da stampare i suoi Sonetti veneziani. Poeta, scrittore, giornalista e drammaturgo originario del Guatemala, vince il premio Nobel nel 1967.

[47] Tra le novità esposte, i Vangeli, nella nuova traduzione di Claudio Zedda e, in anteprima mondiale, Sumario di Pablo Neruda, pubblicato in lingua spagnola.

[48] In particolare, la mostra a Roma, presso la Libreria Antiquaria Querzola, apre con una conferenza di Giorgio Petrocchi sulla storia delle edizioni dantesche attraverso i secoli. La mostra Special Editions of Dante’s Works published by Alberto Tallone presso l’Institute of Italian Culture di Londra vede la partecipazione di Pablo Neruda in persona.

[49] L’esposizione Schönste Bücher aus aller Welt (I libri più belli del mondo), svoltasi nel mese di settembre a Lipsia, vede la presenza delle Poesie di Foscolo edite da Tallone, a cui viene assegnato il premio d’onore della giuria.

[50] Lavorano ad Alpignano in questo periodo il proto Mario De Nicola e lo stampatore Domenico Abaclat.

[51] Pablo Neruda, Addio a Tallone, in La Coppa di Sangue, traduzione italiana di Giuseppe Bellini, Tallone Editore, Alpignano 1997.

[52] Eleonora Tango in Tallone, madre di Alberto, nasce a Torino nel 1864 e muore a Milano nel 1938.

[53] Il padre di Alberto, Cesare Tallone, nasce a Savona nel 1853 e muore a Milano nel 1919.

[54] Cfr. “Tipo Italia”, 2 (2009), pp. 10-23.

[55] Maurizio Pallante, I Tallone, p. 109.

[56] Negli annali della casa editrice Tallone si possono annoverare la carta di Rives, la Mont-val à la cuve e la Van Gelder Zonen di Olanda (adoperate da Alberto nel periodo parigino); e ancora, la Magnani di Pescia, la Fabriano, la Ventura di Cernobbio, la Amatruda di Amalfi. Dal Giappone arriva la carta Imperiale, dalla Cina esemplari noti per l’impalpabilità. Cfr. ibi, p. 57.

[57] Dal formato più grande al più piccolo: 4° grande (circa cm 25×35); 4° (circa cm 22×34); 8° (circa 19×30); 8° oblungo (circa cm 16×28); 8° album (circa cm 26×19); 16° (circa cm 12×19); 24° (circa cm 10×17); 32° (circa cm 9×15). Cfr. <http://www.talloneeditore.com> (ultima consultazione 7 dicembre 2015).

[58] Maurizio Pallante, I Tallone, p. 111.

[59] Ibidem.

[60] La Aleramo, Pavese e Levi non sono presenti nel catalogo della casa editrice Tallone (disponibile on line), mentre degli altri autori si ritrova: Miguel Ángel Asturias, Sonetti veneziani, Tallone Editore, Alpignano 1973; Márcia Theóphilo, Kupahúba, Albero dello Spirito Santo – Il canto della foresta Amazzonica, ivi, 2000; Ead., Boto, il delfino rosa, ivi, 2012; Alda Merini, Un segreto andare, ivi, 2006. Per il caso di Neruda si veda il capitolo II.

[61] Si fa riferimento a Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Tallone Editore, Alpignano 2014; si tenga presente che la prima edizione fu edita a Parigi nel 1951, senza illustrazioni.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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 Un libro celebra il centenario della nascita di uno dei maggiori editori del Novecento con suoi inediti e testimonianze. Il 1° luglio 2021 cade l’anniversario di colui che lanciò Pasolini, Gadda, Soldati e le “Garzantine”. In Una vita con i libri l’ultima moglie Louise Michail raccoglie appunti lasciati su quaderni (tra cui note di lettura e un diario di guerra) con immagini e interviste, con una nota di Gian Carlo Ferretti.

«È dal passato che a me nascono i sogni» ha scritto Livio Garzanti tra i vari testi inediti raccolti in Una vita con i libri. Appunti, racconti e interviste, come s’intitola il libro postumo che Interlinea fa uscire il giorno in cui cade il centenario della nascita del grande editore, raccogliendo suoi testi inediti, ricordi di scrittori, note di lettura e immagini del suo archivio privato, a cura di Louise Michail Garzanti intervistata da Paolo Di Stefano, con una nota di Gian Carlo Ferretti e interventi vari, da Ernesto Ferrero e Pietro Citati ad Armando Torno e Antonio Gnoli, tra gli altri. Il volume commemorativo ha una tiratura limitata (ibfo 0321 1992282).

Il libro si apre con le parole della moglie Louise Michail, che offre uno scorcio privato su Livio Garzanti uomo ed editore attraverso un’intervista di Paolo Di Stefano; segue un viaggio letterario tra le testimonianze e le note di lettura di autori da lui pubblicati e conosciuti, da Italo Calvino a Pier Paolo Pasolini, da Eugenio Montale a Elsa Morante. Si tratta di un importante ricordo biografico dell’editore che ha segnato il secondo Novecento italiano attraverso racconti, carte private, appunti vari sulle origini dell’impresa editoriale, note personali di lettura, un diario del tempo della guerra e testi creativi. A corredo del testo un apparato di fotografie private, copertine firmate Fulvio Bianconi, lettere, appunti e manoscritti (i testi inediti sono stai trascritti e curati da Martina Vodola, del gruppo di ricerca del Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica).

Una vita con i libri è un dovuto omaggio a un protagonista della cultura italiana contemporanea al quale Interlinea aveva dedicato di recente Un editore imprevedibile. Livio Garzanti di Gian Carlo Ferretti, facendo emergere l’uomo e il creatore di un catalogo dove si alternano Gadda e Mike Spillane, Pasolini e 007, Colazione da Tiffany e Love Story, Magris e Alberoni, premi Nobel e “Garzantine”. Ferretti definisce Garzanti «protagonista suo malgrado». Nell’intervista che apre questo libro la moglie Louis Michail paragona suo marito, l’editore Livio, a un ossimoro, così riassumendo bene i suoi tratti generali. Ossimoro è una forma retorica ormai entrata nell’uso comune, che significa accostamento di due contrari, e in generale antitesi e contraddizione, e in Garzanti anche imprevedibilità. Un editore imprevedibile, infatti, che nei rapporti personali e di lavo-ro poteva essere, volta a volta, amabile e indisponente, suadente e padronale, determinato e capriccioso, e nella sua produzione edito-riale fortemente contraddittorio. Una personalità che, per chi voglia scriverne, sembra sfuggire da tutte le parti, e che comporta perciò la necessità di una fitta aggettivazione. Questo libro, con materiali editi e inediti scelti e curati dalla signora Garzanti a cento anni dalla nascita dell’editore (1° luglio 1921), non è soltanto un bell’omaggio alla sua figura, ma anche un prezioso contributo biografico, documentario, storico e critico sulla sua attività e produzione. A cominciare naturalmente dal lavoro editoriale, anche se si trovano qui molti scritti su altri aspetti importanti e talora meno noti della sua vita, riguardanti la personalità intellettuale, la vita di relazione, il mondo privato, gli interessi culturali, la creatività letteraria. Ne esce insomma una ulteriore e piena conoscenza e valorizzazione di Livio Garzanti».

Pubblichiamo un brano tratto dal libro per gentile concessione.

Ragionamenti di un editore

Gadda Novella Garzanti BianconiLa critica dell’editore vive della passione dell’industria. L’editore non può lasciarsi andare alla passione personale e non può affidarsi alla disinteressata freddezza della critica dei critici, l’editore è una media fra la critica dei critici e la vita, non di se stesso ma degli altri. Ed è soprattutto nel capire gli altri che sta il capire degli editori, sentire il pubblico vuol dire giungere oltre il gusto del pubblico. Il gusto è sempre qualche cosa di freddo, è la conseguenza di un qualche cosa di realizzato. Se l’editore segue il gusto del pubblico, giunge sempre di un minuto in ritardo […]. L’editore è un critico che il pubblico non conosce, un critico che non segue una sua logica rigorosa, non è abituato a giustificarsi. […] Sempre mi capita l’amico, il conoscen­te, l’uno che ti incontra per la prima volta e appena sa che vivi nel mondo editoriale ti affonda di domande e di consigli; sembra tanto facile quanto dar consigli e far critiche a un editore. Si iniziano forti discorsoni, e si discute, che mai si arrivi a un punto. L’editore è un industriale come tutti gli altri, deve conoscere la sua clientela e deve saperla accontentare, il libro è per l’editore un prodotto come gli altri, bisogna che piaccia e bisogna che sia ben presentato. Lanciare un libro è come lanciare un lucido da scarpe. Questa è la conclusione cui mi par di dover giungere un’altra volta dopo lunghe discussioni con amici e conoscenti, mi sembra semplice e pure quel che mi han detto tanti librai e tanti che passano la loro vita vicino ai banchi di vendita. Poi quando si parla con i colleghi e si discute d’un libro di una collana, mi trovo spesso a fare la parte del critico più raffinato. C’è un dovere cui l’editore deve ubbidire, un dovere verso la cultura, verso la morale.

[Livio Garzanti, manoscritto, senza data]

Livio Garzanti, Una vita con i libri. Appunti, racconti e interviste, a cura di Louise Michail Garzanti intervistata da Paolo Di Stefano, con una nota di Gian Carlo Ferretti, Interlinea, Novara 2021, pp. 168, euro 18, ISBN 978-88-6857-387-4
www.interlinea.com


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Un libro di riferimento sui meccanismi dell’editoria https://editoria.letteratura.it/meccanismi-editoria/ https://editoria.letteratura.it/meccanismi-editoria/#respond Sat, 20 Feb 2021 15:47:43 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8475 Un viaggio nella produzione editoriale per interpretare i cambiamenti della società attuale: casi attuali e una prospettiva sulle nuove frontiere dopo il Covid-19 in "I meccanismi dell’editoria" di Roberto Cicala edito dal Mulino.

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Un viaggio nella f
iliera editoriale per interpretare i cambiamenti della società attuale: un volume di aggiornamento per chi vuole entrare nel mondo dei libri e per gli addetti ai lavori, con casi attuali e una prospettiva sulle nuove frontiere tecnologiche e organizzative dopo il Covid-19 e grazie all’intelligenza artificiale. Tutto questo in I meccanismi dell’editoria di Roberto Cicala edito dal Mulino.

«L’editoria sta cambiando ma è difficile capire quale sarà la dimensione nuova e soprattutto quella futura. Tutti pensiamo di conoscere questo oggetto, apparentemente semplice nel suo manifestarsi, in un parallelepipedo di carta e inchiostro più o meno tascabile oppure in uno schermo più o meno portatile; tuttavia questo prodotto culturale, vecchio di oltre cinque secoli e sempre nuovo anche nelle sue forme digitali, ha una complessità insita nei meccanismi della sua filiera, dall’autore al lettore». Le quasi 400 pagine del volume di Roberto Cicala sono il punto di partenza per un viaggio dietro le quinte di un best seller, di un’edizione di studio, di un testo scolastico o di un e-book o ancora un audiolibro, alla scoperta di professioni, processi, tecnologie, azioni comunicative e tipologie di ricezione che stanno attraversando trasformazioni, ma che possono essere conosciute, interpretate e vissute al meglio soltanto a patto di non disattendere l’esperienza maturata fin qui, soprattutto nel Novecento.

DENTRO IL LIBRO

Il libro edito dal Mulino nella collana “Itinerari” intende offrire un’introduzione aggiornata all’universo librario attuale, ai mestieri culturali dentro e fuori le case editrici, fino alle più diverse consuetudini di lettura, collocandosi all’interno della vasta bibliografia di settore, tra le indagini più storiografiche e gli strumenti più tecnici. Il metodo privilegia l’esperienza e l’esemplificazione, fondendo la teoria di un manuale sui meccanismi della filiera con la pratica di oltre sessanta case study legati alla contemporaneità dell’editoria italiana, con una profondità storica che va dai primi «Gialli» Mondadori a Harry Potter, da Calvino a Eco, dal self publishing alle piattaforme social di crowdfunding.

LA VOCE DEI PROTAGONISTI

Il taglio saggistico, con molte citazioni che fanno ascoltare la voce degli addetti ai lavori, lascia il posto nella parte centrale ad approfondimenti più formativi, anche sulla terminologia di settore, con un glossario italiano e inglese di riepilogo e con contenuti extra nello spazio web Pandoracampus, dove sono presenti indici di ricerca aggiuntivi (di case editrici, collane, periodici, opere letterarie citate), aggiornamenti e materiali ulteriori, anche multimediali e video.

Come scrive l’autore, docente universitario ed editore di riferimento nel campo della poesia e della saggistica letteraria, «è un diario di viaggio esteriore e interiore, materiale e mentale, che ricostruisce e ricompone il complesso delle parti che costituiscono la macchina editoriale e che sono tra loro collegate in modo da ottenere gli effetti sperati: lo stupore di una storia che commuove in un romanzo, l’emozione di un pensiero suscitato in un saggio, l’entusiasmo di poter conoscere un mondo inesplorato in un manuale, le parole che non si trovavano rivelatesi d’un tratto in una poesia, i fenomeni emergenti che traghettano le nostre narrazioni in un mondo liquido e interattivo».

UNA PROSPETTIVA ATTUALE E FUTURA

Alla base sta una grande fiducia nelle parole perché, afferma ancora Cicala, «esiste un ruolo partecipato e responsabile di gestire ogni testo, non soltanto da parte di chi lavora direttamente all’allestimento di un libro, alla cui pratica queste pagine sono un approccio, ma anche da parte di chi desidera informarsi e aggiornarsi per vivere più pienamente l’uso delle parole nella propria funzione professionale e nel ruolo comune di lettori: insegnanti e formatori, operatori della comunicazione, addetti alle relazioni pubbliche in diversi contesti, anche in ambiti scientifici e tecnici. E non va dimenticata una lezione fondamentale dell’editoria utile per tutti: l’importanza di saper valutare l’apporto delle diverse competenze in un’ottica di équipe. Un libro è sempre un’opera collettiva e la conoscenza della filiera giova a una lettura più consapevole».

Significativa è poi la dedica del volume: «ai giovani che da vent’anni accompagno in questo viaggio di conoscenza dentro i meccanismi del mondo dell’editoria e che continuano ad accompagnarmi in una consapevolezza sempre nuova sul futuro dei libri nelle loro mani».

Alcuni dei casi editoriali trattati nel volume

L’officina delle streghe, dal Nome della rosa alla Chimera; Gli incipit di Pavese (e i finali di un romanzo); Le tre teste di Erich Linder; Il caso Harry Potter e il nome di Albus Silente; Il Signore degli Anelli: traduzioni con polemiche e denunce; I giudizi di Bobi Bazlen , suggeritore da Montale ad Adelphi; Sciascia ispiratore di Sellerio; Contini curatore filologo dello Struzzo; Le storie delle bambine ribelli progettate tra social e crowdfunding; La solitudine dei numeri primi: un successo di squadra; L’«editore protagonista» e altri tipi secondo Bompiani; L’«editore ideale» di Piero Gobetti; Il decalogo di Arnoldo Mondadori; Esempio di un contratto di edizione; Il caso Dottor Živago con diritti su scala mondiale; Categorie di lettori di… copertine; «Gialli» Mondadori: la collana che dà il nome a un genere; Ungaretti diventa un classico inaugurando «I Meridiani»; Emme di Rosellina Archinto: come svecchiare i libri per l’infanzia; Il nuovo tascabile italiano: 1/«Bur; Il nuovo tascabile italiano: 2/«Gli Oscar»; I risvolti critici dei «Gettoni» e lo strappo di Fenoglio; Le «riunioni del mercoledì» dell’Einaudi; Il gattopardo postumo, rifiutato ma non del tutto; Le scritture «servili» di Calvino per «i libri degli altri»; Sereni, il direttore editoriale con la passione per la poesia; Quando cambia lo statuto del testo: l’editing pesante di Vittorini; La donna che corregge gli scrittori da casa: Grazia Cherchi; Uniformare: esemplificazione di norme redazionali; I «castelli di carte» di Zanichelli: un lavoro collettivo da 150 anni; Il balletto dei titoli: tra Elsa Morante e Mario Rigoni Stern; L’importanza delle illustrazioni nella storia di Salani; La grafica Penguin dell’italiano Facetti; I simboli Uni di correzione; I formati di stampa e il caso Iperborea; L’ecologia al quadrato della carta con le alghe della laguna di Venezia; Il mito del Garamond dal Rinascimento a Steve Jobs; Stampare a caratteri mobili oggi: Tallone, Casiraghy e gli altri; Come leggere le cifre dell’Isbn; Ipertesto, bit e compressione: le basi dell’editoria multimediale; Dalla pietra alla rete: l’internazionalizzazione digitale di De Agostini; Soldati e Mondadori, il grande anticipo e la coda di paglia; La logistica di Messaggerie: un gigante editoriale; L’amica geniale tra ufficio stampa e passaparola; 1974: grande pubblicità e piccolo prezzo per La storia di Elsa Morante; 1975: l’attesa e il lancio internazionale di Horcynus Orca; Il valore delle code in fiera per avere una dedica di Zerocalcare; Quali premi contano di più? Lo Strega e gli altri; Una storia estera: le edizioni Gallimard; Camilleri nel mondo e fuori dal libro; Il Mulino: da amici lettori a editori; I diritti dei lettori di Rodari e Pennac; La fatwa ai versetti di Salman Rushdie; Per una lettura accessibile ai disabili: il progetto Lia; Il primo archivio letterario italiano: Il Fondo Manoscritti di Maria Corti; Cataloghi storici: il caso della prima university press, Vita e Pensiero; Gomorra di Saviano: un made in Italy transmediale; Audible e la voce delle parole: una tendenza; e altri casi nel testo.

La scheda del volume:
Roberto Cicala, I meccanismi dell’editoria. Il mondo dei libri dall’autore al lettore. IL MULINO, collana “Itinerari, pp. 272, euro 24, ISBN 978-88-15-29220-9



Booktrailer su YouTube: clicca qui.
Webinar di presentazione dei contenuti del libro e della piattaforma Pandoracampus: clicca qui.

I capitoli. Premessa. – INTRODUZIONE. UN LIBRO OGGI. – I. Quale prodotto culturale?. – II. Quale paradigma?. – LA STO­RIA DI UN LIBRO: DALL’AUTORE AL LETTORE. – I. Alle origini dei testi: la scrittura. – II. Fuori dalla casa editrice: consulenze e collaborazioni. – III. Dentro la casa editrice: organizzazione, editori, contratti. – IV. Collane tra generi e paratesto. – V. I testi in redazione: tra editing e grafica. – VI. La produzione del supporto: carta e caratteri in tipografia, legatoria e digitale. – VII. La promozione: il lancio del libro. – VIII. La lettura: spazi, rice­zione e nuove forme. – CONCLUSIONE. I LIBRI DOMANI? – I. Aria di pessimismo sulla situazione attuale. – II. Perché essere ottimisti sul futuro. – Libri sui libri. Bibliografia essenziale ragionata. – Indici dei nomi e dei termini editoriali italiani e inglesi.

L’autore. Roberto Cicala (1963) insegna presso l’Università Cattolica a Milano, dove dirige il Laboratorio di editoria, e l’Università di Pavia, è editore di Interlinea e scrive su “la Repubblica” e “Avvenire“. Ha pubblicato, tra l’altro: I libri di Carlo Dionisotti (All’insegna del Pesce d’Oro, 1998) e Bibliografia reboriana (Olschki, 2002) con Valerio Rossi; Inchiostri indelebili (Educatt, 2012). Ha curato antologie di poesia, opere di Clemente Rebora e Improvvisi di Sebastiano Vassalli (Fondazione Corriere della Sera, 2016). Vive tra Novara e Milano.

Selezione della rassegna stampa

-Gian Carlo Ferretti, Un vecchio malato sempre arzillo, in “L’Indice dei libri del mese”, 4 (2021), aprile, p. 2
-Andrea Kerbaker, I cento mestieri messi in campo dall’editore, in “Domenica”-“Sole 24 Ore”, 4 aprile 2021.
-Alessandro Zaccuri, Dentro l’editoria, una fabbrica di soli prototipi, in “Avvenire“, 7 marzo 2021.
-Luigi Mascheroni, Ma pubblicarli paga ancora, in “Il giornale”, 9 marzo 2021.
-Mario Baudino, Così Albus Silente non diventò un calabrone, in “La Stampa”-“TopNews”, 16 marzo 2021.
-Giuliano Vigini, Una storia ancora da scrivere, in “La Lettura”-“Corriere della Sera”, 16 maggio 2021.
-Alberto Riva, Digitale, carte e delivery. L’editoria volta pagina, in “Venerdì”-“la Repubblica”, 7 maggio 2021, pp. 56-57.
-Gian Luca Favetto, Cicala “Il libro soffre ma vivrà benissimo cambiando aspetto”, in “la Repubblica”, Torino, 12 marzo 2021.
–Oliviero Ponte di Pino, Come funziona l’editoria, in “Doppiozero”, 2 aprile 2021
–Giuseppe Marcenaro, Cicala e Piazzoni, storie e prospettive del fare libri al tempo della bulimia, in “Alias”-“Il manifesto”, 20 giugno 2021

–Dario Campione, La mutazione antropologica che cambia il futuro del libro, in “Corriere del Ticino”, 12 marzo 2021.
L’editoria che smaterializza i libri, in “Leggere Tutti”, marzo 2021, p. 56
-Paolo Di Stefano, E dopo il design il Museo dle Libro?, in “Corriere della Sera”, 16 giugno 2021
-Valentina Giusti, Come cambiano i meccanismi dell’editoria, in “Cattolica Library”, 3 marzo 2021.

-Marcello Giordani, Ogni libro è un’opera collettiva che oggi pensa anche in digitale, in “La Stampa”, Novara, 25 febbraio 2021.
-Eleonora Groppetti, Il mosaico della macchina editoriale, in “Corriere di Novara”, 18 marzo 2021.
Roberto Cicala: in un libro i meccanismi dell’editoria stravolti dal Coronavirus, “in “L’Azione”, 26 maro 2021.
Altri:
Dentro i meccanismi dell’editoria in evoluzione: una guida, in “Il Libraio”, 14 marzo 2021.
I meccanismi dell’editoria che smaterializza i libri. Tre casi, in “Nuova informazione bibliografica”, 1 (2021), gennaio-febbraio, pp. 157-160.
-Martina Marzi, I meccanismi dell’editoria, Il mondo dei libri dall’autore al lettore di Roberto Cicala, in “Professione editoria”, Università Cattolica.
Walter Fochesato, Tutto sui libri, in “Andersen”, ottobre 2021.
Barbara Sghiavetta, recensione a I meccanismi dell’editoria, in “Teca”, XII (2021), 4, pp. 173-176.
“I meccanismi dell’editoria. Il mondo dei libri dall’autore al lettore” di Roberto Cicala, in “Letture.org”, dicembre 2021.
Francesco Montonati, recensione a I meccanismi dell’editoria, in “FMontanati.com”, 19 aprile 2021.
Come cambiano i “meccanismi dell’editoria”: le nuove frontiere in un volume fra attualità e innovazione, “PremiocittadiComo.it”, novembre 2021.
Intervento su I meccanismi dell’editoria a “Fahrenheit”-Rai Radio3, 16 febbraio 2021.

Intervento su I meccanismi dell’editoria a “Fahrenheit”-Rai Radio3, 16 febbraio 2021


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Uscire dai propri confini https://editoria.letteratura.it/uscire-dai-propri-confini/ https://editoria.letteratura.it/uscire-dai-propri-confini/#respond Sat, 07 Nov 2020 16:38:43 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8451 Conoscere ciò che è situato oltre i propri confini offre la possibilità di uno sguardo altro sul mondo: un affondo sulla "Casa editrice del territorio siberiano" e la sua principale pubblicazione, l'Enciclopedia Sovietica Siberiana.

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La città di Novosibirsk è la principale della Siberia: terza città russa per numero di abitanti, dopo Mosca e San Pietroburgo, fu fondata nel 1893 in corrispondenza di un nuovo ponte ferroviario sul fiume Ob’. Durante il periodo della guerra la città ha sviluppato numerose imprese di diverso tipo ed è stata anche, sfortunatamente, uno degli snodi ferroviari più grandi nel quale i prigionieri da internare nei Gulag venivano smistati.

Nonostante la sua relativa giovinezza, la città è diventata negli anni un punto culturale abbastanza importante, tanto da istituire qui, nel 1921, il più importante centro amministrativo della casa editrice “Сибкрайиздат” (fondata a Omsk, città relativamente vicina, l’anno precedente). Il nome traslitterato è Sibkrajizdat, che è l’abbreviazione di Sibirskoe kraevoe izdagel’stvo ovvero “Casa editrice del territorio siberiano”.

Dagli anni ’20, fino alla sua liquidazione nel 1930, la casa editrice ha avuto il monopolio della produzione libraria siberiana. A partire dal 1924 iniziarono ad essere ammessi nell’amministrazione della casa editrice anche altri soci, il che permise un aumento del fatturato. L’emergere di “Сибкрайиздат” ha migliorato significativamente le capacità logistiche e finanziare della produzione libraria in Siberia.

La produzione della casa editrice presentava una notevole differenziazione: si dedicava specialmente alla pubblicazione di manuali, ideati da autori locali, per le scuole siberiane. Pubblicò inoltre una famosa rivista illustrata, “Сибирь” (Siberia), e una rivista per bambini, “Товарищ” (Compagno), ma la più importante pubblicazione fu sicuramente la Сибирская советская энциклопедия (ССЭ), l’Enciclopedia Sovietica Siberiana.

L’enciclopedia tratta della Siberia, l’Estremo Oriente e gli Urali orientali, della loro geografia, della situazione demografica e sociopolitica e della popolazione del luogo. Il progetto venne abbozzato nel 1919 dall’“Istituto di ricerca siberiana” a Tomsk, sotto la guida del leader del movimento dei bianchi Aleksandr Vasil’evič Kolčak, ma la nascita del potere sovietico e il suo consolidamento bloccarono la messa in atto di questa idea. Nel 1926 il movimento ricominciò a sostenere la proposta e, nell’aprile del 1927, venne approvato un comitato editoriale di importanti scienziati locali per la raccolta e la stesura delle informazioni.

Il primo tomo dell’enciclopedia (А-Ж) uscì con una tiratura di 10 mila esemplari attraverso il giornale “Правда” (Pravda) e un secondo tomo (З-К) venne pubblicato dalla casa editrice “ОГИЗ” (Unione delle case editrici librarie e giornalistiche). Durante il lavoro per i materiali di questo secondo volume quasi tutti i principali redattori vennero arrestati per una falsa accusa di cospirazione contro il potere e alcuni vennero fucilati. Al posto dell’insieme dei redattori ne venne assunto uno solo, il direttore di redazione moscovita Boris Zaxarovič Šumjazkij.

Nel periodo 1929-1932, a Novosibirsk, venne pubblicato, insieme ad una ristampa dei primi due, un terzo tomo (Л-Н) e venne progettata la successiva uscita degli ultimi 2 e di un supplementare. Nonostante ciò la sua produzione venne sospesa a causa della liquidazione della casa editrice “Сибкрайиздат”.

Il quarto volume (О-С) fu pubblicato poi nel 1992 a New York grazie a campioni di microfilm e materiali rimasti, mentre per quanto riguarda l’ultimo tomo e il supplementare, essi sono rimasti inediti e sono conservati come manoscritti nell’archivio di Stato della regione di Novosibirsk.

L’enciclopedia copre quasi tutte le aree della conoscenza, ma nella presentazione dei fatti e dei dettagli del materiale è evidente l’influenza dell’ideologia comunista.

Tre tomi dell’Enciclopedia Sovietica Siberiana.

I tomi sono in formato 185×267 mm, adatti a un’edizione di una certa importanza. La rilegatura è rigida: la copertina è cartonata e ricoperta da pelle di colore blu scuro, nella quale è impresso solo il titolo dell’opera in lettere bianche/argentate dai caratteri graziati. Sul dorso di ciascun tomo è indicata, in alto, la sigla dell’opera (ССЭ), racchiusa da un quadrato, il numero del tomo al centro, in numeri romani e racchiuso da un rombo, e infine nella parte inferiore le lettere comprese nel volume, anch’esse racchiuse da un riquadro. Possiedono tutti un foglio di guardia marmorizzato sui toni del grigio, il quale presenta sulla superficie delle impressioni di abeti, sovrapposti al simbolo della falce e del martello.

Il blocco libro appare cucito a filo refe e successivamente incassato nella copertina cartonata. Il frontespizio presenta il titolo dell’opera, seguito dall’elenco di tutti gli autori della redazione, in ordine alfabetico per cognome, dal numero del tomo segnalato in lettere e il nome della casa editrice, “Сибирское краевое издательство” o abbreviato “Сибкрайиздат”.

Doppia pagina dell’Enciclopedia, con illustrazioni.

Tutte le pagine, che sembrano avere una grammatura molto ridotta, sono divise in due colonne, sia per quanto riguarda l’introduzione, nella quale viene presentato il lavoro della redazione e i vari indici (degli autori, dei saggi, delle illustrazioni e delle abbreviazioni), sia per quanto riguarda le singole voci e i lemmi, posti in ordine alfabetico.

Ciascuna voce, stampata anch’essa con caratteri graziati, risalta nella pagina perché, oltre ad avere un piccolo rientro, i caratteri sono in grassetto e tutti maiuscoli, a differenza della spiegazione, che invece è in carattere tondo tradizionale. Alcune voci, le più importanti, presentano la firma dell’autore alla conclusione.

Sfogliando i tomi si può osservare la quantità di illustrazioni presenti, sia in bianco e nero, sia a colori, che abbelliscono l’enciclopedia, così come fotografie d’epoca, che occupano intere pagine e presentano nella parte inferiore la relativa didascalia.


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Livio Garzanti, «editore imprevedibile» https://editoria.letteratura.it/liviogarzanti/ https://editoria.letteratura.it/liviogarzanti/#respond Mon, 15 Jun 2020 13:39:09 +0000 http://www/EDITORIA.LETTERATURA/wordpress/?p=8059 «C’era un clima culturale vivo, un mondo letterario straordinario, una intensa vita di relazione, e io pubblicavo i libri che ritenevo più adatti e vendibili. Un po’ come fa l’oste, che sa accogliere i clienti nella sua trattoria»: così Livio Garzanti dipinge la sua contraddittoria linea editoriale in un'intervista inedita pubblicata da Interlinea edizioni nel volume "Un editore imprevedibile. Livio Garzanti".

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In occasione dei novant’anni di Gian Carlo Ferretti, uno dei maggiori studiosi dell’editoria italiana, Interlinea pubblica il volume Un editore imprevedibile. Livio Garzanti (Interlinea, Novara 2020), un attento e appassionato ritratto di un editore protagonista del Novecento.

Con un’intervista inedita e un inserto iconografico, il volume si dimostra un prezioso strumento per approfondire, per la prima volta, la complessa figura di Livio Garzanti, nonché «un esempio limpido e prezioso di come si possa intendere la storia editoriale e insieme la critica editoriale», secondo il pensiero di Bruno Pischedda, ossia storia dell’editoria non come una mera raccolta di dati, bensì come capacità di cogliere, in quel determinato editore, peculiarità e caratteristiche, fossero anche molteplici e contraddittorie come nel caso di Garzanti.

Truman Capote

Truman Capote in visita al suo editore italiano Livio Garzanti (archivio privato di Silvio Riolfo Marengo).

Imprevedibile tanto nelle sue azioni – a forme avanzate di assistenza si alternano momenti di dura conflittualità – quanto nella scelta dei titoli da inserire a catalogo, dove coesistono Pasolini e 007, Gadda e Colazione da Tiffany, in Garzanti è difficile cogliere una precisa linea editoriale, tanto che lo stesso editore, nell’intervista inedita pubblicata da Interlinea, afferma: «Non ero molto letterato e non ho mai impostato una ricerca sistematica. C’era un clima culturale vivo, un mondo letterario straordinario, una intensa vita di relazione, e io pubblicavo i libri che ritenevo più adatti e vendibili. Un po’ come fa l’oste, che sa accogliere i clienti nella sua trattoria».

Gian Carlo Ferretti ripercorre la storia di Livio Garzanti a partire da un breve accenno all’esperienza del padre, un industriale di chimica che nel 1938, acquisita Casa Treves, fonda una propria attività. Dal 1954, quando Livio assume la direzione dell’impresa, Ferretti ci conduce con competenza e abilità narrativa in casa Garzanti, dove potremo assistere alla nascita di un catalogo diviso tra alta cultura e divulgazione, titoli controcorrente e sguardo rivolto al fatturato. Un progetto «moderno» e «per tutti», termini che ritornano più volte nei titoli e nelle iniziative promozionali a identificare la costante oscillazione tra qualità letteraria e vendite a un largo pubblico.

Ragazzi di vita (1955) di Pier Paolo Pasolini suscita grande scandalo e un processo.

In questo quadro si sottolinea la grande capacità di Garzanti di raccogliere intorno a sé un gruppo di letterati parmensi che grande influenza avranno all’interno della casa editrice, Attilio Bertolucci su tutti. Definito «delfico consigliere», il poeta parmense sarà in grado di portare in casa Garzanti, tra gli altri, Gadda e Pasolini, Caproni e Penna. Non solo: Garzanti è anche abile nel cogliere i momenti di indecisione dei suoi concorrenti, di cui è emblematico il caso del pasoliniano Ragazzi di vita, rifiutato dalla Mondadori per probabili pregiudizi morali, e uscito per Garzanti nell’aprile del 1955 nei “Romanzi Moderni” con copertina in tela rossa e sovraccoperta illustrata da Fulvio Bianconi.

Ferretti analizza in modo articolato ed esaustivo il percorso che porterà il catalogo Garzanti ad impoverirsi della narrativa e a espandersi nei settori della saggistica, dell’alta divulgazione, della scolastica, della manualistica e delle grandi opere. Se ne indagano le cause e le conseguenze, ottenendo così un quadro chiaro e composito dei mutamenti in atto nell’editoria del tempo.

Della Garzanti esce un’immagine enigmatica e affascinante: una casa editrice innovativa, in grado di affermarsi in vari settori, dalla saggistica alla poesia e alle enciclopedie, con nomi di grande valore come Debenedetti e Gadda e, allo stesso tempo, incapace di costruire un sicuro gruppo nella narrativa e di mantenere coerenza tra le diverse collane, fatto che priva la produzione di una sua precisa identità.

Tuttavia, si tratta pur sempre di una casa editrice che, come sostiene lo stesso Ferretti, «fa di Livio Garzanti un originale (e imprevedibile) protagonista». Ponendoci in un atteggiamento critico, come quello di Gian Carlo Ferretti, ci sorgerà, inevitabile, un dubbio: che siano proprio quelle contraddizioni e incoerenze a caratterizzare Livio Garzanti come uomo e come editore e a renderlo uno dei protagonisti della produzione libraria del secolo scorso.

Noemi Taborelli


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L’editore, catalizzatore di passioni https://editoria.letteratura.it/leditore-catalizzatore-di-passioni/ https://editoria.letteratura.it/leditore-catalizzatore-di-passioni/#respond Fri, 19 Jul 2019 13:44:07 +0000 http://www/EDITORIA.LETTERATURA/wordpress/?p=8063 Nominata lo scorso mese commendatore dell’Ordine Reale al Merito di Norvegia per aver diffuso in Italia la conoscenza della letteratura e della cultura norvegese, Emilia Lodigiani è la fondatrice di Iperborea, piccola casa editrice specializzata nella pubblicazione di autori scandinavi, danesi, olandesi, belgi, islandesi ed estoni. A distanza di 32 anni dalla fondazione, troviamo oggi […]

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Nominata lo scorso mese commendatore dell’Ordine Reale al Merito di Norvegia per aver diffuso in Italia la conoscenza della letteratura e della cultura norvegese, Emilia Lodigiani è la fondatrice di Iperborea, piccola casa editrice specializzata nella pubblicazione di autori scandinavi, danesi, olandesi, belgi, islandesi ed estoni.

A distanza di 32 anni dalla fondazione, troviamo oggi a capo della casa editrice troviamo oggi il figlio Pietro Biancardi, che abbiamo intervistato in occasione di “Engaging the reader”, evento dedicato all’editoria e ospitato dall’Università Cattolica.  Trovate l’intervista qua.

Voci dell'editoria

Voci dell’editoria

In Voci dell’editoria, sesto libro della collana “Quaderni del Laboratorio di Editoria”, pubblicato da EDUCatt, è proprio la fondatrice di Iperborea, intervistata dall’autrice-studentessa Stefania Pellucchi, a darci il suo punto di vista sul mondo dell’editoria e della cultura nostrano.

Ecco un estratto dell’intervista.

Come è arrivata a fondare Iperborea e che idea aveva di questo mestiere prima di iniziare a fare l’editore?

Il cammino verso Iperborea è stato segnato da tappe che sembravano tutte slegate tra loro, finché a un certo punto, anche grazie a un suggerimento di mio fratello, mi sono trovata a fare l’editore. All’inizio la mia conoscenza dell’editoria si riduceva a Virginia Woolf, fondatrice di Faber&Faber, che aveva la macchina per stampare in cantina. Quando, però, ho capito che il progetto mi appassionava, ho imparato il mestiere da autodidatta, parlando con librai, distributori, stampatori, piccoli editori.

Nota delle differenze tra l’editoria estera e quella italiana?

Nei paesi nordici la cultura ha un peso incredibile. Ad esempio il ricavato dell’IVA sui libri (che è molto alta, 25% contro il nostro 4%) viene versato alle biblioteche che a loro volta comprano libri, instaurando così un circolo virtuoso; in Danimarca i bambini ricevono per il loro secondo compleanno l’iscrizione alla biblioteca, e in età prescolare di media portano a casa cinquanta libri l’anno. Oltre a sostenere la lettura in patria, i paesi nordici sono molto attenti anche alla diffusione della loro cultura all’estero, sia con centri di informazione e promozione, sia con forti sovvenzioni per le traduzioni.

Quali possibilità offre l’editoria ai giovani?

La domanda di lavoro è molto superiore all’offerta, per cui non è facile inserirsi in questo mondo. L’editoria è un mito per tutti gli studenti di materie letterarie, che secondo me in Italia continuano a essere preferite a quelle scientifiche a livello universitario, perché la nostra scuola dà una forte impostazione umanistica. Il fatto che poi non si aiuti è però una contraddizione in termini.

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A quali modelli vi siete ispirati per il formato, la copertina e la quarta di copertina?

Per il formato il modello è stato quello dell’editore francese Actes Sud, che mi piaceva perché si nota e, benché un po’ stretto, si apre bene. Io l’ho allungato e ho inserito due fasce, una con il nome dell’autore e una con il logo di Iperborea. Ci sono, però, anche radici personali perché 10×20 è il formato del mattone e, venendo da una famiglia di costruttori, volevo mantenere questo legame. In copertina mettiamo sempre pittura o paesaggi nordici, come a voler creare un’equivalenza fra il dentro e il fuori. Per la quarta di copertina il modello è stato ancora Actes Sud: amo l’idea che l’editore esprima la sua opinione personale, impegnandosi così di fronte al suo pubblico. So di esigere molto dal mio lettore con quarte di copertina così lunghe, ma noto con piacere che ci siamo costruiti un pubblico fedelissimo.

 

Per leggere l’intervista completa:
L’editore. Catalizzatore di passioni
, in Voci dell’editoria. Interviste sui mestieri del libro, intervista di Stefania Pellucchi, Educatt, Milano 2008, pp. 44-45.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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