Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/ Blog del Laboratorio di editoria diretto da Roberto Cicala Sun, 02 Jun 2024 14:14:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://editoria.letteratura.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Icona-e1547805980831-32x32.png Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/ 32 32 https://editoria.letteratura.it/8916-2/ https://editoria.letteratura.it/8916-2/#respond Tue, 14 May 2024 08:19:47 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8916 Galleria di sguardi: la visita inizierà a breve. Avvertenze per la lettura   Dopo la presentazione del 10 maggio al Salone Internazionale del libro di Torino, è in programma un nuovo appuntamento il 15 maggio alle 17.30  presso la libreria Vita&Pensiero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Galleria di sguardi” è il titolo, risultato […]

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Galleria di sguardi: la visita inizierà a breve.
Avvertenze per la lettura

 

Dopo la presentazione del 10 maggio al Salone Internazionale del libro di Torino, è in programma un nuovo appuntamento il 15 maggio alle 17.30  presso la libreria Vita&Pensiero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

“Galleria di sguardi” è il titolo, risultato del lavoro degli studenti del laboratorio di editoria dell’Università Cattolica di Milano; un libro che grazie a biografie d’autore, romanzi e saggi tenta di avvicinarsi ai lettori, anche i meno esperti di arte. Proponendo una vasta gamma di autori, e generi artistici si percorre una galleria, immaginaria, dove è possibile sbirciare tra Le lettere a Theo di Van Gogh, lasciarsi arricchire da saggi divulgativi guidati da personaggi del calibro di Umberto Eco e Philippe Daverio. Gli studenti hanno redatto delle schede editoriali per ciascuno dei quarantotto titoli: un breve cappello introduttivo, qualche informazione sull’autore e sulla storia del libro e sulla fortuna editoriale. Inoltre ciascun capitolo offrendo ai lettori un assaggio del volume attraverso una citazione d’autore con evidente riferimento artistico, avvicina senza vincolare ad un percorso preciso.

Il libro: Galleria di sguardi. Casi editoriali del mondo dell’arte (EDUCatt), pp. 132, illustrato, euro 10
Informazioni per l’acquisto

 

 


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Alla scoperta dei luoghi dell’editoria https://editoria.letteratura.it/alla-scoperta-dei-luoghi-delleditoria-a-milano/ https://editoria.letteratura.it/alla-scoperta-dei-luoghi-delleditoria-a-milano/#respond Sun, 21 Apr 2024 08:51:02 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8893 Un libro-itinerario tra sedi e protagonisti delle case editrici Per il volume di Roberto Cicala pubblicato dal Mulino anteprima in Università Cattolica a Milano prima di un tour di presentazioni per l’Italia: tra storia, personaggi, curiosità e architettura in Andare per i luoghi dell’editoria le vicende culturali delle città italiana dei libri Andare per i […]

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Un libro-itinerario tra sedi e protagonisti delle case editrici

Per il volume di Roberto Cicala pubblicato dal Mulino anteprima in Università Cattolica a Milano prima di un tour di presentazioni per l’Italia: tra storia, personaggi, curiosità e architettura in Andare per i luoghi dell’editoria le vicende culturali delle città italiana dei libri

Vita e Pensiero - Università cattolica - i luoghi dell'editoria

Andare per i luoghi dell’editoria è un libro-itinerario di Roberto Cicala sulle sedi delle maggiori case dei libri, molte milanesi, in uscita per Il Mulino: anteprima mercoledì 8 maggio a Milano, alla libreria Vita e Pensiero, in largo Gemelli 1, alle ore 17,45, con lo storico del libro Edoardo Barbieri e il direttore editoriale Aurelio Mottola in dialogo con l’autore, editore e docente universitario. L’evento è promosso da Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica e Creleb. A seguire presentazioni in vari sedi italiane, dal salone del libro di Torino al Gabinetto Vieusseux di Firenze, dall’Antico Caffè San Marco di Trieste al parco Villa Filippina di Palermo.

QUI UNA PAGINA CON SCHEDA, SELEZIONE DELLE RECENSIONI E BIBLIOGRAFIA DEL LIBRO

Un capitolo del volume è dedicato alla Milano tra ’800 e ’900 quando scrittori ed editori scoprono fama e guadagno con i libri: tra Scala e Monte Napoleone gli editori di Leopardi e Manzoni, tra molte edizioni pirata) aprono all’Italia letteraria accolta in casa Treves, a cominciare da Verga, senza dimenticare i manuali Hoepli per una Milano industriale in crescita. Una sezione è poi dedicata a Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli, «il presidente, il commendatore e il rivoluzionario» con aneddoti sulla battaglia a tre sul fronte dei tascabili economici durante il boom economico. Un altro capitolo segue le strade di una Milano divenuta capitale della lettura: s’ inizia dal periodo tra le guerre con Bompiani, Garzanti e i libri per ripartire, quindi il mondo degli studi nella capitale delle university press, prima di tutte Vita e Pensiero, con piccoli e grandi sigle tra letteratura e mercato, tra Scheiwiller, Il Saggiatore, Adelphi e gruppo GeMS, con uno spazio ai piccoli lettori nella grande città e uno sguarda dagli anni ’60 al Duemila in una «BookCity» da Adelphi alla Nave di Teseo.

Le case editrici sono luoghi dove non sono previste visite guidate, che è possibile fare in queste pagine per scoprire dove nascono i libri che amiamo grazie all’incontro di persone, idee, storie ed emozioni. Dai sestieri lagunari di Manuzio alle gallerie del centro storico di Milano, dalla Mole di libri torinesi tra Gobetti, Einaudi e don Bosco alla Bologna di Zanichelli e del Mulino (che nel 2024 compie 70 anni) e fino alla Firenze dei caffè scelti dai poeti per le riunioni di redazione, e ancora dalla Roma di politica e santità alla Napoli delle bancarelle, alla Bari laterziana e alla Palermo della “Memoria” è un itinerario dietro le quinte delle fabbriche dei best seller tra uffici, ville, open space e librerie. Un volume che mancava con una mappa del come e perché si produca tanto sapere in tutta la penisola: è una bibliodiversità che rispecchia la variegata identità dell’Italia di oggi, di cui le case editrici sono uno specchio veritiero tra carta e digitale.

Roberto Cicala è docente all’Università Cattolica di Milano ed editore di Interlinea. Collaboratore di riviste e quotidiani, ha pubblicato per il Mulino I meccanismi dell’editoria. Ha curato inediti di Rodari, Rebora e Vassalli e saggi sulla storia di Einaudi, Mondadori, De Agostini, Vita e Pensiero e altri editori.

«Il fatto che si chiamino “case” la dice lunga sull’importanza dei luoghi in cui si cucinano le parole per renderle le più appetibili e gustose al palato degli ospiti, cioè i lettori, dentro il piatto dei libri. In gergo è detto davvero “cucina” il lavoro di redazione: è ciò che capita dietro le quinte dei libri per farli nascere. A partire dalle sedi più rappresentative questo viaggio in Italia tenta di tracciare una piccola storia dell’editoria italiana attraverso alcuni marchi consolidati la cui aura permea molti luoghi. È il racconto di un campione di sigle che hanno plasmato l’identità culturale della nostra nazione mediante i gusti e le scelte di editori protagonisti o di letterati editori, due categorie che non sono del tutto tramontate», scrive l’autore nell’introduzione.

Dopo l’anteprima milanese le prime presentazioni di Andare per i luoghi dell’editoria di Roberto Cicala saranno sabato 11 maggio alle 10,30 al Salone del libro di Torino con Irene Enriques, Giovanni Hoepli e Giuseppe Laterza e venerdì 17 maggio ore 17,30 a Firenze al Gabinetto Vieusseux di palazzo Strozzi con Franco Contorbia e Cristina Nesi.

Il libro: Roberto Cicala, Andare per i luoghi dell’editoria (Il Mulino), pp. 192, con fotografie, euro 14
https://www.mulino.it/isbn/9788815388735

 La scheda del libro in pdf: CICALA_Luoghi-editoria_RITROVARE L’ITALIA_Mulino


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Camilla Cederna e il caso Giovanni Leone: «Un libro giusto al momento giusto» https://editoria.letteratura.it/camilla-cederna-e-il-caso-giovanni-leone-un-libro-giusto-al-momento-giusto/ Fri, 23 Feb 2024 12:38:26 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8868 «Un libro giusto al momento giusto»: con queste parole Inge Feltrinelli ricorda Giovanni Leone. La carriera di un presidente di Camilla Cederna, un’opera che causò le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica. Una tesi ricostruisce la storia editoriale del best seller italiano.  Camilla Cederna nasce nel 1911 ed è figlia della colta e ricca borghesia milanese.[1] […]

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«Un libro giusto al momento giusto»: con queste parole Inge Feltrinelli ricorda Giovanni Leone. La carriera di un presidente di Camilla Cederna, un’opera che causò le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica. Una tesi ricostruisce la storia editoriale del best seller italiano. 

Camilla Cederna nasce nel 1911 ed è figlia della colta e ricca borghesia milanese.[1] La madre, Ersilia Gabba, è una delle prime laureate italiane in Germanistica e il padre Giulio Cederna è un ingegnere astronomo, professore presso il Politecnico di Milano ed ex calciatore e socio fondatore del Milan. Camilla Cederna da subito sviluppa la passione per l’arte, la musica e le buone letture. Inizia la carriera giornalistica scrivendo di moda, partecipando a eventi mondani e interessandosi delle vicende dei protagonisti della società. Diventa una delle penne più apprezzate dapprima come redattrice del settimanale “L’Europeo” poi come inviata per “L’Espresso”. Il 1969 è l’anno della grande svolta nella sua vita professionale, che cambia insieme ai mutamenti che colpiscono l’Italia. Inizia quindi il periodo storico caratterizzato dalla cosiddetta “strategia della tensione” Camilla Cederna pubblica non solo articoli ma anche libri e pamphlet politici per i quali sarà denunciata o subirà diversi processi, conseguenza questa del suo modo di operare, caratterizzato dall’indignazione e dalla creazione di controinformazione.[2]

Il Presidente Giovanni Leone nella vita di Camilla Cederna

Tra gli eventi fondamentali nella vita di Camilla Cederna, di notevole interesse è la decisione di scrivere un testo-inchiesta sul Presidente della Repubblica Giovanni Leone, che diventa best seller con 800 000 copie vendute e 24 riedizioni. La raccolta del materiale inizia nel luglio del 1977 e il libro esce nell’aprile del 1978 con il titolo Giovanni Leone. La carriera di un presidente edito da Feltrinelli. In anticipo sull’uscita del libro, il 12 marzo del 1978 “L’Espresso” esce intitolato Il circo Leone e la copertina di Tullio Pericoli raffigura una caricatura del presidente, vestito da pagliaccio con orecchioni al vento e il naso cadente. All’interno del settimanale è presente il primo capitolo della seconda parte del pamphlet con titolo I tre monelli. Lo stesso giorno i figli del presidente Mauro Leone e i fratelli Paolo e Giancarlo incaricano il loro legale di presentare querela alla giornalista Camilla Cederna per l’articolo, considerato gravemente diffamatorio. Con il procedere del tempo, nuovi dettagli vengono allo scoperto e il 15 giugno avvengono le definitive dimissioni del presidente.

Il 23 settembre 1978 a Roma inizia il processo. Camilla Cederna invitata dal presidente del Tribunale a parlare continua a sostenere le sue tesi riguardo al suo dovere di giornalista di informare l’opinione pubblica ma viene interrotta poiché si ritiene che la difesa sia solo una copia di quanto scritto nel libro. Il confronto tende a essere indirizzato verso i giovani Leone. Il risultato è solo la scoperta dell’identità dei querelanti che solo a questo punto viene svelata. Gli avvocati di Camilla Cederna considerato l’ambiente ostile, poiché le loro domande vengono definite inaccettabili o influenti si rifiutano di farne altre. Il giorno successivo molti giornali sono a favore della giornalista, compreso quello di Montanelli. Si apre, quindi, una trattativa per la quale i tre giovani ritirerebbero la querela con rinvio del processo e perfezionamento dell’accordo.[3]

Il secondo atto si svolge il 28 giugno 1979 a Varese, dov’era stato pubblicato il libro. Il presidente è il dottore Giovanni Pierantozzi, il pm è Giuseppe Cioffi. I querelanti sono gli avvocati Carlo Leone, Gabriele Benincasa e Ignazio Caruso. Giuseppe Cioffi nella requisitoria ritiene che il libro sia «scandalistico, diffamatorio, antidemocratico» dunque, la definisce «una giornalista che, abbandonate le proprie convinzioni liberali, è passata ai gruppi più dogmatici dell’ultrasinistra, trasformandosi […] in “snob progressista”».[4] Quindi, chiede due anni di reclusione, il sequestro, la distruzione del libro e la confisca del credito a titolo compenso per diritti d’autore spettanti a lei nei confronti della Feltrinelli. Vengono poi esposte le arringhe della difesa: Boneschi e Janni. Dopo pochi giorni, la sentenza concede le attenuanti generiche, non accoglie la richiesta di sequestro del libro e annulla la richiesta delle pene detentive.

Il terzo atto si svolge a Milano in Corte d’Appello il 16 maggio 1980. Il presidente è Isidoro Alberici, i giudici Livia Pomodoro e Francesco Favia. In accordo è caduta l’imputazione più grave, quella di vilipendio. Dopo la penultima udienza, vengono pronunciate le arringhe dei difensori di Cederna e viene fatta richiesta di quattordici mesi di carcere da parte del pm Elio Veltri. I giudici concedono un supplemento d’istruttoria per ascoltare un testimone della difesa: Massimo Caprara, prima persona che Cederna aveva intervistato sull’argomento e che le aveva fornito informazioni su Leone e sulle sue sconvenienze. Caprara il 27 maggio nega tutto, sostiene di non averla mai incontrata e non ricorda molti particolari ma è necessario ricordare che nel maggio del 1976, lui stesso aveva scritto in un articolo su “Tempo illustrato” riguardo all’elargizione delle grazie che per il giornalista si sviluppavano proprio nello studio di Giovanni e Carlo Leone. I giudici, dopo una pausa, smentiscono il teste documentando gli incontri con la presenza di altre persone, tra cui Cesare Milanese e consegnando il taccuino della giornalista alla Corte.[5] Camilla Cederna dichiara allora che proprio tale soggetto le aveva consigliato di contattare un democristiano napoletano, il cui nome non viene riferito e quindi il presidente Alberici fissa una nuova udienza per l’interrogatorio di quest’ultimo. Il 16 giugno il democristiano smentisce Caprara e conferma la versione di Cederna ma aggiunge che nel loro incontro aveva parlato solo della situazione politica riguardante il napoletano. La difesa mostra prove d’incontri e telefonate con l’onorevole; quindi, il testimone afferma che può essere stato confuso con un’altra persona. La Camera di Consiglio, dopo un’ora e mezza, emana la sentenza e conferma quella di primo grado, emessa dal tribunale di Varese un anno prima: per Cederna una pena pecuniaria di un milione di lire, per la casa editrice Feltrinelli la condanna oltre che una riparazione pecuniaria pari a 400 000 lire a titolo di concorso e l’assoluzione per lo stampatore, Ernesto Radaelli, che era stato ritenuto responsabile in primo grado, sempre a titolo di concorso.[6]

Giovanni Leone. La carriera di un presidente: le vicende editoriali

Copertina prima edizione

Copertina della prima edizione del testo di Camilla Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente pubblicato da Feltrinelli nel 1978.

Giovanni Leone. La carriera di un presidente è un libro pubblicato nel 1978 come pamphlet politico ed è la causa di una delle più grandi crisi di governo che hanno coinvolto la Repubblica italiana.
Successivamente alla pubblicazione di Pinelli. Una finestra sulla strage e Sparare a vista, in molti ritengono che questo nuovo libro sarebbe stato di minor impegno, ma attraverso le dichiarazioni dell’autrice è possibile capire quanto per lei fosse importante il senso di giustizia: «Giovanni Leone. La carriera di un presidente è un libro politico come lo sono gli altri: naturalmente l’argomento è diverso, ma è rimasto sempre in me lo stesso impegno che mi ha spinto a difendere la memoria di Pinelli e denunciare gli abusi della legge Reale».[7]

Il testo è nato «da un amore profondo per la democrazia, i suoi organi, i suoi istituti, i suoi valori e persino i suoi simboli. E da un rispetto, che a qualcuno parrà persino eccessivo, per quella massima espressione dello spirito democratico che è il Presidente della Repubblica, alto presidio del nostro sistema politico istituzionale».[8] Amore che con il tempo è andato deluso a causa del corrompimento della vita politica e del decadimento delle istituzioni. Cederna riteneva necessario «denunciare non la singola persona come responsabile di un guasto che ha cause più diffuse e profonde»[9] ma la storia del trentennio i cui sintomi ed effetti possono essere colti solo attraverso una severa indagine.

Nascita dell’opera

Era il 1974 quando Camilla Cederna inizia a pensare di scrivere un libro che riguardasse Giovanni Leone, dopo aver visto una fotografia che ritraeva il presidente in visita all’ospedale Cotugno di Napoli, durante il colera; l’immagine rappresentava Leone che, mentre accarezzava la testa del malato, atteggiava l’indice e il mignolo nel gesto scaramantico, poi ripetuto molte altre volte in pubblico. Cederna stessa ammette che a sviluppare la sua curiosità a riguardo, è stata proprio una frivolezza, seguita, in seguito, da eventi più impegnati.

La giornalista dal luglio 1977 raccoglie tutte le informazioni pubblicate sul presidente e dopo un confronto con alcuni “amici” di Leone, in Grecia, nel mese di settembre inizia a riordinare il materiale. Nel mentre, al Quirinale si diffonde la notizia che la giornalista stava componendo un testo sulla prima famiglia d’Italia. Tra l’ottobre e il gennaio scrive l’intero libro e lo consegna all’editore  Feltrinelli, con il quale viene concordata la pubblicazione. Nasce così il secondo libro nella storia della Repubblica italiana scritto su un presidente in carica.[10]

Ricostruendo la carriera giornalistica di Cederna è possibile constatare che gli incontri diretti con il presidente non sono stati molti; la prima volta è stata nell’ottobre del 1963 durante il mandato di presidente del Consiglio. La scrittrice viene accolta nella casa dalla moglie Vittoria Micchitto e in seguito intervista il marito.[11] Successivamente, Cederna vede Leone alla televisione, mentre partecipa ai funerali delle vittime della strage della Loggia a Brescia durante i quali, a causa dei fischi e delle proteste da parte dei cittadini, anche il collegamento televisivo venne interrotto.[12] Il terzo incontro è a Bologna, dopo l’Italicus. La giornalista, sempre molto attenta a ogni tipo di dettaglio, nota che gli insulti della popolazione aumentano il suo tic alla spalla destra e il suo malessere durante l’evento. Infine, Cederna incontra il presidente nel marzo del 1977, durante il funerale di 44 avieri caduti dall’Hercules C-130. Leone stringe le mani a ogni famigliare presente e sussurra parole di cordoglio. Ma la figlia del motorista dell’aereo caduto lo definisce «ipocrita» poiché avendo seguito le vicende riguardanti la Lockheed sapeva che il presidente fosse coinvolto; quindi, ritiene inaccettabili le parole da lui pronunciate.

Struttura dell’opera

Il pamphlet politico presenta una scrittura chiara e didascalica, in linea con lo stampo giornalistico. Diviso in  cinque parti, si compone di ventidue capitoli che ripercorrono la vita, la carriera e le vicende di Giovanni Leone. Di notevole rilievo è l’errore presente nella quarta di copertina che indica la presenza di quattro parti e sedici capitoli, come se non fossero prese in considerazioni le ultime sessanta pagine.

Nella prima parte il focus principale riguarda la contestualizzazione del protagonista; da come Cederna ha conosciuto Leone al cursus honorum che egli ha compiuto. Nella seconda parte, vengono delineate le relazioni che il presidente ha con i propri figli denominati «I tre monelli», il fratello e tutta la rete di politici e mafiosi che erano tra le sue conoscenze. L’ultimo capitolo è incentrato sui fratelli Antonio e Ovidio Lefèbvre d’Ovidio di Balsorano di Clunière, amici fidati ed esclusivi del presidente Leone. Nella terza sezione dal titolo Speculazioni e scandali vengono riportati alcuni dei casi in cui Leone si è rapportato con personaggi malavitosi, durante la sua attività di avvocato, prima di entrare in politica. È sempre stato difensore nei processi di mafia soprattutto in cause provinciali in cui onore e omertà sono preconcetti alquanto fondati. Nella quarta parte si analizza come Giovanni Leone sia diventato il sesto Presidente della Repubblica italiana. Cederna spiega dettagliatamente ogni particolare e definisce la modalità della sua scalata «paradossale» poiché viene nominato presidente durante gli ultimi scrutini.[13] Infine, nel capitolo dal titolo Gli ultimi scandali tratta sei macro-argomenti di cui i più importanti sono il primo con riferimenti alle trattative necessarie alla tipologia di aereo che l’Italia avrebbe dovuto scegliere per il rinnovo della linea antisommergibile. Il secondo riguarda lo scandalo Hercules, a cui precedentemente è stato accennato, e una serie di domande che Cederna sostiene sarebbero da porre allo stesso Antonio Lefèbvre.[14] Il quarto, invece,  dal titolo Dopo la grande, ecco la piccola corruzione indaga sul sistema corrotto attraverso cui Ovidio Lefèbvre controllava tutta una serie di persone ritenute utili come generali, colonnelli, funzionari in pensione ai quali venivano inviati regali, mance, viaggi gratis, piccole elargizioni. Cederna a supporto della sua tesi presenta documenti, assegni, lettere e fax che testimoniano tutti i giri d’affari che Lefèbvre amministrava. A lui dedica anche il finale aperto riguardo ai fatti successivi all’istruttoria e rimarcando l’importanza di seguire la vicenda con estremo interesse «per tutto quell’intrecciarsi sotterraneo di messaggi, consigli e indicazioni che ogni giorno vanno moltiplicandosi e che non sfuggono a quella parte dell’opinione pubblica più qualificata che ha già le sue idee ben consolidate sull’affare Lockheed».[15]

Analisi del paratesto

Il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente viene composto in brevissimo tempo e attraverso l’analisi del paratesto è possibile riscontrare alcune caratteristiche che evidenziano la velocità di tale processo di produzione. Il libro di Camilla Cederna si presenta al pubblico con un peritesto piuttosto chiaro; per la copertina è stata scelta un’immagine su scala di grigi che pone l’attenzione principalmente sul protagonista del testo, Giovanni Leone, il quale sembra posto in rilievo rispetto ai personaggi sullo sfondo. Il titolo, Giovanni Leone, molto lineare, è scritto con font bastoni e di colore giallo piuttosto intenso, il tutto in grassetto. Interessante è la vicenda che riguarda la scelta della collana in cui il testo viene pubblicato; il lavoro di Cederna doveva essere parte della collezione “Al vertice” caratterizzata da precise linee guida tra cui contenere biografie di uomini politici del Paese ed essere affidata agli esponenti maggiori del giornalismo italiano, di conseguenza è possibile affermare che il testo era stato ideato all’interno di un programma editoriale organico e non con l’intenzione di creare scandalo. Il libro però non è stato pubblicato in tale collana in quanto la collezione stessa  ha avuto poca fortuna e il suo proseguimento era piuttosto incerto. L’editore quindi, poiché gli accordi con l’autrice del libro erano già stati presi, ha preferito pubblicare il libro in una diversa collana dal titolo “Attualità” nella quale erano presenti testi come Razza padrona di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani del 1974 e L’anonima dc. Trent’anni di scandali da Fiumicino al Quirinale di Orazio Barrese e Massimo Caprara del 1977. Da questa scelta è possibile riconfermare la tesi di base per cui l’editore non ha concepito questo testo solo come operazione commerciale, ma con l’intenzione di mantenere fede ai propri impegni verso la giornalista, attendendosi guadagni scarsi o nulli.[16]

La legatura utilizzata è del tipo brossura sin dalla prima edizione e non cartonata, scelta, piuttosto insolita, in quanto solitamente di questa tipologia sono le legature dei libri delle edizioni economiche. Il formato è 12,5 × 20,5 cm ca e in questo modo rientra nelle dimensioni dei tascabili.[17]

Nelle ultime pagine del testo sono presenti alcune indicazioni bibliografiche, assenti invece indice dei nomi, note e appendici, probabilmente perché il testo è stato pubblicato mentre le indagini erano ancora in corso, coloro che erano interessati integravano la lettura del testo con articoli e dichiarazioni che venivano pubblicate su quotidiani e settimanali. La stesura di note e appendici avrebbe prolungato la cura del testo, causando la proroga della pubblicazione.

Per quanto concerne la descrizione dell’epitesto è necessario sottolineare la presenza di materiale piuttosto cospicuo riguardo alla sfera pubblica, poiché la diffusa ricezione da parte dei lettori ha portato il pamphlet a essere recensito su molti giornali, complice anche la successiva denuncia da parte della famiglia Leone, che ha causato la produzioni diversi articoli. “Tuttolibri” il 20 gennaio 1979 riporta un articolo dal titolo I trenta libri più venduti dell’anno e nelle prime righe è subito possibile leggere: “L’anno 1978, in libreria, è passato sotto il segno del Leone; e di Camilla Cederna. Il pamphlet ‘che ha fatto cadere un presidente’ è stato per diciassette settimana in testa alla classifica dei best seller, è la prima opera italiana di saggistica che abbia superato il mezzo milione di copie; e non trova nessun antagonista in grado di contendergli il posto”.[18]

Riguardo l’epitesto privato sia di questo libro che generalmente della produzione di Camilla Cederna sono presenti soprattutto “stralci” di corrispondenza tra la giornalista, la Casa Editrice Feltrinelli e coloro che l’hanno sostenuta durante il processo Leone, alcuni battuti a macchina altri scritti a mano. È possibile anche leggere alcune lettere, come quella che Cederna ha inviato al direttore di “L’Espresso” per dimettersi dal giornale o una dichiarazione della giornalista riguardo al suo cambiamento nella produzione giornalistica, ma anche appunti che lei stessa ha scritto riguardanti alcune correzioni da apportare alla sua autobiografia Il mondo di Camilla. Principale difficoltà che si riscontra nell’analisi di questo settore della patrimonio di Cederna è la quantità di materiale, spesso vasta e tutt’oggi ancora in continua catalogazione. Concludendo è quindi possibile dedurre dall’analisi di quanto presente che il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente sia stato scritto velocemente, con l’intenzione da parte della Casa Editrice di pubblicarlo prima dell’inizio del «semestre bianco» ritenendo che il Presidente della Repubblica nel pieno delle sue funzioni avesse il diritto e il dovere di rispondere alle accuse, in tal caso il testo sarebbe stato ristampato con le necessarie modifiche o immediatamente ritirato e sia autrice che editore avrebbero fatto pubblica ammenda.[19]

Ricezione

La stessa Casa Editrice dichiara, sin da subito, che il testo non era un progetto il cui obbietto primo fosse il guadagno tanto che le vendite previste ammontavano a un totale di circa 90 000 copie.[20] La prima classifica che si prende in analisi è quella di “Radiocorreire TV” composta dai dati di trenta librerie di diverse città italiane consultate direttamente, dieci per ciascuna settimana.[21] Considerando il posizionamento del libro a partire dall’aprile del 1978 è possibile notare che Camilla Cederna rimane al primo posto fino a settembre, seguita da importanti autori come Giorgio Galli con Storia della dc, Enzo Biagi con E tu lo sai?, Indro Montanelli con Controcorrente, Erich Fromm con Avere o essere e Gianni Granzotto con Carlo Magno.
Seconda classifica analizzata è quella del giornale “La Repubblica” i cui dati coprono un arco temporale definito tra i mesi di aprile e maggio, durante i quali il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente è sempre stato posizionato sul gradino più alto seguito soprattutto da Storia della Dc, Avere o essere, Controcorrente e Carlo Magno, in soli tre mesi le copie vendute del libro sono arrivate a essere 300 000 circa.
Per quanto riguarda la classifica composta dal settimanale “Panorama” è possibile confermare la tesi sostenuta in precedenza: Cederna rimane prima nelle classifiche della primavera e dell’estate dell’anno 1978 e in questo caso specifico anche nel periodo tra settembre e ottobre; in quest’ultimo mese solo nell’ultima settimana si posiziona quinta a parimerito con il libro di Biagi dal titolo Francia.

I dati del Notiziario Asca compongono l’ultima classifica descritta.[22] Nel mese di aprile Cederna è al terzo posto nella prima settimana, preceduta da Galli e Fromm; al primo posto nelle due settimane centrali e al secondo nell’ultima, superata da Galli. In maggio, giugno, luglio, agosto e settembre mantiene sempre il primo posto seguita prevalentemente da Biagi e Fromm. Con il mese di ottobre il testo è per due settimane al secondo posto, in novembre dopo otto mesi al vertice delle classifiche raggiunge come posizione più bassa il quinto posto.
Proseguendo l’analisi delle ricezione, attraverso recensioni presenti su vari giornali si può constatare che il testo scritto da Camilla Cederna, per quanto abbia oggettivamente una base politica, presenta comunque una forte componente di costume. L’autrice stessa in un’intervista sostiene che il suo intento è quello di scrivere un libro d’indignazione, dal quale poi è derivato un libro politico, accolto dal pubblico in modo eclatante tanto che in molti, dopo averlo letto, le scrissero di essere disposti a collaborare per ottenere un Italia migliore. La sua intenzione primaria è «raccontare quale Italia c’era dietro quella faccia di buon papà napoletano»[23] e il suo augurio consiste nell’idea che le dimissioni del presidente non presentassero Leone come una vittima dei giornalisti cattivi, poiché la stampa aveva fatto il suo dovere. Cederna dichiara «le dimissioni sono una lezione al cattivo gusto di madame sempre in esibizione, al cattivo costume dei monelli tanto traffichini, al cattivo settenario di un presidente che non ci meritiamo».[24]

Sul quotidiano palermitano “L’ora” il 26 maggio del 1978 viene dichiaro che è «un libro di costume all’americana, spregiudicato e pettegoliero, ha il suo ideale recensore non tanto in un pubblico esperto di politica, quanto negli esperti di informazione e negli stessi numerosissimi lettori che stanno comprando e facendo comprare». [25]

Roberto Cuini, caporedattore del “Corriere della Sera” rimane perplesso dal fatto che molti recensori sospendono il giudizio in attesa di sapere se il tribunale chiarisca alcuni episodi e condanni o meno l’autrice per diffamazione e aggiunge «siano veri tutti, siano veri soltanto alcuni, siano veri solo in parte – o, paradossalmente, non siano veri – i fatti raccontati nel libro portano si ad una condanna, la condanna politica di Leone. Perché nessuno avrebbe scritto Giovanni Leone, la carriera di un presidente se Leone avesse tenuto il decoro della sua carica al di sopra di ogni sospetto: non l’ha fatto, ed è questo condannevole». Vincenza Agrò di Marco, casalinga, ritiene che leggendo il libro, tutto sembra così vero che se lo fosse, afferma: «Ce ne vorrebbero tanti di questi libri: bisognerebbe che la gente conoscesse i retroscena della vita politica ». Mary Taormina, impiegata, d’altro canto sostiene che il testo dia fastidio alla coscienza degli italiani, ma soprattutto alla classe politica dirigente. Ultima testimonianza di Emanuele Giarrizzo, psicologo, inizia con il sostegno alle dimissioni del presidente, prescindendo dall’esito del processo. Riguardo al libro ritiene che sia grave che una denuncia politica sia scritta in modo da indurre alla risata e continua: «è un segno dei tempi: si tende a non prendere sul serio le cose serie e questo serve a non far cambiare ciò che dovrebbe cambiare. Bisogna poi guardarsi dal credere che il libro metta in discussione solo Leone: sotto accusa è l’intera classe politica dirigente: il suo modo mafioso di agire e di funzionare».[26] Passando ad un articolo de “Il Giorno” dell’agosto del 1978 Ferdinando Camon ritiene che la presenza di opere d’impegno come i libri di Moravia, Cederna, Harley, Amendola e Bocca tra i best seller indichino un nuovo atteggiamento nella lettura da parte degli adulti; dunque, il pericolo più grande è che, se opere di Cederna o di Moravia sono lette al posto di opere di evasione, esse non vengono effettivamente lette ma consumate. E conclude sostenendo che, se effettivamente il libro su Giovanni Leone, entro l’agosto ha venduto quasi 500 000 copie, considerando che su cinque italiani interrogati, almeno uno non avrebbe saputo rispondere alla domanda chi è il presidente della Repubblica, mezzo milione di lettori per un libro sul Quirinale è un dato interessante.[27]  Sostenere che l’opera di Camilla Cederna sia stata rivoluzionaria in quanto ha portato per la prima volta un libro ad essere causa delle dimissioni del presidente e contemporaneamente il testo più venduto del 1978, è sicuramente corretto ma è doveroso sottolineare che Giovanni Leone. La carriera di un presidente può essere letto attraverso una doppia chiave di lettura poiché è sia un testo politico che il prodotto d’analisi dei costumi di quegli anni, dunque, sottolinea la necessità delle dimissione del Capo di Stato in quanto figura privata della correttezza e serietà richiesta al primo cittadino del Paese. Inge Feltrinelli, infatti, così omaggia per l’ultima volta l’autrice: «Camilla Cederna è stata in Italia un vero fenomeno, perché da prima donna di successo nel giornalismo di consumo si è trasformata in una grande giornalista in difesa dei diritti civili. Un libro coraggioso pubblicato nel semestre della presidenza Leone che ha cambiato la vita della politica italiana. Un libro giusto al momento giusto».[28]

Sara Ravera

Estratto-sintesi dalla tesi di laurea Giovanni Leone. La carriera di un presidente: il caso editoriale di Camilla Cederna, relatore Roberto Cicala, Università Cattolica, Milano, anno accademico 2022-2023.

[1] Cfr. Camilla Cederna, Il mondo di Camilla, con interventi di Grazia Cherchi, Feltrinelli, Milano 1980; Ead., Camilla, la Cederna e le altre a cura di Irene Soave, Bompiani, Firenze-Milano 2021; Ead., Il mio Novecento, BUR Rizzoli, Milano 2011.
[2] Cfr. Ead., Camilla, la Cederna e le altre e Ead., Il mondo di Camilla.
[3] Camilla Cederna., Il mondo di Camilla, pp. 310-311.
[4] Ibi, p. 313.
[5] Un giornale romano definirà le parole di Caprara una «testimonianza contorta e sfumata» mentre la parte più conosciuta della stampa lo dichiarerà «teste boomerang per la difesa»: cfr. Ibi, pp. 321-324.
[6] Cfr. Pietro Nuvolone, Indice penale, Milano aprile 1982. Sezione: “In tema di diffamazione a mezzo stampa non periodica (il «caso Cederna»).
[7] Camilla Cederna ad Alberto Sinigaglia Torino, 26 agosto 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[8] Camilla Cederna., Giovanni Leone. La carriera di un presidente, Feltrinelli, Milano 1978, quarta di copertina.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. GIAN FRANCO VENÉ, Quasi tutto cominciò dalle corna, in “Amica”, 29 giugno 1978.
[11] Camilla Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente, pp. 11-15.
[12] Ibi, pp. 17-18.
[13] Ibi, p. 159-184.
[14] Ibi, pp. 206-216.
[15] Ibi, pp. 241-249.
[16] Gian Pietro Brega all’avvocato Valerio Mazzola¸ 19 giugno 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[17] Nella storia dell’editoria, il primo testo pubblicato solo con la legatura in brossura è stato La Storia di Elsa Morante nel 1974 dalla casa editrice Einaudi. Il testo, scritto in modo semplice doveva essere fruibile ad un pubblico il più largo possibile e l’edizione in brossura garantiva un prezzo di copertina molto basso. Quest’operazione di marketing editoriale ha contribuito nella nascita del primo best seller economico: cfr. Roberto Cicala, I meccanismi dell’editoria, Il Mulino, Bologna 2022, pp. 186-187.
[18] Luciano Genta e Alessandro Rosa, I trenta libri più venduti dell’anno, in “Tuttolibri”, 20 gennaio 1976. “Tuttolibri” nasce nel 1975, edito dalla “Stampa” come strumento che accompagna il lettore attraverso le trasformazioni delle politiche, delle edizioni e dei successi della produzione corrente: cfr. Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria, p. 230.
[19] Gian Piero Brega all’avvocato Valerio Mazzola, 19 giugno 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[20] Dichiarazione presente nel ricorso ex art. 672 c.p.c., Tribunale di Milano presieduto da professor Pietro Peiardi, 2 giugno 1982.
[21] Radiocorriere TV è la rivista settimanale che per 70 anni è stata l’organo ufficiale della RAI, dal 1925 al 1995. Il Radiocorriere è stato poi ripubblicato dalla Rai nel 2011 sul sito dell’ufficio stampa, in: <http://www.radiocorriere.teche.rai.it/> (ultima consultazione: 13 luglio 2023).
[22] Il notiziario Asca analizza settimanalmente i libri più venduti secondo i dati raccolti nelle seguenti librerie: Bonaccorso (Catania), Cavour (Milano), Cocco (Cagliari), Minerva (Napoli), Rizzoli (Roma), Rusconi (Milano), Seeber (Firenze).
[23] Vittorio Emiliani, Attenzione! Non è vittima di giornalisti cattivi, in “Il Messaggero”, 17 giugno 1976.
[24] Ibidem.
[25] Che stangata, presidente, in “L’ora”, 26 maggio 1978, p. 14.
[26] Ibidem.
[27] Ferdinando Camon, Sotto l’ombrellone si legge difficile, in “Il giorno”, 20 agosto 1978.
[28] Inge Feltrinelli, Un fenomeno per l’Italia, in “La Repubblica”, 10 novembre 1997.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Una tesi ricostruisce il rapporto di Michele Serra con la casa editrice Feltrinelli partendo dal romanzo Gli sdraiati.

Nel 2013, anno che si inserisce in uno dei ciclici periodi di crisi dell’editoria, sono pubblicati numerosi libri sul tema della paternità come Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati o Il padre infedele di Antonio Scurati. A novembre esce per Feltrinelli Gli sdraiati di Michele Serra che tratta proprio del rapporto tra un padre e un figlio e che riscuote immediatamente uno straordinario successo: scala le classifiche librarie, arriva a vendere cinquecentomila copie, viene tradotto in sette lingue in Europa, ne sono tratti uno spettacolo teatrale e un film.
Gli sdraiati quindi è un vero e proprio caso editoriale, ma affinché tale definizione non resti una semplice etichetta è bene analizzare il lavoro preliminare l’uscita fatto dall’autore e dalla casa editrice, la ricezione del pubblico e in generale tutto ciò che ha contribuito alla notevole fortuna del romanzo. Una condizione necessaria per affrontare lo studio del caso editoriale è la comprensione del contesto in cui agisce Michele Serra, in particolare è interessante approfondire lo stretto rapporto che lo lega alla casa editrice Feltrinelli.

Michele Serra autore feltrinelliano

Michele Serra è un autore versatile, si esprime attraverso le pagine dei giornali, ma anche dei romanzi, scrive testi per il teatro e per la televisione, mantenendo sempre una cura attenta per la parola, riuscendo a raggiungere un pubblico molto ampio poiché racconta di esperienze comuni in un linguaggio comprensibile, senza scadere nel banale. Persegue l’idea di una cultura capace di raggiungere chiunque senza perdere un alto livello di qualità; lo stesso principio guida la casa editrice Feltrinelli. Quest’ultima nel corso degli anni si è rivelata capace di affrontare i periodi di crisi rinnovandosi costantemente, ampliando il suo orizzonte fino a comprendere tanti ambiti della cultura con uno sguardo rivolto al futuro, mantenendo sempre il libro al centro, in «un’avventura editoriale che dal 1955 ha coinvolto migliaia di persone per migliaia di libri, per milioni di donne e di uomini».[1]
Nel contesto di grande mobilità e scambio tra editori e autori che caratterizza la storia dell’editoria negli anni ottanta-novanta, Michele Serra è in controtendenza poiché dal 1989, quando pubblica la raccolta di racconti Il nuovo che avanza, rimane fedele alla casa editrice Feltrinelli. Lo scrittore ritiene che «pochi autori siano più feltrinelliani di lui»[2] e tra le motivazioni di certo rientra la vicinanza politica e ideale con la casa, in particolare con Carlo Feltrinelli con cui Serra nel corso degli anni ha instaurato un legame di amicizia: da una parte l’autore è esponente del Pci dalla gioventù, scrive sull’“Unità” ed è poi sostenitore della sinistra italiana in genere e dall’altra la Feltrinelli, la casa editrice che affonda le sue radici nella Colip, la Cooperativa del libro popolare, nata per iniziativa del Partito comunista e che più di tutte ha sostenuto con le sue pubblicazioni gli ideali di diffusione del libro in ogni fascia sociale e che, grazie alle iniziative di Giangiacomo Feltrinelli, ha fatto dei suoi libri sulla politica e l’attualità un simbolo riconoscibile e riconosciuto.
La produzione di Serra, come quella di molti giornalisti-autori, è divisibile in due macrocategorie: raccolte di scritti di attualità, il più delle volte già pubblicati sulle pagine dei quotidiani come Tutti al mare (1990) e il più recente Il grande libro delle amache (2017), e opere di narrativa, tra le quali si ricordano Il ragazzo mucca (1997), il primo romanzo scritto, e Osso. Anche i cani sognano (2021), l’iniziale approccio dell’autore alla narrativa per bambini.
Nella scrittura di tutti questi libri Michele Serra è seguito da tre editor: Alberto Rollo, Laura Cerutti e Chiara Fiengo. Figure che l’autore, in un contributo per il libro-rivista del “Post” A proposito di libri, definisce sacre: l’editor è il primo lettore, permette allo scrittore di acquisire un nuovo punto di vista sul proprio operato; assume, in base ai momenti, il ruolo di «tifoso» o di «censore»:[3] può apprezzare il lavoro fatto e incoraggiare a proseguire nella direzione intrapresa oppure far notare che ciò che è stato scritto avrebbe bisogno di modifiche, a volte anche con una certa severità. Non secondario appare il fatto che è l’editore a pagare l’autore: scrivere è un lavoro come tutti gli altri e per riuscire a vivere di libri è necessario anche rispettare i contratti e sopportare l’«assoggettamento» alle direttive della casa editrice perché:

Gli scrittori, senza gli editori, non esisterebbero. Non esisterebbero letteratura, pittura, musica, arti varie, e persino un’arte minore come il giornalismo, se non esistesse una committenza. Gente che paga e gente che investe nel supposto talento di questo e di quello. Il talento, fino a che sta appeso nel nulla, è zero.[4]

In tanti hanno investito e creduto nelle capacità di Serra: «direttori di giornale, editors delle case editrici: senza di loro avrebbe lavorato meno della metà, e magari non avrebbe scritto cose che, con il senno di poi, è contento di avere scritto».[5] Tutte le raccolte di articoli, pubblicati inizialmente sui giornali, sono state sollecitate dagli editori, in particolare da Feltrinelli. I romanzi, i racconti, tutte le opere di narrativa invece sono nate di sua iniziativa. Proposti dall’autore sono anche tutti i titoli dei suoi scritti, alcuni, ad esempio Gli sdraiati, sono nati prima del libro, altri una volta terminato, come Le cose che bruciano. Per quanto riguarda la scelta delle copertine, pur esponendo la propria opinione, se ne occupano gli editor e i grafici perché «è il loro mestiere e [Serra] è molto rispettoso delle competenze»[6] altrui.
L’editor è quindi una figura fondamentale che partecipa alla costruzione del libro insieme all’autore e, scegliendo di pubblicare un testo, si fa carico di una grande responsabilità, che però, nota Serra, non è sempre rispettata: «ce ne sono che vorrei vedere impiccati ai lampioni, però lampioni spenti per quanto è buia la loro anima. Ce ne sono di magnifici e coraggiosi, scopritori di talenti altrimenti destinati al niente. La maggior parte sta nel mezzo, volenterosa, con meriti e demeriti».[7]

Analisi del caso editoriale

Michele Serra ritiene che le parole siano uno strumento prezioso per la società, che abbiano il potere di incidere sulla realtà e per questo è necessario averne cura, devono essere selezionate con precisione ed esattezza; difenderne il valore è un compito che interessa tutti, ma soprattutto chi fa un lavoro intellettuale.
«Ho sempre pensato che nella scrittura il massimo della soggettività corrispondesse al massimo dell’oggettività […]; l’“io”, in determinate situazioni, può fungere addirittura da indicatore di umiltà anziché di presunzione»:[8] l’attitudine di Serra nel raccontare il proprio punto di vista assume molta forza comunicativa, egli seleziona gli argomenti secondo la propria sensibilità ed esperienza di vita avendo al contempo dei precisi riferimenti culturali. La scrittura letteraria non deve essere influenzata dalla cronaca e può sedimentare a lungo affinché si presti attenzione ai minimi dettagli.
Così è successo per Gli sdraiati, libro che richiede sei-sette anni di gestazione. Il primo nucleo testuale è costituito dal titolo e dalla prima riga: «Ma dove cazzo sei? Ti ho chiamato quattro volte e non rispondi mai». Il libro rimane informe per diverso tempo poiché intanto lo scrittore si dedica ad altri progetti lavorativi, ma soprattutto perché in quegli anni è molto vivo il dibattito pedagogico sul tema della paternità e l’autore si sente in difetto nell’affrontare l’argomento. La svolta avviene quando si rende conto, dovendo scrivere un’opera di narrativa, di non dover dare delle risposte, ma soltanto raccontare una storia singolare di un padre e un figlio. Così nel giro di due anni Serra riesce a stendere un centinaio di pagine seguendo le norme di sinteticità apprese da Kurt Vonnegut, da sempre un modello per l’autore. Attorno al 2012 l’intervento dell’editor Alberto Rollo è determinante:

Le cento pagine accumulate mi sembravano materiale utile, ma spurio, sbriciolato, senza struttura narrativa, ampiamente insufficiente per farne un libro. Il mio editore (nella persona di Alberto Rollo, allora responsabile della narrativa italiana Feltrinelli) mi disse che quello era già un libro. Già così. […] Io non sapevo di avere scritto un libro, l’editore sì.[9]

La prima edizione del libro entra in commercio mercoledì 6 novembre 2013 nella collana “I Narratori” di Feltrinelli.
La copertina è curata dall’art director Cristiano Guerri e la prima è disegnata da Gipi, pseudonimo di Gianni Pacinotti, uno dei più importanti fumettisti italiani. Su uno sfondo bianco è tratteggiato con una penna nera un ragazzo di spalle, pantaloni con cavallo basso, felpa con il cappuccio, le mani in tasca. Soltanto le orecchie sono colorate di rosso così come l’ombra che si allunga ai suoi piedi e alza la mano per salutarlo, immagine del padre che vede crescere il proprio figlio.
Il libro non rientra in un genere preciso, viene descritto variamente come un romanzo, un saggio o un monologo. È suddiviso in quattordici capitoli che non hanno titoli, intervallati da dieci interventi non numerati del genitore, che cerca di convincere il ragazzo ad accompagnarlo al Colle della Nasca, gita raccontata nelle ultime pagine. Non ha però una struttura rigorosa:

Ho scritto per frammenti, per sbocchi d’ira, per attacchi di panico, per slanci amorosi, per accessi di ilarità, perché volevo che la mia scrittura fosse incoerente e in balia degli eventi, esattamente come il padre che racconta in prima persona: incoerente e in balia degli eventi.[10]

Il genitore è un uomo della generazione che ha vissuto il Sessantotto, che nella sua giovinezza si è ribellato a ogni tipo di regola e oggi è un «relativista etico», incapace di imporre la propria autorità e di trasmettere al figlio dei valori. Non riesce a comunicare con il ragazzo, che sembra essere protagonista di una mutazione epocale dovuta forse alla tecnologia che impone una distanza tra le persone. Il figlio vive in una posizione orizzontale, è «sdraiato». Sempre connesso, ma mai realmente presente, è indifferente alle richieste del padre e a ciò che lo circonda. Serra si interroga sul difficile rapporto tra generazioni e si chiede se esso si ripeta sempre uguale nel tempo o se oggi la frattura tra padri e figli sia più radicale. Nel libro è presente anche una sfumatura che si può definire fantasy: la voce narrante si immagina di scrivere un romanzo intitolato La Grande Guerra Finale, racconto di uno scontro epico fra Giovani e Vecchi, guidati da Brenno Alzheimer, che in segreto patteggia per i primi e in cui il padre si identifica perché alla fine sono i ragazzi a dover trionfare.
Serra ritiene che «la trasfigurazione letteraria, quando funziona, serva proprio a questo: rendere universale, di tutti, ciò che nasce individuale».[11] Infatti trae ispirazione dalla propria esperienza di genitore: ha due figli che al momento dell’uscita del libro (novembre 2013) hanno 23 e 21 anni, vive insieme ad altri due ragazzi della stessa età, figli della moglie Giovanna Zucconi. L’autore si rivolge a un pubblico ampio, con una scrittura veloce, immediata, che provoca il riso amaro e forse vuole infastidire con le sue riflessioni sia i genitori sia i figli.
Per la promozione di un libro e quindi per raggiungere quanti più lettori possibili si rivela uno strumento utile il rapporto diretto che i lettori possono avere con gli autori, dunque le case editrici organizzano dei book tour affinché lo scrittore possa parlare della propria opera a un pubblico che ha la possibilità di conquistarne la firma e porre domande. Michele Serra a partire dalla pubblicazione degli Sdraiati fino a gran parte del 2014 fa tappa in molte città italiane per presentare il proprio romanzo: Torino, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Bari, Napoli e tante altre. Spesso è ospitato nelle librerie Feltrinelli, ma anche in teatri e biblioteche comunali dove dialoga con amici scrittori o attori come Luciana Litizzetto, Francesco Piccolo e Antonio Albanese che lo interpellano sul testo o ne leggono degli estratti.
Anche i premi letterari svolgono un ruolo significativo per incentivare l’acquisto di un libro. A inizio gennaio 2014, “affaritaliani.it” riferisce che Feltrinelli stia valutando di candidare Gli sdraiati al premio Strega per competere con Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. Tuttavia la casa editrice decide di proporre al posto del romanzo di Serra, che è già un successo editoriale, Non dirmi che hai paura, libro del giovane autore Giuseppe Catozzella. Il premio alla fine è vinto da Piccolo. Nel novembre dello stesso anno viene conferito a Serra per Gli sdraiati e il suo lavoro di giornalista il premio 12 apostoli Montblanc, un’onorificenza attribuita dalla città di Verona ai letterati che si sono distinti nella loro professione.
Per rilevare il successo di un libro è utile considerarne l’andamento nelle classifiche librarie pubblicate ogni fine settimana negli inserti culturali dei principali quotidiani: “La Lettura” del “Corriere della Sera”, “Robinson” di “Repubblica” e “Tuttolibri” della “Stampa”. Gli sdraiati esce nelle librerie mercoledì 6 novembre 2013 e compare per la prima volta nelle classifiche del weekend del 16 e 17 novembre. Si è preso come punto di riferimento per valutare l’andamento del romanzo l’inserto “Tuttolibri” della “Stampa”, i cui dati sono elaborati da Nielsen BookScan, perché è l’unico che specifica la stima di copie vendute che corrispondono all’indice di vendita cento. Il libro entra direttamente nella Top10 posizionandosi quarto e vi rimane per venti settimane consecutive. Nella classifica del 23 novembre raggiunge il primo posto, mantenuto per quattro settimane e conquistato anche in quella dell’11 gennaio e del 1° febbraio 2014. Considerando invece soltanto la narrativa italiana, Gli sdraiati è presente nelle prime dieci posizioni per ventisette settimane, ossia fino a metà maggio 2014. Inoltre nel numero del 5 gennaio 2014 di “Tuttolibri”, che elenca i più venduti dell’anno appena concluso, Gli sdraiati è all’ottavo posto.
È possibile ricavare una stima delle copie vendute del romanzo di Serra, basandosi sull’indice di vendita attribuito a esso nelle classifiche redatte da Nielsen BookScan. Il periodo selezionato inizia con il 16 novembre 2013 fino al 17 maggio 2014, l’ultima settimana consecutiva in cui appare tra le prime dieci posizioni della narrativa italiana. Approssimativamente il libro vende circa centocinquantamila copie in ventisette settimane. Il direttore editoriale di Feltrinelli Gianluca Foglia, intervistato a fine novembre 2013, fornisce alcuni numeri: «la prima tiratura, di circa quarantamila copie, è andata a ruba. Il mercato ci ha richiesto duecentoquarantamila copie e le abbiamo stampate. Il libro di Serra è destinato a durare».[12]

In un articolo del gennaio 2014 di Raffaella De Santis, pubblicato su “Repubblica”, si afferma che il romanzo in due mesi ha venduto duecentocinquantamila copie mentre a distanza di qualche anno dalla pubblicazione è citato come un best seller da cinquecentomila copie. I dati esposti sono esemplari del successo significativo avuto dagli Sdraiati fin dalla pubblicazione: nel solo novembre 2013 giunge alla quarta ristampa e nel giro di due mesi all’ottava.
Nel 2014 Feltrinelli concede la licenza di stampare Gli sdraiati a Mondolibri che realizza un’edizione venduta per corrispondenza agli associati. Poi nel gennaio 2015 il romanzo è inserito nella collana dei tascabili “Universale Economica”, versione che a febbraio 2022 giunge alla decima ristampa. Nel 2014 è anche registrata la versione audiolibro: prima dal Centro Internazionale del Libro Parlato, che offre gratuitamente numerosi libri letti ad alta voce agli iscritti al servizio con specifiche difficoltà fisiche e/o di apprendimento. Poi Feltrinelli, nella collana dedicata agli audiolibri realizzata in collaborazione con Emons, casa editrice specializzata nel settore, pubblica il romanzo letto da Claudio Bisio con la regia di Flavia Gentili.
Al successo di pubblico corrisponde anche una buona ricezione critica: a partire dall’uscita degli Sdraiati fino a metà maggio 2014 sono pubblicate un’ottantina di recensioni in numerosi quotidiani e riviste italiani.[13] Lo stile e la capacità di Michele Serra sono universalmente riconosciuti e apprezzati, ciò che divide i giornalisti è il contenuto del romanzo, come l’autore abbia deciso di raccontare le nuove generazioni in rapporto con gli adulti. C’è chi, come Massimo Recalcati, definisce Gli sdraiati imperdibile, «un libro tenerissimo dove la consueta ironia e la forza satirica che tutti amiamo in Michele Serra si alterna a momenti struggenti, ad una nostalgia lirica di rara intensità e alla bellezza pura della scrittura».[14] Invece Antonio Polito sull’inserto “La Lettura” del “Corriere della Sera” polemizza contro Gli sdraiati. Il libro si dimostra un concentrato di luoghi comuni tipici di un borghese progressista. Ciò che stupisce è il fatto che il padre si limiti a disperarsi del figlio «iperconnesso» senza davvero interessarsi alle sue passioni. Polito giunge alla conclusione opposta rispetto a Serra: la loro generazione dovrebbe abbandonare il «relativismo etico» e sforzarsi di trasmettere dei precisi valori alle future generazioni.
Dato il significativo successo della prima edizione, Feltrinelli vende ad alcune case editrici straniere i diritti degli Sdraiati che viene tradotto in Europa in sette lingue: tedesco, spagnolo, catalano, olandese, francese, greco e polacco. È trasposto anche in inglese, ma nessun editore sceglie di pubblicarlo. Si ipotizza anche una versione in serbo che non viene realizzata. È interessante notare, analizzando le edizioni straniere, come le case editrici abbiano adattato al proprio pubblico di riferimento il titolo del romanzo e la copertina: ad esempio le traduzioni tedesca e francese sono aderenti alla versione originale mentre quella olandese riprende una delle battute finali del protagonista (Wacht op mij!: «Aspettami!»), invece quella greca (Οι αραχτοί: «Gli orsi») fa probabilmente riferimento al fatto che il figlio è scontroso con il padre. La copertina polacca è identica a quella italiana; il ragazzo disegnato da Gipi è mantenuto anche nelle edizioni spagnola e catalana. La prima però è più sobria perché, su sfondo bianco e incorniciata di blu, ricorda un’edizione di un classico; la seconda è più d’impatto e fa pensare a un libro per ragazzi dato che è di un giallo molto acceso.
Gli sdraiati offre a Claudio Bisio l’ispirazione per uno spettacolo teatrale. Già in un’intervista del novembre 2013 l’attore condivide di star lavorando insieme a Michele Serra al testo della rappresentazione, a cui sono aggiunti alcuni brani tratti da Breviario comico. A perpetua memoria (2008), una raccolta di aneddoti comici della storia contemporanea per una spietata e cinica critica alla società, scritti da Serra per la rubrica Satira preventiva sull’“Espresso”. Lo spettacolo debutta in occasione del Ravenna Festival il 25 giugno 2014 al Teatro Alighieri con il titolo di Father and son in riferimento all’omonima canzone di Cat Stevens, che fa da colonna sonora all’intera rappresentazione e racconta lo stato d’animo di un adolescente incompreso dal padre e desideroso di cominciare una nuova vita. È prodotto dal Teatro dell’Archivolto di Genova, dove è in prima nazionale dal 12 al 14 gennaio 2015. Father and son riscuote un grande successo sin dal debutto, la prima tournée tocca quindici città italiane e ottiene il tutto esaurito in ogni data tanto che viene riproposta nella stagione successiva con altrettante repliche che terminano a gennaio 2016. Dopo l’uscita del film tratto dagli Sdraiati a novembre 2017, in cui Bisio interpreta il protagonista, lo spettacolo ritorna a teatro nella primavera del 2018. La notorietà dell’attore e la sua bravura, apprezzata dai critici e dal pubblico, nel rendere vivi i testi di Michele Serra, che danno voce alle quotidiane difficoltà dei genitori di adolescenti, contribuiscono al trionfo dello spettacolo.

Il libro è riproposto anche in versione cinematografica dalla regista Francesca Archibugi che collabora con Francesco Piccolo per scrivere la sceneggiatura. La commedia, in anteprima all’Anteo-Palazzo del cinema il 20 novembre 2017, esce nelle sale tre giorni dopo ed è prodotta da Indiana Production con Rai Cinema, distribuita da Lucky Red.
Lo scrittore, «che in modo sano è voluto restare fuori dal film, era sorpreso, all’inizio, di trovare una storia molto più ampia, ma poi ci ha accolti e ci ha lasciato andare avanti»,[15] spiega Piccolo. I due sceneggiatori riconoscono negli Sdraiati la propria esperienza di genitori e ampliano il testo di Serra per restituire una storia più complessa e con più personaggi, ma il focus rimane sempre il difficile rapporto tra un padre e il figlio adolescente. La commedia ha un buon successo: nella pagina dedicata allo spettacolo del “Corriere della Sera”, a una settimana dall’uscita nelle sale, si piazza al secondo posto nella classifica del box office con un guadagno di €963 021.

Durante la sua lunga collaborazione con Feltrinelli Serra scrive diversi romanzi i cui protagonisti appaiono in modo più o meno evidente come suoi alter ego. Lo spunto autobiografico è ugualmente presente negli Sdraiati, che però si distingue dai precedenti per la scelta di un tema universale che potenzialmente può riguardare tutti i lettori. Emerge anche tra i libri sulla paternità pubblicati nello stesso periodo per la brevità e per il suo essere “in potenza”, cioè senza una struttura rigida e con margini di sviluppo della storia, che ne permettono facilmente il passaggio ad altre forme come quella teatrale e cinematografica per opera di professionisti di grande fama. Le centinaia di migliaia di copie vendute, le numerose settimane in classifica e le decine di presentazioni in tutta Italia confermano la capacità dell’autore di rivolgersi a un pubblico estremamente ampio. Non soltanto a livello comune, ma anche la critica non ne mette in dubbio le qualità di scrittore e pur talvolta mostrandosi contrari al punto di vista di Serra incuriosiscono il lettore e lo portano a domandarsi se si ritrovano nelle sue parole.
È probabile quindi che dopo l’uscita degli Sdraiati Michele Serra sia riconosciuto e apprezzato come autore di questo specifico libro, in particolare da chi non è lettore assiduo di giornali oppure dai giovani che si approcciano allo scrittore proprio attraverso la sua esperienza di padre.

Sintesi della tesi di Annalisa Barbero Un autore e una casa editrice: Michele Serra e Feltrinelli. Il caso editoriale degli Sdraiati
Relatore: Prof. Roberto Cicala
Anno accademico 2021-2022

[1] Feltrinelli 60. 1955-2015. Catalogo storico, Feltrinelli, Milano 2015, p. 3.
[2] Intervista a Michele Serra di Annalisa Barbero, via e-mail, 15 agosto 2022.
[3] Michele Serra, Sull’editore, in A proposito di libri. Come nascono e diventano questi oggetti di carta dove leggiamo storie, idee e mondi interi, a cura di Arianna Cavallo e Giacomo Papi, Iperborea, Milano 2021, p. 91.
[4] Ibi, p. 92.
[5] Intervista a Michele Serra.
[6] Ibidem.
[7] Michele Serra, Sull’editore, p. 91.
[8] Paolo Pagani, La scrittura è un aeroplano. L’avventura intellettuale di otto grandi firme del giornalismo italiano, prefazione di Enrico Deaglio, Limina, Chiassa-Arezzo 1997, pp. 127-129.
[9] Michele Serra, Sull’editore, p. 92.
[10] Id., Il rapporto tra Padri e Figli nell’inedita “autorecensione” (e spiegazione) del nuovo romanzo, in “Uomo Vogue”, 14 novembre 2013, p. 56.
[11] Fulvio Paloscia, Serra in libreria «I miei sdraiati», in “la Repubblica”, 14 marzo 2014, p. 1.
[12] Antonio Prudenzano, Da Saviano a Serra… per Feltrinelli un ’13 in controtendenza. Ed ecco le novità del ’14, in “affaritaliani.it”, 27 novembre 2013: <https://www.affaritaliani.it/libri-editori
/feltrinelli-bilanci-e-futuro-con-gianluca-foglia.html
> (ultima consultazione: 15 novembre 2022).
[13] Si ringrazia l’ufficio stampa Feltrinelli per aver gentilmente concesso la consultazione della rassegna stampa degli Sdraiati.
[14] Massimo Recalcati, «Mio figlio, questo sconosciuto»: autoritratto di un papà disperato, in “la Repubblica”, 6 novembre 2013, p. 47.
[15] Arianna Finos, Sdraiati, in “la Repubblica”, 17 novembre 2017, p. 52.


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ChatGPT e l’editoria: l’algoritmo ha un’anima? https://editoria.letteratura.it/chatgpt-e-leditoria-lalgoritmo-ha-unanima/ https://editoria.letteratura.it/chatgpt-e-leditoria-lalgoritmo-ha-unanima/#respond Mon, 01 May 2023 09:43:32 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8822 Torna disponibile in Italia ChatGPT, il più popolare chatbot, un software che grazie all’intelligenza artificiale elabora conversazioni scritte o parlate permettendo di interagire con ogni dispositivo digitale come quando si comunica con persone reale, ma in più aiuta a scrivere articoli o testi in uno stile corretto, fare ricerche complesse, risolvere problemi matematici e programmare […]

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Torna disponibile in Italia ChatGPT, il più popolare chatbot, un software che grazie all’intelligenza artificiale elabora conversazioni scritte o parlate permettendo di interagire con ogni dispositivo digitale come quando si comunica con persone reale, ma in più aiuta a scrivere articoli o testi in uno stile corretto, fare ricerche complesse, risolvere problemi matematici e programmare tramite l’utilizzo di un potentissimo motore di AI che elabora miliardi di dati e fonti in pochi secondi. Per capire che cosa comporta l’Intelligenza artificiale alla portata di tutti rispetto all’editoria e alla cultura abbiamo raccolto alcune risposte di Roberto Cicala, docente di editoria libraria e multimediale in Università Cattolica, editore e autore di I meccanismi dell’editoria edito dal Mulino in cui si accenna all’impatto della digitalizzazione nella comunicazione editoriale. 

La tecnologia dell’Intelligenza Artificiale con ChatGPT riuscirà a coprire ogni ricerca e gestione delle informazioni che ci servono?
Siamo di fronte a un’innovazione che crea fascino: pensiamo al milione di utenti nei primi dieci giorni e al gran dibattito in corso. È uno strumento che utilizza algoritmi avanzati di apprendimento automatico per generare risposte simili a quelle umane, con ricerche complessissime di contenuti in pochi secondi: è in qualche modo un generatore di linguaggio, che accorpa informazioni con un’operazione di cultura formidabile ma meccanica, diversa dalla conoscenza umana profonda, dal sapere dell’esperienza e della tradizione.
Come ha scritto Alessandro Carrera in uno stimolante pamphlet pubblicato da poco, Sapere, è la dimostrazione che oggi si può essere informati di tutto senza sapere nulla. Potremmo dire però che è una forma di democratizzazione della cultura, quindi con molti punti positivi.

Ci sono aspetti del lavoro editoriale che non potranno mai essere sostituiti dalla tecnologia oppure tutto sarà asservito all’AI?
Se pensiamo al lavoro editoriale, che è una mediazione culturale tra autori e lettori, non basta avere uno stile corretto e far ricerche di tipo nozionistico.
Per esempio: la letteratura è scarto dalla norma, è cambiare direzioni, partire da una cosa per arrivare a un’altra, sulla base di informazioni della vita interiore e non solo presenti sul web. La persona umana è fatta di mente e cuore e inconscio, la macchina è fatta di algoritmi.
La sfida è allora connettere le diverse competenze per arrivare a comprenderle non secondo una logica univoca.
Non serve avere più informazioni ma interpretarle per vivere meglio.

Ormai l’Intelligenza Artificiale è necessaria, soprattutto nella gestione dei contenuti e della comunicazione editoriale. Quindi che cosa sta cambiando e ci sono dei pericoli?
Ogni attività si sta smaterializzando ma non da oggi (e probabilmente in futuro, come è stato detto, non dovremo neppure toccare lo schermo dei nostri dispositivi per interagire con loro) ma non possiamo farci nulla.
Sono d’accordo con chi dice che l’immutabile legge della tecnologia impone che i suoi doni non si possano rifiutare: possiamo scappare ma ci rincorrono. E non è sempre un male. Come non è così negativo che ChatGTP decreti la fine dei temini scolastici facendoci comprendere che la formazione e l’e-learning deve attraversare nuove frontiere, spingendoci a capire che più dell’algoritmo e dell’informazione nozionistica conta la riflessione legata all’esperienza. Credo che la nuova app sarà utile per spunti, brain storming e revisioni, perché non potrà fare tutta la mediazione intellettuale necessaria per un contenuto editoriale o formativo complesso.
Però pericoli ce ne possono essere se non c’è un filtro critico, come nei vari massmedia d’un tempo e nei social di oggi, perché anche il web ha un lato oscuro, non dimentichiamolo.
Comunque l’algoritmo non ha un’anima e neppure un inconscio. L’editoria e i libri, di carta o di bit, sì, e perché ogni tecnologia ci può migliorare e cambiare, senza essere succubi delle macchine.

 

Tratto da dichiarazioni su Linkedin

 


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Sotto una buona stella: la bellezza in editoria tra cielo e arte https://editoria.letteratura.it/sotto-una-buona-stella/ https://editoria.letteratura.it/sotto-una-buona-stella/#respond Thu, 05 Jan 2023 13:47:39 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8814 Un libro d'arte seleziona le più belle opere dedicate alle stelle, non soltanto comete, dall'antichità a Giotto, da Van Gogh a Banksy.

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«Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua»: così, attraverso le parole del Piccolo principe, si apre Sotto una buona stella, nuova uscita della collana “Nativitas” di cui è autrice Chiara Gatti, storica e critica d’arte, che scrive per “Repubblica” ed è direttrice del Museo MAN di Nuoro.
In seguito ad altre pubblicazioni per Interlinea, come Nevicate d’arte del 2021, ha prestato nuovamente la sua penna alla prima collana europea dedicata al tema del Natale, ideata nel 1993 da Carlo Carena con l’editore Roberto Cicala. La serie, giunta con quest’opera al numero 105, presenta sezioni che toccano ambiti diversi, dalla letteratura alla spiritualità, dalla poesia all’arte e all’architettura: proprio in quest’ultimo si colloca Sotto una buona stella, presentato a Milano in occasione del consueto incontro “Editoria a Natale” in Università Cattolica.
Questo volumetto tascabile è avvolto da una sovracoperta interamente occupata da un dettaglio della celebre Notte stellata di Van Gogh, custodita la Moma di New York, impreziosita dal titolo impresso in oro a caldo su una carta pregiata e certificata, non plastificata. In quest’ultimo aspetto traspare l’occhio di riguardo nei confronti dell’ambiente, cifra caratteristica della casa editrice. La particolarità della copertina, in carta marcata grigia, è tipica della collana, che con questa scelta vuole opporsi a quella che è stata definita dallo storico dell’editoria Gian Carlo Ferretti come «la plastificazione sgargiante» che domina oggi la produzione libraria. All’interno del libro l’adozione di una carta patinata naturale permette di riportare con brillantezza i dipinti e le opere prese in considerazione dall’autrice, arricchendo così il testo di preziosi strumenti visivi. L’uso del carattere graziato Simoncini Garamond e un’impaginazione ariosa permettono una lettura scorrevole.
Come suggerito anche dal sottotitolo, Stelle e comete nell’arte, Chiara Gatti, con la collaborazione di Serena Colombo, si propone di condurre il lettore attraverso un viaggio tra i cieli stellati dell’arte. Partendo dal Disco di Nebra, riconducibile all’età del bronzo, la spiegazione si dipana avanti e indietro nel tempo: dalle prime opere d’età cristiana, a Giotto e il suo interesse naturalistico; dalla stella come simbolo di sciagura in molte opere medievali, al sentimento del sublime che anima notturni come quelli di William Turner; dall’angoscia di Van Gogh e Munch, passando per Kandinskij e Mirò, fino a Banksy, con la sua reinterpretazione drammatica e simbolica del foro lasciato da una granata su un muro di Betlemme. In questa rassegna di opere viene mostrato come «l’uomo abbia sempre visto nelle stelle un simbolo di qualcosa d’altro, di qualcosa di intoccabile, reso vicino attraverso l’arte», perché «chi desidera traduce in forme riconoscibili ciò che sfugge alla sua esperienza».
Secondo un’idea proposta dalla stessa autrice, «le stelle confortano l’uomo», ma al contempo lo pongono di fronte a un enigma: «Dove si consuma il resto della nostra esistenza, al di là della materia?» Con questo appassionato lavoro Chiara Gatti prova a rispondere, unendo così le bellezze del cielo alle bellezze dell’arte.

Giulia Calvi, Paola Pozzoli, Sofia Ciatti

Registrazione video della presentazione del libro Sotto una buona stella di Chiara Gatti sul canale YouTube del Laboratorio di editoria: clicca qui.


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Vita e opere di Sebastiano Vassalli https://editoria.letteratura.it/vita-e-opere-di-sebastiano-vassalli/ https://editoria.letteratura.it/vita-e-opere-di-sebastiano-vassalli/#respond Sun, 02 Oct 2022 18:02:39 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8809 La produzione letteraria di Sebastiano Vassalli ricostruita seguendo le vicende biografiche dell’autore. Sebastiano Vassalli nasce il 25 ottobre 1941 «in una città: Genova, e in un Paese, l’Italia, che era in guerra da diciassette mesi».[1] I suoi genitori, una ragazza-madre toscana e un uomo lombardo, si separano a guerra finita e il padre, ottenuto l’affidamento […]

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La produzione letteraria di Sebastiano Vassalli ricostruita seguendo le vicende biografiche dell’autore.

Sebastiano Vassalli nasce il 25 ottobre 1941 «in una città: Genova, e in un Paese, l’Italia, che era in guerra da diciassette mesi».[1] I suoi genitori, una ragazza-madre toscana e un uomo lombardo, si separano a guerra finita e il padre, ottenuto l’affidamento di Sebastiano, lo “consegna” ad un anziano parente che vive a Novara con due zie zitelle. «Orfano di genitori vivi»,[2] il giovane Sebastiano cresce senza affetti familiari e scopre l’interesse per la letteratura ai tempi del liceo, diventando un lettore formidabile. Nel 1958 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano, dove consegue la laurea otto anni dopo con una tesi sul rapporto tra arte e psicanalisi discussa con il professore Cesare Musatti. Negli anni universitari, per mantenersi, svolge i lavori più vari, come aiuto imbianchino, fattorino, facchino, aiuto bibliotecario e insegnante nelle scuole medie e nei licei. Nel pieno degli anni Sessanta «straordinari e straordinariamente inconcludenti»,[3] Vassalli inizia a trovare la propria voce anche in campo artistico. In anni portatori di ideologie nuove e spesso confuse, si inserisce la “disperata vitalità” di un giovane uomo, che sente il bisogno di cercare la propria identità e di provare la propria esistenza.

Gli anni della Neoavanguardia

Il suo esordio artistico non ricade nell’ambito letterario, bensì in quello pittorico. L’arte è «l’unica forma di obiettività possibile in questo presente»[4] e Vassalli la esprime in vignette, dai toni sarcastici e provocatori, che si inseriscono nel clima di sperimentazione di quegli anni. Nel 1964 viene allestita la sua prima personale a Venezia, nella galleria del Cavallino, mentre l’anno seguente ne viene presentata un’altra da Edoardo Sanguineti[5] a Milano, nella galleria del Naviglio. Nel 1968 si impegna per allestire la mostra “Oltre l’avanguardia” al Broletto di Novara, dove partecipano artisti internazionali.[6] Prosegue ancora per qualche anno questa sua stagione di ispirazione pittorica, che si materializza in una serie di “Ex voto”, ma nel frattempo Vassalli si avvicina al movimento letterario del Gruppo 63.

Negli anni Sessanta il mondo culturale è scosso dalla Neoavanguardia, o Gruppo 63, un movimento di contestazione della società e della letteratura. Il nome vuole richiamare le grandi avanguardie storiche del primo Novecento, ma allo stesso tempo prenderne le distanze con una diversa concezione del linguaggio. I neoavanguardisti, nelle loro poesie, testimoniano la civiltà contemporanea basata sul consumo, nella quale l’arte non è nient’altro che una merce. Il centro della loro riflessione artistica diventa la parola e il linguaggio, considerato sempre frutto di un’ideologia e pertanto portatore di menzogne. La parola e i segni perdono di significato e lo acquistano invece il collage linguistico e il montaggio di frammenti testuali totalmente differenti: solo così la letteratura può riprodurre la realtà ingannevole e scomposta nella quale si trova ad agire.[7]

Il gruppo 63 era una non-avanguardia, un non-gruppo, un non-tutto-e-il-contrario-di-tutto, tenuto insieme da idee confuse ma forti di quegli anni.[8]

Così Vassalli ricorda questo movimento artistico, di cui entra ufficialmente a far parte nel 1967, quando ottiene la sua seconda laurea, quella di scrittore, in una riunione del gruppo a Fano:

Dopo l’esame di laurea nel luglio del 1966, a maggio dell’anno successivo ho passato l’esame da scrittore, davanti a una commissione composta da notabili del Gruppo 63: i “moderni”. Eravamo a Fano sulla riviera adriatica e l’organizzatore dell’evento, il genius loci, era Alfredo Giuliani. Altri incontri dei moderni con annessa sessione di esami per aspiranti scrittori si erano già svolti a Palermo nel 1963 e a Reggio Emilia nel 1965, e se ne era parlato sui giornali; quello di Fano era il terzo. […] Ricordo che lessi una paginetta di un mio testo (poi pubblicato in Narcisso, 1968), che oggi, se mi venisse di rileggerlo, giudicherei “demenziale”. Ricordo che ricevetti le lodi di Alfredo Giuliani, che pure era un critico intelligente e attento, e le perplessità di Enrico Filippini. Ricordo che, rispondendo a Filippini, cercai di spiegare le ragioni di ciò che avevo scritto, ma che non fui particolarmente brillante. Anche quelle ragioni, di cui poi mi sono completamente dimenticato, se le riascoltassi oggi mi sembrerebbero demenziali. Vivevamo davvero in un altro mondo e in un’altra epoca.[9]

Vassalli viene così influenzato dal clima avanguardistico e la sua prima produzione letteraria è poetica. I suoi versi, carichi di una forte esuberanza immaginativa e di un furore creativo, sottolineano una connessione tra la realtà inquieta di quegli anni e la letteratura nelle sue molteplici parti del discorso.[10] I componimenti sono specchio dei malumori politici e sociali degli anni Sessanta e, con i loro toni satirici, paradossali ed esasperanti, anticipano il clima di contestazione che il Sessantotto porterà in Italia nel 1969.

Le prime pubblicazioni

In questi anni Vassalli compone il suo primo libro in assoluto: Lui (egli), pubblicato nel 1965 da Rebellato editore, una raccolta di prose sperimentali. Tra queste spicca “Narcisso”, testo con cui partecipa alla riunione di Fano del Gruppo 63 e che gli permette di entrare nell’entourage degli scrittori della casa editrice Einaudi. Guido Davico Bonino,[11] allora collaboratore presso la casa editrice, già un anno prima lo aveva contattato, in accordo con l’amico Giorgio Barberi Squarotti, per comunicargli il progetto di una nuova collana interamente dedicata alla poesia, dove avrebbero potuto trovare spazio i suoi componimenti. Così il secondo libro di Vassalli, Narcisso, vede la luce nel 1968 con il marchio Einaudi nella collana “La ricerca letteraria”, curata da Guido Davico Bonino, Giorgio Manganelli e Edoardo Sanguineti.[12] Da questo momento l’autore si lega agli editori di via Biancamano, da cui si staccherà poche volte nell’arco di tutta la vita, e nel 1970 viene pubblicato un altro suo libro, Tempo di màssacro, nato per puro divertimento:

Un giorno di gennaio del 1970 andai a Torino, alla casa editrice Einaudi, per salutare GDB: Guido Davico Bonino, il mio primo editore, e per lasciargli alcune pagine dattiloscritte di uno pseudomanuale cinquecentesco che stavo scrivendo, sull’arte di sterminare gli uomini. Non perché le pubblicasse (quelle pagine), ma perché le leggesse. Era uno scherzo; invece il mio scherzo capitò in mano a Calvino, che se ne entusiasmò al punto di buttare all’aria la programmazione di una sua nuova collana, l’“Einaudi Letteratura”, per inserire il mio libro tra i primissimi titoli. Il manuale, che poi finii di scrivere sulle bozze di stampa, uscì a maggio e si intitolò Tempo di màssacro.[13]

Dopo appena due anni Einaudi di nuovo manda in stampa un’opera di Vassalli intitolata Il millennio che muore, sempre inseribile all’interno del clima sperimentale e d’avanguardia. Continua anche qui una metodica ricerca alla disgregazione della sintassi del discorso, allo sgretolamento dei vocaboli, all’alternarsi di elementi aulici e bassi, per ottenere un effetto caotico e confusionario. Le sperimentazioni letterarie del Vassalli trentenne tendono a rendere percettibile, attraverso la manipolazione linguistica, la disomogeneità e la pluralità che regnano il mondo reale. Ecco quindi che è la lingua ad essere il vero centro di contemplazione e la vera essenza del mondo, il quale senza di essa non esisterebbe.[14] Questa fase di sperimentazione prosegue con Manuale di corpo ovvero Sentenze di scrittori antichi e moderni, scritto nel 1972, ma pubblicato solo nel 1983 su insistenza degli amici Attilio Lolini e Carlo Fini, dove l’indole da collezionista di citazioni e frammenti prende il sopravvento, e AA. Il libro dell’utopia ceramica del 1974, pubblicato dall’editore Longo in una collana autogestita dagli stessi autori, che richiama già nel titolo il concetto di “razo en si” di Jaufré Rudel.[15]

L’attività editoriale del giovane Vassalli

L’eclettismo giovanile di Vassalli e la sua voglia di sperimentare lo portano a occuparsi anche di editoria. In Narcisso già è presente qualche accenno a questa sua occupazione, nel ritratto dell’autore, dove si menziona una raccolta di “collage freddi” dal titolo Nel labirinto pubblicati sotto l’edizione C.d.e. E ancora, in una serie di lettere scambiate tra lo scrittore e l’Einaudi nell’estate del 1968, in relazione ad un volumetto appena finito e spedito in visione alla casa editrice, traspare che la sigla CDE, sebbene «non nasconda alcun editore», stia a significare «Centro di documentazione estetica» e risieda a «Novara c/o Sebastiano Vassalli». L’autore quindi ha iniziato a svolgere anche l’attività di auto-editore, avviando una collaborazione con una stamperia del centro città di Novara, Mora Grafica, i cui mezzi a disposizione permettono di produrre libri economici, in brossura fresata con l’utilizzo del solo inchiostro nero.[16] Con questa piccola impresa editoriale arriva a stampare, fino al 1974, una ventina di libri; la sigla CDE, dopo il breve periodo iniziale, viene presto sostituita da Ant. Ed (con o senza punto), per richiamare un’idea di “anti editoria”.[17] Ricade sotto questo nome anche la rivista che prende vita per iniziativa di Vassalli insieme con Giorgio Barberi Squarotti, Cesare Greppi, Ugo Locatelli, William Xerra e Luciano Caruso:[18] “Ant. Ed Foglio bimestrale di poesia e scienze affini”, il cui primo numero esce nel novembre 1968 e che è destinata a fermarsi dopo il quarto.

La scoperta del genere narrativo e la maturità letteraria

Lasciatosi alle spalle le esperienze del Gruppo 63, Vassalli approda alla narrativa tradizionale nella seconda metà degli anni Settanta, esattamente nel 1976 quando pubblica per Einaudi il suo primo romanzo L’arrivo della lozione. Con questo libro prende rumorosamente le distanze dalle ideologie sessantottine, scegliendo come protagonista Benito Chetorni, un semianalfabeta cresciuto in ambienti malavitosi che diventa picchiatore fascista. Il clima della Neoavanguardia, che in Vassalli aveva assunto toni ispidi e rivoluzionari, cede adesso il passo alla ricerca di una maggiore verosimiglianza e comunicabilità con il lettore. L’arrivo della lozione segna un punto di rottura con il passato, reso ben evidente con la scelta di narrare una storia sull’estremismo di destra.[19] Inizia così la breve fase post-avanguardistica dello scrittore, che prosegue con Abitare il vento (1980) e Mareblù (1982). Se nel primo Vassalli descrive per la prima volta un personaggio completo e reale, nel secondo, pubblicato da Mondadori nella collana “Scrittori italiani e stranieri”,[20] si cimenta in una satira politica nata per intercessione dell’amico Giulio Bollati:

Mi fece conoscere un regista cinematografico che, a suo dire, cercava un soggetto per “una commedia all’italiana” con Alberto Sordi come protagonista. Era una balla, e credo che Alberto Sordi non ne abbia mai saputo niente; ma fu così che nacque Mareblù.[21]

Vassalli raggiunge la maturità narrativa con La notte della cometa (1984):

Sono diventato scrittore a quarant’anni. Da allora, credo di aver fatto alcune cose buone e anche ottime.[22]

Il romanzo ha come protagonista Dino Campana, poeta italiano vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, cui l’autore dedica molti anni di studio, alla ricerca di precise informazioni biografiche. Anche dopo la pubblicazione del libro, questo legame con il «babbo matto che mi sono dato al posto dell’impresentabile babbo anagrafico»,[23] continuerà ad essere un aspetto molto importante della vita dell’autore. Il rapporto che unisce Vassalli a Campana va oltre il semplice interesse artistico, come afferma egli stesso in un’intervista rilasciata in occasione delle Scuole di lettura in biblioteca nel 2001:

Mi avvicinò a Campana una parabola, oltre che artistica anche personale, comune a molti autori italiani, da Dante ai nostri giorni: quella di essere passati attraverso un’avanguardia, e di esserne usciti delusi: […] per Campana [si era chiamata] futurismo, per me, in maniera molto più dimessa, era stato il Gruppo 63.[24]

Questo libro segna uno spartiacque fondamentale nel suo percorso letterario: se da un lato mostra un affetto viscerale nei confronti di Dino Campana, dall’altra sancisce la definitiva consacrazione di Vassalli come scrittore di narrativa. Molto deve all’amico Giulio Bollati, il quale lo affianca nella scelta di lasciare definitivamente la carriera di insegnante nel 1979 e lo sprona a continuare a scrivere, nonostante la titubanza iniziale di Vassalli, che nel 1982 si iscrive alla Camera di Commercio di Novara come venditore ambulante di libri, stampe e oggetti d’arte:

Quando lasciai l’insegnamento, nel 1979, io non pensavo di poter vivere facendo lo scrittore e mi ero registrato alla Camera di Commercio di Novara come venditore ambulante (ho ancora l’attestato) di libri, stampe e oggettistica varia. […] Bollati, in quella circostanza, fu impareggiabile. Da un lato, fingeva di approvare le mie decisioni e di incoraggiarle; dall’altro, mi proponeva di fare dei lavori come scrittore, che non avrebbero intralciato i miei commerci a venire, ma avrebbero dovuto affiancarli.[25]

Il rapporto con Giulio Einaudi e l’approdo al romanzo storico

Con La notte della cometa Vassalli riceve le attenzioni anche del “divo” Giulio Einaudi, nonostante la sua firma facesse parte della casa editrice già da qualche tempo, e dopo pochi anni si sorprende nel vederlo difendere a spada tratta il suo nuovo romanzo, L’oro del mondo (1987):

Giulio Einaudi mi ha scoperto nel 1985, dopo La notte della cometa e dopo avermi ignorato per diciassette anni. Ero un suo autore dai tempi di Narcisso, cioè dal 1968; ma le rare volte che lo incontravo nei corridoi della sua casa editrice, mi guardava senza vedermi e una volta mi scambiò anche per un traduttore. […] Nel 1987, quando chi allora comandava nella ex sua casa editrice mi rifiutò il manoscritto del romanzo L’oro del mondo e mi fece intendere (non so perché…) che dovevo cercarmi un altro editore, Einaudi fece una mattana memorabile. Mobilitò in mia difesa i maggiori autori e consulenti della casa editrice: Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Federico Zeri… Il libro uscì con il marchio dello Struzzo e l’editore scelse personalmente l’immagine di copertina: un’opera giovanile di Sironi, molto bella.[26]

Nonostante questo momento di vicinanza tra Vassalli ed Einaudi, il suo rapporto con la casa editrice non fu dei migliori. Indubbiamente erano anni duri per gli editori di via Biancamano, poiché la crisi che li colpì negli anni Ottanta ebbe notevoli ripercussioni, ma risulta evidente che la considerazione nei confronti dello scrittore era praticamente nulla, come riporta egli stesso in una lettera privata destinata a Giulio Einaudi nel dicembre del 1987:

In questi anni sono riuscito a fare qualche buon libro nella totale indifferenza della casa editrice tua omonima. […] Ciò che ti chiedo è questo: può un libro – anche buono, anche ottimo – avere successo contro tutti e contro la stessa casa editrice che l’ha pubblicato?

La rottura vera e propria si consumò qualche anno dopo, nel biennio 1997-1998; in questi anni Vassalli passa alla casa editrice Baldini & Castoldi diretta da Alessandro Dalai, il precedente editore dello Struzzo e il motivo del litigio tra lo scrittore e Giulio Einaudi. Ma prima di questo scontro, dopo L’oro del mondo, quando i rapporti erano ancora sereni, l’autore lavora ad un nuovo romanzo che esce nel 1990 con il titolo di La chimera: ambientato a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento nella città di Novara e dintorni, ha come protagonista Antonia, una bella trovatella che finisce bruciata sul rogo con l’accusa di essere una strega. Vassalli lavora instancabilmente dal 1987 per ricercare dati e fonti su quel determinato periodo storico nell’area novarese e questo lo costringe anche a ritornare più volte su parti già stese del romanzo, diversamente dal solito, per correggerle o ampliarle.[27] Con questo libro nello stesso anno Vassalli si aggiudica il Premio Strega e arriva tra i finalisti al Premio Campiello, avendo ormai ben chiaro il vero intento della propria vocazione letteraria:

La letteratura di genere non mi interessa. Il giallo, il nero, il rosa… La realtà non è divisa in generi. […] Mi piace estrarre le mie storie anche dal passato, con una tecnica non molto diversa da quella che i geologi chiamano “carotaggio”. Mi piace estrarre dal passato delle storie-campione, che ci aiutano a capire perché il mondo dove viviamo si è venuto formando in un certo modo.[28]

L’autore ha trovato un proprio genere narrativo, quello del romanzo storico, che persevera nel 1992 con la pubblicazione di Marco e Mattio: ambientato nella seconda metà del Settecento nella valle di Zoldo nelle dolomiti, tratta il tema della diversità, della follia e dell’omosessualità con una narrazione sapientemente equilibrata tra spazio naturale e spazio umano, tra storia di un’identità sociale e storia del singolo protagonista.[29] Ancora nel 1993 viene pubblicato, sempre per conto di Einaudi, Il cigno, con cui Vassalli approda nella Sicilia di fine Ottocento per raccontare la storia del delitto di Notarbartolo, compiuto dalla mafia il 1 febbraio 1893 e voluto, a quanto risulta, dall’onorevole Raffaele Palizzolo detto “il Cigno”. Siamo nuovamente di fronte a un fatto effettivamente accaduto, da cui l’autore ricava una storia da raccontare. Toccando nel Cigno il tema della mafia, Vassalli si immette in un filone letterario che oggi è governato da Saviano, ma che fu iniziato da Sciascia. Contrariamente alle aspettative, il giudizio sul suo predecessore del Giorno della civetta (1961) non è dei migliori:

Per criticare gli aspetti negativi del Paese Sommerso, Sciascia ha criticato la polizia dei partiti. Ha detto che gli effetti erano le cause, e che i mali della Sicilia venivano da Roma. La storia di cento e più anni fa che io ho raccontato nel mio romanzo Il Cigno: la storia di Emanuele Notabartolo, di Raffaele Palizzolo e del “Comitato Pro Sicilia” spiega quasi tutto ciò che c’è da spiegare del Paese Sommerso; ma, soprattutto, mostra che anche in Sicilia si parte dalle cause per arrivare agli effetti. […] La visione del mondo di Sciascia si potrebbe riassumere in un gioco di specchi dove gli effetti diventano cause, anzi: gli effetti sono le cause. Uno sguardo penetrante che non svela nulla, e una saggezza che non porta in nessun posto. Una saggezza immobile. Un’illusione di impegno civile.[30]

Dopo questa parentesi siciliana – e un tentativo di genere fantascientifico, molto criticato dai recensori, con 3012. L’anno del profeta (1995) – torna di nuovo in territorio novarese con Cuore di pietra (1997), la cui protagonista indiscussa è una casa nel centro città, palcoscenico delle vicende di molti personaggi che ci accompagnano in un viaggio che dal Regno d’Italia si prolunga per centocinquant’anni. Dopo questa pubblicazione, si acuiscono le tensioni con Giulio Einaudi[31] e per conto della casa editrice Baldini & Castoldi vengono pubblicati, nel 1998, La notte del lupo e Gli italiani sono gli altri.

L’ultima occasione in cui Vassalli si rapporta con Giulio Einaudi è una telefonata la sera di capodanno del 1998; dopo pochi mesi infatti l’editore muore, nell’aprile del 1999. Così Vassalli, in uno dei suoi Improvvisi del 6 aprile 1999, si appella all’amico appena scomparso:

Dal primo libro che tu mi pubblicasti, ignorandomi, nel lontano 1968, alla tua ultima telefonata di qualche settimana fa, con cui riallacciavi, con quell’affetto e con quella generosità che caratterizzavano i tuoi momenti migliori (c’erano anche quelli peggiori, ma alla fine venivano cancellati dagli altri) un rapporto che apparentemente si era spezzato, e di cui ora, davanti alla notizia della tua morte, misuro per la prima volta la profondità e la solidità.

In questa lettera fa anche menzione di nuovo manoscritto a cui sta lavorando e che pensava di spedire, una volta terminato, proprio al defunto Giulio Einaudi. Il romanzo che ne deriva si intitola Un infinito numero, dove l’autore riflette sul tema della scrittura, attuando un confronto tra la civiltà etrusca, totalmente priva di letteratura, e la civiltà romana, totalmente assorbita dalla letteratura.[32]

L’avvento degli anni Duemila

Con l’inizio del nuovo secolo l’autore decide di concedersi un periodo di pausa dai romanzi improntati sulle storie del passato, per concentrarsi invece sul tempo presente: nel 2001 l’Einaudi pubblica Archeologia del presente, romanzo che ripercorre il contesto storico degli ultimi trent’anni del secolo. Negli anni successivi la produzione dello scrittore è molto prolifera e tocca diverse tematiche. Dopo la chiusura della collana dei «Coralli», la casa editrice Einaudi inaugura nel 2002 una nuova collana, «L’arcipelago», con Dux: Casanova in Boemia, ritratto di «un Casanova ormai vecchio che si trova a combattere ironicamente contro la sua stessa immagine giovane».[33] Nel 2005 torna ad essere al centro di un altro suo libro, Amore lontano, una riflessione sulla letteratura, più precisamente sulla poesia:

Racconto le storie di sette poeti per parlare della poesia, e parlo della poesia per arrivare al principio di tutto, cioè alla parola.[34]

Negli anni Duemila scopre anche una predilezione verso il racconto, approfondito in La morte di Marx e altri racconti (2006), L’italiano (2007) in cui offre undici ritratti di italiani, Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni (2008). Torna a narrare storie nel 2010 con Le due chiese, ambientato nuovamente nelle alpi piemontesi, in cui si susseguono le vicende di un piccolo paese sullo sfondo degli avvenimenti politici principali del Novecento, e con Terre selvagge del 2014, romanzo sulla sconfitta subita nel 101 a.C. dai Cimbri per opera di Caio Mario. Nel maggio dell’anno successivo riceve la candidatura ufficiale al Premio Nobel per la letteratura, ma dopo pochi mesi muore all’età di settantaquattro anni a Casale Monferrato.

Il «carattere degli italiani»

Nel corso della sua vita Vassalli ha anche svolto l’attività di giornalista. Negli anni della Neoavanguardia inizia a collaborare con alcune riviste, mentre dal 1978 scrive prima recensioni e commenti nella pagina dedicata ai libri su “l’Unità”, poi pubblica con cadenza regolare brevi racconti su “Il Mattino”, raccolti per conto della casa editrice Interlinea in una pubblicazione postuma, I racconti del mattino (2017). Dagli anni Novanta inizia a collaborare con “la Repubblica” e il “Corriere della Sera”, dove propone brevi riflessioni sociali, molto incisive, con il nome di Improvvisi. Mentre dalle opere di narrativa emerge la sua passione verso l’approfondimento e la ricerca storica, Vassalli giornalista predilige concentrarsi sulla realtà che lo circonda, sul paese nel quale si trova a vivere e a scrivere. Questi due diversi ambiti investigativi sono, a dir suo, complementari ed è compito di ogni scrittore interrogare le ragioni profonde della propria nazione:

Quello del carattere nazionale è un tema importante: direi addirittura un tema obbligato, se vuoi fare il mestiere dello scrittore in modo non superficiale. Naturalmente se scrivi romanzi di genere: i romanzi neri, i gialli, i rosa, i verdastri (come diceva Céline…), puoi anche non occuparti di queste faccende, perché ti muovi nell’universalità della superficialità. Sei un “cittadino del mondo”: i sentimenti e gli orifizi, più o meno sono gli stessi dovunque. Ma se vuoi andare al di là dell’intrattenimento non puoi sfuggire alla consapevolezza di appartenere a una lingua, a una storia, a una comunità di parlanti. Ti piaccia o no. Se vuoi arrivare davvero a capire qualcosa della vita e del mondo devi passare attraverso la specificità del tuo carattere nazionale.[35]

Nasce da questo interesse al «carattere nazionale» il libro Sangue e suolo pubblicato nel 1985 da Einaudi, che analizza il rapporto tra la popolazione italiana e quella tedesca in Alto Adige (terra cara a Vassalli, che di lì a qualche anno la sceglierà come ambientazione del romanzo Marco e Mattio). In realtà il libro nasce dalle ceneri di un reportage giornalistico che, su insistenza dell’amico Giulio Bollati, l’autore accetta di scrivere per conto della rivista “Panorama Mese”. Il direttore, rimasto scontento del risultato finale, pubblica nel numero di luglio del 1983 soltanto alcune parti dell’inchiesta svolta. Nello stesso anno, su commissione di Piero Gelli per conto della casa editrice Garzanti, Vassalli torna in Alto Adige in occasione delle elezioni per scrivere un libro sul bilinguismo e sulle difficoltà d’integrazione della popolazione, pubblicato però da Einaudi due anni dopo. Questo segna solo l’inizio di un percorso di analisi sociale e nazionale che, accanto agli articoli scritti per i giornali, viene approfondito anche nella narrativa con Il Neoitaliano (1991), Gli italiani sono gli altri: Viaggio (in undici tappe) all’interno del carattere nazionale italiano (1998) e L’italiano (2007).

Sebastiano Vassalli e la scuola

Negli anni universitari Vassalli si trova a insegnare per potersi mantenere economicamente[36] e svolge questa attività dal 1961 fino al 1979. Lavora come supplente a tempo pieno nelle scuole statali medie e superiori prima a Oleggio, poi a Novara, insegnando letteratura e storia. Il ricordo di questi anni non è dei più felici e il lavoro da insegnante si rivela ben presto non essere la vocazione dell’autore, come testimonia lui stesso:

Io ho fatto come don Chisciotte con i mulini a vento. Ho cercato di contrastare le parole d’ordine di quegli anni, che miravano a demolire i due pilastri su cui si fonda qualsiasi sistema scolastico serio. Gli slogan contro il deprecato “nozionismo” (ma cos’altro può e deve trasmettere la scuola, se non, appunto, nozioni?) e quelli contro l’ancor più deprecata “meritocrazia” (che è il giusto riconoscimento di ciò che si fa. Ma per chi non sa nulla e non fa nulla, la meritocrazia non può esistere se non come spauracchio). Finché non ho avuto la possibilità di andarmene dalla scuola, e di fare altro, ho cercato di essere un buon insegnante. Purtroppo questo comportava una gran fatica e un gran dispendio di energie.[37]

Con questa esperienza acquisisce una certa conoscenza del settore didattico e si adopera per cercare di avvicinare i giovani studenti al mondo della letteratura. La casa editrice Einaudi già aveva una collana specializzata nella pubblicazione di libri adatti agli adolescenti: “Letture per la scuola media”. Proprio per questa collana si propone di lavorare, per «postillare, chiosare o comunque curare» alcuni libri. Tra il 1972 e il 1977 inizia così questa collaborazione e l’autore si occupa di curare le note, le prefazioni e le introduzioni a diverse opere di Sciascia, Dolci, Viganò, Tobino, Malcolm X, Revelli e Gramsci.[38] Nel giro di due decenni, in risposta al successo letterario sempre più crescente di Vassalli, i suoi stessi libri entrano a far parte della collana per ragazzi di Einaudi Scuola “I libri da leggere”: La chimera a cura di Vincenzo Viola, pubblicata nel 1993, e Cuore di pietra a cura di Giovanni Tesio, pubblicato nel 2000.

Lo scrittore inizia a insegnare in un periodo in cui la scuola subisce diverse trasformazioni, complici i tempi di protesta e i cambiamenti di fine anni Sessanta, e proprio nel 1962 la classe dirigente emana un importante provvedimento, con cui viene varata la scuola media unificata con obbligo fino ai tredici anni di età.[39] Da questo momento l’affluenza nelle scuole medie inferiori (come allora si chiamavano) aumenta, e se nel 1961, primo anno di Vassalli come insegnante, la percentuale degli iscritti è il 63,1% dei ragazzi dell’età relativa, nel biennio 1975-1976 si raggiunge il 100%. Per quanto riguarda invece il liceo, l’affluenza è decisamente minore ma comunque in crescita: nel 1961-62 più del 20% dei ragazzi dell’età relativa risulta iscritto, mentre nel 1975 si raggiunge il 50%.[40] La seconda metà del secolo, quindi, registra un’espansione rilevante delle attività scolastiche, come testimoniano questi dati, tanto che si parla di “scolarizzazione di massa”:[41] l’importante crescita demografica di questi decenni e le maggiori possibilità di vita e di lavoro mal si conciliano con i bassi livelli d’istruzione ancora in vigore dalla prima metà del secolo.

Negli anni Sessanta, al crescente numero di studenti nella scuola media unificata, il corpo docenti non riesce però a rispondere in modo adeguato: rimangono ancora in vigore programmi scolastici e tecniche di apprendimento e insegnamento che, anziché garantire una formazione completa, sembrano ostacolarla. Si deve aspettare il 1979 per una nuova legge di revisione dei programmi, ma già nel corso degli anni Settanta molti insegnanti si rendono più inclini all’accoglienza e alla promozione formale degli studenti, così da fornire una spinta per la ricerca di livelli di istruzione ancor più elevata.[42]

Sempre negli stessi anni, si diffonde tra gli studiosi di scienze dell’educazione, sociologiche ed economiche, la convinzione che le scuole gravino troppo sulle risorse dello stato e che questo investimento non sia redditizio: i giovani vengono educati a una cultura standardizzata, fatta di modelli consumistici e incapace di insegnare la promozione sociale che dice di perseguire. La proposta di questi “descolarizzatori” – termine coniato da Ivan Illich in Descolarizzare la società (1970) – è di sancire definitivamente la morte della scuola ed eliminare la figura di insegnante con le proprie pratiche ritenute “autoritarie”.[43] Di tutte queste tappe che la scuola ha dovuto affrontare nei decenni di fine secolo, specialmente negli anni Sessanta e Settanta, Vassalli ne è testimone e ricorda che insegnare ormai non è più considerato una vocazione, ma «una necessità»:

L’insegnamento nelle scuole medie e poi nelle medie superiori, in quegli anni, era un approdo obbligato: una necessità, per chi come me doveva mantenersi fin da subito, prima e dopo la laurea. Cos’altro avrei potuto fare? Ho assistito alla crescita (purtroppo, soltanto quantitativa), e poi all’esplosione della scuola italiana: dagli anni in cui mancavano gli insegnanti e si metteva in cattedra chiunque avesse una laurea o un diploma anche falso (c’erano anche le lauree e i diplomi falsi, sissignore), a quelli in cui arrivò l’onda d’urto dei cosiddetti “sessantottini”, ignorantissimi. Che essendo arrivati al titolo di studio a forza di assemblee e di voti politici e non avendo un bel nulla da insegnare, si impancavano a improbabili “maestri di vita”.[44]

Indubbiamente lo scrittore non ha esercitato la professione di insegnante per voler proprio, ma ha tentato nel suo piccolo di non cadere vittima dei numerosi cambiamenti in atto nella scuola di quegli anni. Forse mai avrebbe pensato di ritornare in quelle aule, dove un tempo aveva insegnato con così tanta fatica, per essere studiato dagli alunni, ma, essendo divenuto una delle figure letterarie più emblematiche dei tempi contemporanei, oggi lo troviamo citato e approfondito in molti manuali di letteratura italiana, come dimostrerò nel secondo capitolo.

[1] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.9, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[2] Ivi, p.17.

[3] Ivi, p.41.

[4] Dépliant della mostra di Sebastiano Vassalli alla galleria del Cavallino, Venezia 1964.

[5] Edoardo Sanguineti (1930-2010) è noto per il suo legame con il movimento della Neoavanguardia e per la sua produzione poetica, pubblicata quasi interamente da Feltrinelli. È stato inoltre un italianista, studioso di Dante e della poesia dell’ultimo secolo, e traduttore di opere di classici antichi e moderni.

[6] La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra (Novara, Biblioteca Civica Negroni, 23 novembre-11 dicembre 2017), a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta con presentazione di Giovanni Tesio, p.33, EDUCatt, Milano 2017.

[7] Giuseppe Langella, Pierantonio Frare, Paolo Gresti, Uberto Motta, Letteratura.it. Storia e testi della letteratura italiana, vol. 3b: La metamorfosi del canone. L’età della crisi. Dalle avanguardie storiche al Postmoderno, pp. N159-N162, Scolastiche Bruno Mondadori, Milano – Torino 2012.

[8] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.42, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[9] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.43, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[10] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, pp.23-29, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[11] Guido Davico Bonino (Torino, 1938) è un critico letterario e teatrale e un accademico italiano; è stato assunto come collaboratore da Italo Calvino per la casa editrice Einaudi, dove ha lavorato dal 1961 al 1978.

[12] La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra (Novara, Biblioteca Civica Negroni, 23 novembre-11 dicembre 2017), a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta con presentazione di Giovanni Tesio, p.43, EDUCatt, Milano 2017.

[13] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.48, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[14] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, pp.26-28, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[15] Jaufré Rudel (XII sec.) è stato un poeta e trovatore francese, i cui componimenti si distinguono per una ripetizione vocalica posta a chiusura di ogni strofa: «a a», che prende il nome di “razo en si”.

[16] Roberto Cicala, La sperimentazione editoriale del giovane Vassalli, in “Microprovincia” 49 (2011), pp.13-14.

[17] La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra (Novara, Biblioteca Civica Negroni, 23 novembre-11 dicembre 2017), a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta con presentazione di Giovanni Tesio, p.53, EDUCatt, Milano 2017.

[18] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, p.22, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[19] Ivi, p.43.

[20] La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra (Novara, Biblioteca Civica Negroni, 23 novembre-11 dicembre 2017), a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta con presentazione di Giovanni Tesio, p.61, EDUCatt, Milano 2017.

[21] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.99, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[22] Ivi, cit., p.53.

[23] Ivi, p.64.

[24] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, p.57, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[25] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, pp.97-99, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[26] Ivi, p.99.

[27] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, p.75, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[28] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, p.57, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[29] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, p.83, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[30] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., pp.82-83, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[31] Cfr. p.7.

[32] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, pp.102-103, Cadmo, Fiesole 2005 (“Scritture in corso”, 14).

[33] Ivi, p.151.

[34] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.53, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[35] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., pp.73-74, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

 

[36] Cfr. p.1.

[37] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., pp.33-34, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).

[38] La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra (Novara, Biblioteca Civica Negroni, 23 novembre-11 dicembre 2017), a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta con presentazione di Giovanni Tesio, p.25, EDUCatt, Milano 2017.

[39] Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana: dal 1946 ai nostri giorni, p.69, GFL Editori Laterza, Roma-Bari, 2014 (“I Robinson. Letture).

[40] Ivi, p.72.

[41] Saverio Santamaita, Storia dell’educazione e delle pedagogie, pp.120-121, Bruno Mondadori, Milano 2013 (“UBM: Università Bruno Mondadori”).

[42] Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, p.73, GFL Editori Laterza, Roma-Bari, 2014.

[43] Saverio Santamaita, Storia dell’educazione e delle pedagogie, pp.123-124, Mondadori Bruno, Milano 2013 (“UBM: Università Bruno Mondadori”).

[44] Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, cit., p.33, Interlinea, Novara 2010 (“Biblioteca del Centro novarese di studi letterari”, 51).


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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La “locomotora” di via Diaz: Pablo Neruda e i Tallone https://editoria.letteratura.it/la-locomotora-di-via-diaz-pablo-neruda-e-i-tallone/ https://editoria.letteratura.it/la-locomotora-di-via-diaz-pablo-neruda-e-i-tallone/#respond Sun, 02 Oct 2022 17:46:37 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8806 Uno studio che ricostruisce l’insolita relazione tra il poeta Pablo Neruda, la bottega tipografica dei Tallone e una locomotiva parcheggiata nel loro giardino. Fin da piccoli Alberto e Guido Tallone adorano i treni. Ad Alpignano si assiste a una specie di vero e proprio rito, ogni volta che il Roma-Parigi transita per la stazione: cronometro […]

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Uno studio che ricostruisce l’insolita relazione tra il poeta Pablo Neruda, la bottega tipografica dei Tallone e una locomotiva parcheggiata nel loro giardino.

Fin da piccoli Alberto e Guido Tallone adorano i treni. Ad Alpignano si assiste a una specie di vero e proprio rito, ogni volta che il Roma-Parigi transita per la stazione: cronometro alla mano, i due fratelli ne verificano la puntualità, cercano di cogliere con gli occhi i visi dei viaggiatori, a volte mettono addirittura una monetina sui binari – il passaggio del treno l’avrebbe deformata in maniera unica e questo avrebbe significato ogni volta qualcosa di nuovo e di emozionante –.[1]

Siamo nel 1960, l’anno dell’inaugurazione della “casa-bottega” tanto desiderata da Alberto: giunge la notizia dell’ultimo transito di una vecchia locomotiva a vapore, costruita nel 1900[2] dalle Officine di Saronno e attiva presso lo scalo ferroviario interno al Lingotto torinese. Il suo destino è la demolizione, almeno fino a quando i Tallone non intervengono. Alberto e Guido contattano il presidente della Fiat in persona, Vittorio Valletta, e lo convincono ad effettuare uno scambio: classici danteschi e un quadro di Guido in cambio della locomotiva.

Gli operai addetti alle demolizioni erano già con la fiamma ossidrica in mano, ma furono fermati pochi minuti prima che il fuoco cominciasse a violare questo cimelio. Ad Alpignano raccontano che ci rimasero male. Poi la grande locomotiva fu posta nel giardino dei Tallone, venne costruita una linea di 45 metri che collegava le case di Guido e di Madino. Si facevano visita l’un l’altro mettendola in pressione, tirando la sirena dopo gli sbuffi del vapore, ricordando l’epoca dei loro viaggi, quando la natura li raggiungeva ai finestrini di un treno e non si doveva cercarla e scoprirla come una rarità. Diventò una parte della tipografia, anzi per taluni aspetti ne testimoniava il carattere, e ricordava ai visitatori che i padroni di casa avevano un ospite fisso, che un giorno si chiamava sogno e quello successivo fantasia. Per questi e per altri motivi la locomotiva conobbe un successo singolare.][3]

Ben presto il giardino dei Tallone fa spazio a una vaporiera a scartamento ridotto, proveniente dalla Val di Susa, con tanto di vagoncini, pompa per caricare l’acqua nel serbatoio, orologio a muro e panchina in stile liberty. A casa Tallone si fa merenda in giardino, in una vera e propria stazione.

Molti dei celebri ospiti e clienti della casa editrice rimangono meravigliati dall’atmosfera che scaturisce da un “gigante di ferro” in giardino; non pochi chiedono di fare un giro a un entusiasta Alberto, che non perde mai occasione di calarsi nei panni di capotreno e di mettersi alla guida. Rimane perciò piacevolmente sorpreso quando, il 7 giugno del 1962, trova sulla sua locomotiva Pablo Neruda[4] e la compagna Matilde Urrutia,[5] sorridenti e del tutto dimentichi di essere attesi per il pranzo.

Pablo Neruda scopre la figura di Alberto Tallone e le edizioni di classici da lui curate già nel 1955.[6] Questo motiva la presenza, nel finale della sua Oda a la Tipografía, dove innalza alle vette dell’arte i tipografi e i bibliofili, le iniziali A e T, chiaro riferimento ad Alberto Tallone.[7]

È nel 1962 che il poeta cileno ha la possibilità di entrare in contatto con Tallone in persona: si trova a Milano, in galleria, quando scorge nella vetrina della libreria Garzanti una copia delle edizioni Tallone. È un attimo: Pablo entra assieme a Matilde e riesce a farsi combinare un incontro con Alberto per l’indomani, il 7 giugno. La notizia mette in subbuglio la “casa-bottega” alpignanese: mentre Bianca pensa ad allestire un pranzo degno degli ospiti che stanno per ricevere, Alberto prepara la locomotiva: «noi si mise dentro fascine, paglia e gli si fece fumare la locomotiva, per rendere omaggio al poeta».[8]

Quando Pablo e Matilde arrivano in via Diaz rimangono basiti: la visione della locomotiva, delle rotaie e dell’abbondante fumo nero li coglie di sorpresa. «Credemmo di aver sbagliato direzione, forse eravamo giunti alla stazione del paese»,[9] scrive Neruda nell’Addio a Tallone: in realtà il posto è quello, solo l’orario è sbagliato. Sono le due e mezza, gli ospiti erano attesi per pranzo. Quando Alberto, preoccupato per il ritardo, decide di uscire nel parco, è il suo turno di rimanere a bocca aperta: Neruda e Matilde sono sulla locomotiva.

Durante il pranzo il poeta parla con entusiasmo di treni, di locomotoras[10] e di libri, non vede l’ora di esplorare il mondo da lui tanto esaltato della stampa a caratteri mobili; fa il giro dei libri, rimane incantato da I promessi sposi, le Rime dantesche, i testi dei grandi filosofi greci presocratici. Pablo Neruda in quel momento si innamora delle edizioni Tallone, non potrà più farne a meno.

Una settimana dopo arriva ad Alberto la prima di una lunga serie di lettere scritte dal poeta. Con grande affetto Neruda ricorda la permanenza ad Alpignano, piacevole in ogni dettaglio (dalla stamperia, al vino, alla sorprendente e inaspettata locomotiva)[11]; aggiunge inoltre che ha inviato a Bellini[12], traduttore di fiducia, un testo che – il poeta ci tiene molto a sottolinearlo – «c’est totalement inédit même en espagnol».[13] Prospetta anche altre collaborazioni con il traduttore (parla di un Bestiario, di un Herbario e di venti poemi d’amore – che andranno poi a comporre per l’appunto Venti poemi d’amore e una canzone disperata) e concede ad Alberto di scegliere ciò che più gli piace: «le reste jetez le à la locomotive parce que cette fumée rendra justice»,[14] conclude scherzosamente Neruda.

Alberto non perde tempo: la prospettiva di stampare un inedito di Neruda (dal titolo provvisorio di Sumario) è fin troppo allettante; per la prima volta dall’Ange di Valery un poeta contemporaneo va a scuotere il rigido catalogo di classici editi da Tallone. La risposta del poeta non si fa attendere: in una seconda lettera Neruda scrive qualche frase tratta dall’introduzione di Sumario, scusandosi per la brevità della citazione e per la potenziale indecifrabilità della scrittura, per la quale però Bellini, abituato alla calligrafia del cileno, avrebbe sicuramente potuto dare il suo aiuto.

È proprio il traduttore che, in una lettera del 27 novembre, scrive a Neruda che i preparativi stanno andando per il meglio e che «Tallone está cada vez más entusiasmado y pienso salga algo bueno»[15]. Il buon auspicio viene confermato dal poeta stesso che dopo qualche giorno invia un telegramma ad Alberto, con il quale valuta il quartino di prova composto dall’editore-tipografo e spedito a Capri, dove Neruda si trova in vacanza. Il messaggio è incisivo ma chiaro: «bellas rimas gracias y gracias».[16] La composizione può proseguire.

In conclusione del 1962 Neruda scrive all’editore «cher ami» quello che è stato scelto da lui come titolo definitivo e completo: Sumario. Libro donde nace la lluvia.[17] Il rapporto tra i due è già a quest’altezza molto forte: Alberto in una lettera del 2 novembre, oltre a parlare dell’incontro con Bellini e della volontà di inviare a Neruda una prima tiratura del testo per avere la sua benedizione, non manca di ringraziare per i complimenti (che nelle lettere del poeta non mancano mai) e di salutare la consorte Matilde; lo stesso Neruda nella lettera sopra citata augura un buon anno a Bianca (o meglio Blanca, come talvolta gli sfugge) e ai piccoli Aldo e Enrico, chiamati affettuosamente Talloncinos.

Tra i due il più entusiasta per l’uscita di Sumario è sorprendentemente Neruda: scrive più volte che non vede l’ora di avere tra le mani il libro compiuto, la sua prima opera edita da Tallone.[18] Il suo desiderio si realizza il 30 aprile 1963, quando Sumario esce in lingua; la traduzione arriva nel settembre del medesimo anno.[19]

Questo testo si rivela singolarmente adatto nel ricoprire il ruolo di primo collegamento tra le due figure di Alberto Tallone e Pablo Neruda.

Neruda era un poeta popolare, socialista, che credeva nella poesia come educazione e riscatto delle classi umili. Le immagini di Sumario sono tratte dalla concretezza della vita quotidiana. Il ritratto di «mamadre» […] riportava Madino agli anni dell’infanzia vissuti con sua madre nel podere Jaquet. C’è una complicità segreta tra le “povere” e potenti immagini di Sumario e la purezza della stampa artigianale che ce le svela. Foglio dopo foglio. Da un inverno a un altro inverno. La composizione manuale a caratteri mobili richiede un lungo tempo, che affascina Neruda. Ora che la vita si è consumata e ha perduto le scorie impure, i sogni fallaci, l’infanzia assume un valore purificatorio. […] Questa infanzia, vissuta in una natura ostile, la terra delle «Cordigliere, di fiumi e di arcipelaghi che a volte non conoscono il loro nome»,[20] Neruda affidava a Tallone, «rettore della suprema chiarità»,[21] la cui arte era paragonata dal poeta al lavoro incessante delle api; come dal «favo selvatico», così dal suo torchio esce il miele profumato.[22]

Nelle lettere successive il poeta cileno si dimostra soddisfatto del lavoro di Alberto[23], dimostrando medesimo entusiasmo per la versione tradotta da Bellini – in una cartolina della splendida Laguna Azul (presso Magallanes, in Cile) definisce il Sumario italiano «bello come un glaciar» – e rassicura l’amico più volte: «j’écrirais des poèmes en prose pour Tallone».[24] Il livello di confidenza tra i due si fa sempre più alto, tanto che nel 1964, in occasione della pubblicazione a Buenos Aires di Memorial de Isla Negra e del sessantesimo compleanno dell’autore, Alberto riceve da Parigi un poncho, pegno di devozione e amicizia da parte di Neruda.[25]

Ciò nonostante passa un anno prima che riprenda la comunicazione tra Alberto e Pablo: è quest’ultimo a scrivere per primo, adducendo come motivi del suo silenzio «de long voyages, de travaux interminables et embêtants».[26] Non dimentica però quello che lui definisce «orgueil de me sentir ami de Tallone»[27] e gli propone di incontrarsi nel mese di giugno nella città di Londra, dove per l’appunto è in programma la mostra Special Editions of Dante’s Works published by Alberto Tallone presso l’Institute of Italian Culture.

La corrispondenza riprende, i toni sono ora ufficiali ora familiari: ad esempio Alberto (che ha preso a firmarsi Madino nelle lettere rivolte al poeta), in occasione di una celebrazione in onore di Dante presso la stamperia di Alpignano, non manca di sottolineare all’amico appassionato di treni che «dans le même temps j’inaugurerai le petit train complet»,[28] cioè la vaporiera della Val di Susa. Più volte le due coppie si incontrano a Roma, all’Hôtel Inghilterra o al Caffè Greco, e il tempo sembra volare: Bianca non può fare a meno di chiedere notizie di Pablo e di Matilde in un foglietto volante datato 2 ottobre 1966[29], sebbene qualche mese prima avessero inviato ai Neruda una cartolina dalla città di Madrid.[30] In risposta ecco che arriva un’altra cartolina, questa volta personalizzata: una bella foto di Matilde e Pablo, sulla quale con un pennarello verde (spesso usato dal poeta per scrivere) sono disegnati due cuori all’altezza del petto della coppia. Sotto la foto, una didascalia: «A los Tallones, nuestros corazones», l’ultima parola collegata ai due cuori da un tratto. I Tallone, a loro volta, rispondono con i loro «quattro cuori» in una delle ultime lettere: Alberto insiste in maniera sottile sui tanto attesi «poèmes en prose» e propone un incontro per la fine del mese.[31] Pablo Neruda e Alberto Tallone si vedono per l’ultima volta a Roma nel febbraio del 1967; l’editore muore a marzo.

La notizia raggiunge Isla Negra più di un anno dopo e colpisce nel profondo il poeta.

Bianca chérie, «ça» a été terrible pour moi, pour nous. Je ne savais relirea jus’quà bien que j’ai reçu.
Notre grand ami, notre grand homme, ce poète du livre!
Mais vous avez choisi la ligne du courage, qu’il aurait approuvé. C’est merveilleux que vous continuez son travail.
J’écrirai une dédicace pour lui et je vous fait arriver un autre chapitre que j’avais oublié.
Bianca, Matilde et moi nous vous embrassons avec tout notre cœur.[32]

La lettera, datata 7 maggio 1968, è carica di dolore e nostalgia, ma anche di profonda ammirazione per Bianca, che con coraggio ha deciso di portare avanti il mestiere del marito.

È il 23 maggio: Pablo inizia la sua lettera intestandola ai «queridísimi Tallone» e la imposta con toni ben diversi rispetto a quelli sommessi e trattenuti della missiva  precedente; in lui la gioia, l’entusiasmo, il ricordo del caro amico compianto e la volontà di aiutare la lodevole Bianca hanno avuto la meglio sul rammarico e sul lutto. Finalmente i «poèmes en prose» sono pronti: la vecchia promessa è stata mantenuta.

 Queridísimi Tallone:
Le silence est fini! Je vous aime et vous admire!
Bonjour, Bianca Leonardina!
Bonjour, imprimerie!
Bonjour, locomotive!
J’avais beaucoup de honte parce que je n’avais pas ancore fait ce livre de poèmes en prose que Tallone, me faisant grand honneur, m’avais demandé. Maintenant le voici: il est très court mais il n’est pas mal. Je me permets de conseiller à mon plus admiré typographe-éditeur que les caractères soient très, très grands. Comme ça, le livre ne sera pas trop petit.
Edition de peu d’exemplaires? Enfin, vous fairez ce que vous voudrez. Le livre est votre.
Je vous salue avec grande amitié et émotion. L’année prochaine nous voulons boire avec vous à votre trattoria.
Adieu, au revoir, à tantôt.
Abrazos de Matilde y Pablo[33]

L’opera in questione, La Copa de Sangre, si conclude, per volere stesso del poeta, con un toccante saluto all’amico Alberto, «maestro moderno della tipografia».[34] I «pochi esemplari» prospettati da Neruda in realtà eccedono di gran lunga quella che è la normale tiratura dei Tallone: del libro, edito nel 1969, vengono realizzate oltre cinquecento copie, a dimostrazione di quanto Bianca abbia preso in considerazione l’affermazione dell’autore, «le livre est votre».

La giovane vedova viene invitata alla presentazione di La Copa de Sangre a Santiago del Cile, il 12 settembre 1970. Il viaggio è pagato da Neruda in persona, ma all’ultimo Bianca è costretta a rinunciare: «non potevo muovermi dovendo gestire da sola la stamperia e i figli erano ancora piccoli»,[35] scrive in una lettera del 2003. Va così sprecata l’unica occasione per la donna – e, in qualche modo, anche per il compianto Alberto – di visitare quella Isla Negra tanto amata dal poeta.[36]

Gli anni passano: Bianca si occupa della stamperia di Alpignano con impegno, osservando da lontano quello che accade oltreoceano. Così nel 1971 viene a sapere che il premio Nobel tanto ambito, dopo un “volo” piuttosto lungo (per dirla con le parole usate dal poeta nel 1963), è finalmente atterrato in grembo a Pablo Neruda.[37] È datata 19 marzo 1972 la lettera in cui il cileno fa dono a Bianca del discorso pronunciato a Stoccolma in occasione della cerimonia;[38] ancora una volta Pablo vuole che l’arte dei Tallone consacri alla storia una sua opera, ancora una volta il profondo sentimento di amicizia e affetto nei confronti di Alberto e Bianca lo porta ad aiutare come può la stamperia di Alpignano e chi la vive ogni giorno.[39]

Bianca Tallone e Pablo Neruda si incontrano per l’ultima volta qualche tempo dopo, a Milano. Il poeta da qualche tempo è malato, ma non riesce a rinunciare all’incarico di ambasciatore del Cile a Parigi, né tantomeno alla mostra sui pittori della Resistenza spagnola organizzata nel capoluogo lombardo, a cui assiste con interesse.

Bianca lo vede all’Hôtel Duomo, mentre mangia scampi fritti, la sua passione.[40]

Appena lui mi ha visto, mi è corso incontro, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Ho un regalo per te», e mi ha dato una scatolina di legno e argento. «Questi gemelli li ho fatti fare apposta per te da un artigiano che lavora l’argento, in Cile». Erano due gemelli a forma di locomotiva. Uguale uguale a quella del nostro giardino. Guarda caso quella sera avevo proprio la camicetta giusta, con le asole. Allora lui si è avvicinato e ha infilato i due gemelli ai polsini bianchi della mia camicetta. Quella è stata l’unica volta in cui li ho indossati.[41]

Il 23 settembre 1973 Pablo Neruda si spegne guardando il mare della sua Isla Negra. È Matilde, quasi un mese dopo, a dare il triste annuncio a Bianca, con una telefonata proveniente dal Venezuela.[42] Tra le due donne, entrambe giovani vedove, la corrispondenza continuerà, in nome dell’amicizia profonda che le lega e che animava i due uomini da loro molto amati.

Pablo ha però in serbo per i Tallone un’ultima sorpresa “postuma”: è l’inizio di novembre quando Matilde scrive a Bianca per ringraziarla del conforto dopo il lutto.[43] La informa che il poeta ha lasciato sei libri inediti; uno di questi è stato riservato appositamente per Bianca, qualora avesse interesse nel pubblicarlo.

La vicenda di questo caso, che unisce per l’ultima volta il nome di Neruda a quello dei Tallone, è degna di nota: l’inedito arriva ad Alpignano il 26 novembre, la lettera che lo accompagna lo presenta con lo stravagante titolo di 2000.[44] La stampa tanto attesa cade improvvisamente nell’oblio, il manoscritto scompare. Solo trent’anni dopo, aprendo un cassetto, il ritrovamento. 2000 viene composto, assieme alla lettera di Matilde e a un saggio dello storico traduttore Giuseppe Bellini, nel 2004, in occasione del centenario della nascita di Neruda.[45]

Anche a distanza di tempo, Alberto Tallone e Pablo Neruda rimangono uniti indissolubilmente; a rappresentare questo legame profondo e straordinario, la locomotora, simbolo del loro destino condiviso.

Valentina Giusti

 

[1] Cfr. Maurizio Pallante, I Tallone, p. 95.

[2] È ad oggi la più antica macchina italiana conservata.

[3] Armando Torno, La tipografia dei Tallone, un carattere per il futuro, in “Corriere della Sera”, 10 ottobre 2010.

[4] Pablo Neruda, pseudonimo legalmente riconosciuto di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, nato nel 1904 a Parral (Cile), è tra le più importanti personalità della letteratura latino-americana contemporanea. Ricopre anche diverse cariche politiche: console in Birmania, a Barcellona, a Batavia, a Singapore; riceve l’incarico di console generale a Città del Messico, dove ha la possibilità di rappresentare la propria patria. Il 4 marzo 1945 ottiene la sua prima nomina ufficiale come senatore indipendente in Cile e pochi mesi dopo prende la tessera del Partito Comunista. A causa però dei rapporti tesi tra Neruda e il candidato ufficiale del Partito Radicale per le elezioni presidenziali, Gabriel González Videla, per il quale in un primo momento dirige la campagna elettorale, il poeta culmina in un drammatico discorso (il celebre Yo acuso del 1948) dove vengono elencati i nomi dei minatori tenuti prigionieri nella regione di Bío-Bío, a Lota, per reprimere uno sciopero. Videla emana un ordine d’arresto contro Neruda, per sottrarsi al quale il poeta è costretto all’esilio. Può ritornare in patria solo con l’avvento al potere dell’amico Salvador Allende. Definito da Gabriel García Márquez «il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua» e considerato da Harold Bloom tra gli scrittori più rappresentativi del canone occidentale, è insignito nel 1971 del Premio Nobel per la letteratura – si ricorda anche il premio Lenin per la Pace (1953) e una laurea honoris causa presso Oxford (1965) –. Pablo Neruda muore a Santiago del Cile poco dopo il golpe del generale Augusto Pinochet – a causa del quale stava per andare nuovamente in esilio – nel 1973 (il mistero aleggia attorno alla sua morte: anche se ufficialmente archiviata come causata da un tumore, non si può ancora escludere l’ipotesi di omicidio).

[5] Matilde Urrutia (1912-1985) è una cantante cilena. Incontra per la prima volta Pablo Neruda a Santiago nel 1946, con il quale inizia una relazione clandestina; il poeta, una volta rientrato in Cile, lascia la seconda moglie Delia del Carril per Matilde, con la quale resta sposato dal 1966 fino alla morte. È lei a curare la pubblicazione postuma del libro di memorie di Neruda, Confieso que he vivido (Confesso che ho vissuto). Queste e altre attività l’hanno portata in conflitto con il governo di Pinochet, che ha più volte cercato di sopprimere la memoria di Neruda.

[6] «Quindici anni fa il poeta cileno vide per la prima volta un libro stampato dal tipografo-editore piemontese: erano le poesie di Baudelaire, senza note né commento, presentate in una veste che giudicò perfetta. Da allora nutrì il desiderio di conoscere Alberto Tallone». Da Pablo Neruda parla dei poeti italiani, in “La Stampa”, 8 giugno 1962.

[7] Questa ode vede la stampa nel 1983, tradotta in Ode alla Tipografia, quando il poeta e il suo stampatore sono già morti: la composizione è a cura dei figli di Alberto, Aldo e Enrico. Così scrive Pablo Neruda in questo poema: «Lettere, / continuate a cadere / come pioggia necessaria / sulla mia strada. / Lettere di tutto / ciò che vive / e che muore, / lettere di luce, di luna, / di silenzio, / d’acqua, / vi amo, / e in voi / raccolgo / non solo il pensiero, / e il combattimento, / ma i vostri vestiti, / i sensi / e i suoni: / A / di gloriosa avena, / T / di trigo [frumento] e di torre / e M / come il tuo nome / di mela». Oltre alle iniziali del futuro amico Alberto è presente la lettera M, riferita all’amata Matilde. Cfr. Pablo Neruda, Oda a la Tipografía, Tallone Editore, Alpignano 1983: Id., Ode alla Tipografia, a cura di Giuseppe Bellini, ivi, 2010; «Ode alla Tipografia»: Neruda e Tallone rivivono con Colophon, in “Corriere delle Alpi”, 4 gennaio 2011.

[8] Giorgio Calcagno, La locomotiva di Neruda, in «La Stampa», Torino, 23 ottobre 1997.

[9] Pablo Neruda, Addio a Tallone, in La Coppa di Sangue, traduzione italiana di Giuseppe Bellini, Tallone Editore, Alpignano 1997, p. 83.

[10] «A pranzo ci ha raccontato che il suo babbo di mestiere faceva il conducente di locomotive e che spesso lui, da piccolo, lo aveva accompagnato in uno dei suoi viaggi attraverso il Cile. Era pieno di gioia perché la nostra locomotiva gli ricordava tanto quella del padre», così Bianca ricorda il primo incontro con Neruda in un’intervista rilasciata a Sara Beltrame e contenuta in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto, supplemento a “Colors”, 62 (2004) realizzato da Dipartimento Scrittura Creativa di Fabrica.

[11] «Querido maestro, amico y hermano, je vous envoie seulement deux mots de joie à cause du grand bonheur de vous avoir connu, votre compañera Blanca, votre maison, votre imprimerie légendaire, le vin (j’ai oublié une bouteille), la vieille maison au salon rougeorangegranate, le bistrot magnifique et last but not last la locomotive dont la fumée cordiale est encore dans nos cœurs»; Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Arezzo, 14 giugno 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone. Tutte le lettere di Neruda e Matilde sono state dattilografate in «Cher ami…». Lettere di Pablo Neruda a Alberto e Bianca Tallone, a cura di Antonio Motta, in “Nuova Antologia”, 2229 (2004), pp. 178-189.

[12] Giuseppe Bellini, nato nel 1923, ha insegnato presso diverse università italiane: tra le cattedre ricoperte si ricorda quella di Letteratura Spagnola e di Letteratura ispanoamericana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Bocconi di Milano e di Lingua e Letteratura spagnola presso l’Università Cattolica di Brescia e di Milano. Ha tenuto conferenze in università europee e americane e diretto missioni culturali per incarico del Consiglio Nazionale delle Ricerche. È stato premiato con molti riconoscimenti ufficiali e gli sono state conferite ben quattro lauree honoris causa (presso le università di Mérida, Salamanca, Perpignan e Napoli). Ad oggi ha pubblicato fino ad oggi 58 volumi di critica letteraria nell’ambito ispanico e americano, più di 500 tra saggi e recensioni, circa 100 volumi di traduzioni e edizioni di testi (specialmente di letteratura spagnola medievale, teatro spagnolo e americano e autori contemporanei).

[13] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Arezzo, 14 giugno 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[14] Ibidem.

[15] Giuseppe Bellini a Pablo Neruda, Roma, 27 giugno 1962, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[16] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Capri, 29 giugno 1962, telegramma, Archivio Tallone.

[17] «Cher ami: voici le titre complet: Sumario Libro primero donde nace la lluvia on peut supprimer Primero et si vous preferez aussi Libro restant seulement donde nace la lluvia». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, dicembre 1962, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[18] «Je suis heureux de voir approcher le moment où le livre sera né». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 20 gennaio 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[19] L’edizione originale in spagnolo fu stampata in 300 esemplari: 15 su Japan Kifì nacré, 50 su vergata Van Gelder Zonen e 235 su Magnani di Pescia.

[20] Pablo Neruda, prefazione a Sommario. Libro dove nasce la pioggia, a cura di Giuseppe Bellini, Tallone Editore, Alpignano 1963, p. 11.

[21] Ibidem.

[22] «Cher ami…». Lettere…, pp. 5-6.

[23] In una lettera gli chiede addirittura dove acquistare l’edizione talloniana di Sumario a Parigi (scrive che alcuni suoi amici «l’ont cherché sans succès»). Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 28 agosto 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[24] Neruda in questa lettera si dimostra un poco abbattuto: «Au revoir, le Nobel a volé sur moi et s’est perdu dans le ciel grec», così scrive; il premio Nobel del 1963 infatti viene assegnato al poeta, saggista e diplomatico greco Giorgos Seferis, “volando” al di sopra del poeta cileno. Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 25 ottobre 1963, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[25] «Cher ami, cet poncho est pour vous. Je l’apporte de notre Amérique avec toute mon amitié et admiration». Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Parigi, 7 aprile 1964, biglietto manoscritto, Archivio Tallone.

[26] Pablo Neruda ad Alberto Tallone, Isla Negra, 19 febbraio 1965, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[27] Ibidem.

[28] Alberto e Bianca Tallone a Pablo Neruda, Alpignano, 7 settembre 1965, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[29] Nel medesimo biglietto compare un altro messaggio: «Quando torna nella mia officina?», firmato Madino T..

[30] La cartolina, destinata al “Poeta” Pablo Neruda, reca: «Il tipografo di Neruda che aspetta un nuovo testo: i Poemi in prosa. Con affetto, l’amico Tallone e la sua Bianca». La promessa fatta dal poeta tre anni prima è fissa nella mente dell’editore, anche mentre è impegnato nella mostra madrilena sulle edizioni dantesche. Alberto e Bianca Tallone a Pablo Neruda, Madrid, 25 maggio 1966, cartolina, Archivio di Santiago.

[31] «Hier soir nous étion dans une assemblée très élevée et Bianca a lu plusieurs poèmes de Sumario. […] J’ai annoncé que j’attends de vous les “poems en prose”. Quand on pourrait se revoir? Vers la fin du mois je me rends à Paris». Alberto (Madino) e Bianca Tallone a Pablo e Matilde Neruda, Alpignano, 7 gennaio 1967, copia dattiloscritta, Archivio di Santiago.

[32] Pablo Neruda a Bianca Tallone, Isla Negra, 7 maggio 1968, lettera manoscritta, Archivio Tallone.

[33] Pablo e Matilde Neruda ad Alberto e Bianca Tallone, Isla Negra, 23 maggio 1968, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[34] Pablo Neruda, Addio a Tallone, in La Coppa di Sangue, p. 80. Per l’opera e le edizioni talloniane si veda il capitolo II.2.

[35] Bianca Tallone ad Antonio Motta, 19 novembre 2003, lettera.

[36] «[Pablo Neruda] Mi raccontava sempre di Isla Negra. Ci sedevamo al tavolo, qui, per mangiare – per lui era sempre una festa mangiare insieme e bere il vino rosso – e iniziava a raccontare di Isla Negra. “Devi venire a vedere Isla Negra. Perché non è come tutti i posti di mare che si trovano nel mondo. Lei ha dei fiori, Bianca, dei fiori che arrivano magari fino al soffitto!”. Mi aveva spedito il biglietto per Isla Negra, un giorno, ma io avevo i due bambini piccoli, mio marito era morto, ero sola e così non sono potuta partire. Non ci sono mai andata»; Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[37] Questa la motivazione dell’assegnazione del premio: «per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino ed i sogni del continente [americano]». Cfr. <http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1971> (ultima consultazione 8 gennaio 2016).

[38] «Chère et belle amie Bianca, je vous envoie le Premier Discours, très court. Je pense che peut être on pourrait le faire en cursive (bastardilla) très grande, même 22, comme dans les éditions Foppens, flamandes du XVII ou certaines Bodoni. C’est à vous, charmante autorité, de décider». Pablo Neruda a Bianca Tallone, Normandia, 19 marzo 1972, lettera manoscritta, Archivio Tallone. I caratteri olandesi richiesti da Neruda in questa lettera non vengono adoperati (la stamperia infatti non ne possedeva di tale tipo), si opta invece per i “talloniani” Garamond. Dell’edizione, in lingua spagnola, vengono impressi 270 esemplari su carta Sant’Ilario di Pescia, 35 su carta Japan Hosho, 25 su carta Torinoko Kozu, 10 su carta Torinoko Elfenbeine. La prima copia del Discorso di Stoccolma viene inviata al presidente del Cile Salvador Allende, amico fraterno di Neruda.

[39] «Siamo diventati subito amici, dal primo giorno. Quando mio marito è morto lui mi ha detto: “Bianca, tu devi continuare!”, così mi ha detto e mi ha dato da pubblicare il discorso di Stoccolma, quello del premio Nobel. Allora mi son fatta coraggio e ho iniziato a lavorarci e, mentre stampavo, insegnavo ai miei due figli questo mestiere e loro poi lo hanno insegnato ai loro figli. Era un uomo straordinario!»; Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[40] Cfr. Bianca Tallone ad Antonio Motta, 1 dicembre 2003, lettera.

[41] Bianca Tallone nell’intervista di Sara Beltrame in Ricardo Neftalí Reyes Basoalto.

[42] «Si era rifugiata da amici fedeli, dove si sentiva più tranquilla e molto più sicura»; Bianca Tallone ad Antonio Motta, 23 novembre 2003, lettera.

[43] «Queridísima Bianca, muchas gracias por tus cariñosas palabras, que me han servido de consuelo en estos duros momentos de immenso dolor». Matilde Neruda (Urratia) a Bianca Tallone, Isla Negra, 1 novembre 1973, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[44] «Bianca queridísima, aqui te mando este libro de Pablo que lo tituló 2000». Matilde Neruda (Urratia) a Bianca Tallone, Caracas, 26 novembre 1973, copia dattiloscritta, Archivio Tallone.

[45] Cfr. Pablo Neruda, 2000, Tallone Editore, Alpignano 2004.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Promotori e pionieri di un’editoria “sin fronteras”: l’avventura di Formentor https://editoria.letteratura.it/promotori-e-pionieri-di-uneditoria-sin-fronteras-lavventura-di-formentor/ https://editoria.letteratura.it/promotori-e-pionieri-di-uneditoria-sin-fronteras-lavventura-di-formentor/#respond Sun, 02 Oct 2022 17:35:22 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8803 La presentazione di uno studio sul premio Formentor che ricostruisce gli sviluppi che il famoso riconoscimento letterario ha avuto nel corso degli anni. Obiettivo primario di questa tesi è stato definire e storicizzare i premi letterari di Formentor, riassumendo le loro principali funzioni e le modifiche susseguitesi nel corso degli anni, tanto nell’impostazione degli eventi, […]

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La presentazione di uno studio sul premio Formentor che ricostruisce gli sviluppi che il famoso riconoscimento letterario ha avuto nel corso degli anni.

Obiettivo primario di questa tesi è stato definire e storicizzare i premi letterari di Formentor, riassumendo le loro principali funzioni e le modifiche susseguitesi nel corso degli anni, tanto nell’impostazione degli eventi, quanto nei contenuti. Il Premio Formentor e il Premio Internacional de los Editores sono riconoscimenti letterari introdotti nel 1961 da Carlos Barral – direttore della casa editrice catalana Seix Barral –, con la fondamentale collaborazione dell’editore italiano Giulio Einaudi e l’appoggio di una decina di altre case editrici internazionali, nonché dei proprietari dell’Hotel Formentor di Maiorca, convertitosi in quell’epoca in importante centro letterario. Gli eventi tenuti sull’isola sono quindi determinati da un clima internazionale unico per quegli anni, soprattutto in riferimento alla situazione politica e culturale della Spagna del tempo. In un contesto di controllo e censura asfissianti da parte del regime franchista, che pretende di filtrare tutte le pubblicazioni spagnole e impedire la circolazione di quelle straniere, gli incontri di Formentor riescono a creare un ponte di collegamento tra il Paese iberico e il resto del mondo, permettendo un confronto culturale e un dibattito letterario senza eguali. Ma cosa davvero può spingere tredici editori di tutto il mondo – e i loro inseparabili autori – a ritrovarsi ogni anno per parlare di letteratura, nonostante i rischi politici e il dispendio economico che questo comporta?

Cercando di dare una risposta alla questione, il lavoro prende il via da un’analisi delle origini degli incontri di Formentor, seguendone gli sviluppi degli anni successivi. La vera sfida nel far questo, si è rivelata la ricerca del materiale bibliografico da utilizzare. Il tema risulta, infatti, poco trattato in lingua italiana, sia dai libri di letteratura sia da quelli dedicati agli editori e alle relazioni con la Spagna del periodo franchista. Il lavoro si è svolto, perciò, principalmente su testi e fonti d’archivio in lingua spagnola, come l’Archivo General de la Administración (AGA) di Alcalá de Henares e i fondi dedicati a Carlos Barral e Josep Maria Castellet contenuti presso la Biblioteca Nacional de Catalunya a Barcellona. Le biblioteche frequentate più assiduamente sono state la Biblioteca dell’Universidad de Alcalá de Henares e la Biblioteca Nacional de España, nelle due sedi di Madrid e Alcalá, dove è stato possibile consultare diversi libri, utili soprattutto per calarsi in maniera precisa nel contesto storico del periodo interessato. I testi ritenuti più utili, in ogni caso, restano quelli contenenti le memorie di Carlos Barral, vera essenza di pensieri, fatti storici e considerazioni del grande editore, fondamentali per capire la mentalità e la personalità di chi stava dietro ai colloqui tenuti sull’isola. Partendo dal fatto che la carenza di testi dedicati all’argomento si riscontra in lingua italiana, è stata presa la decisione di tradurre sempre tutto ciò che veniva riportato nell’elaborato, cercando di mantenere il più possibile il significato originale. Dopo una prima parte d’introduzione al difficile quadro storico in cui nascono e si sviluppano i premi di Formentor, sono riassunte, in maniera sintetica ma significativa, le vicende biografiche del poeta e editore Carlos Barral, figura di spicco dell’editoria spagnola del secolo XX, e gli stretti legami d’amicizia da lui creati con gli intellettuali barcellonesi del suo tempo, che avrebbero contribuito attivamente agli ambiziosi progetti letterari di Seix Barral. Per quanto riguarda i rapporti della casa editrice catalana con gli editori e autori internazionali, tre sono i punti sui quali si è voluto insistere: i contatti con l’Italia, basati soprattutto sull’amicizia con Giulio Einaudi e i suoi collaboratori, tra i quali spiccano Italo Calvino ed Elio Vittorini; le relazioni con il francese Gallimard e i suoi agenti, fondamentali per avvicinarsi a molti altri editori internazionali; l’importanza degli autori ispanoamericani, conosciuti in Europa proprio grazie a Seix Barral e sostenuti, in seguito, da molte altre case editrici.

Prima d’intraprendere il vero e proprio discorso sull’avventura di Formentor, è stato inserito un capitolo sulla dibattuta questione dei premi letterari in Spagna, numerosi già nel secolo scorso, ma tra loro differenti per stile e fini ricercati.

Segue un’esposizione dettagliata della storia del Prix International des Editeurs e del Prix Formentor. Sebbene l’elaborato si concentri prevalentemente sulla prima fase storica di tali riconoscimenti, nella seconda sezione si tratta della recente riapertura degli incontri di Formentor, avvenuta nel 2008, insieme alla ripresa dell’omonimo premio, reintrodotto nel 2011 e assegnato ancora oggi. Per chiudere la prima parte, viene narrato un caso di censura di un testo vincitore del premio, utile per evidenziare il genere di controlli ai quali doveva essere sottoposto ogni libro in uscita nella Spagna del periodo franchista. Quel che si è cercato di verificare con questa tesi è il grande risultato ottenuto in quegli anni da uomini che vedevano nella letteratura una delle poche armi per combattere le situazioni di difficoltà e censura del complesso ventesimo secolo, e il migliore strumento per promuovere la libertà d’espressione e la collaborazione tra i popoli come possibile via di scampo e dialogo.

Sofia Di Capita


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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“Primi scritti” e “Appunti sparsi e persi” di Amelia Rosselli https://editoria.letteratura.it/primi-scritti-e-appunti-sparsi-e-persi-di-amelia-rosselli/ https://editoria.letteratura.it/primi-scritti-e-appunti-sparsi-e-persi-di-amelia-rosselli/#respond Sun, 02 Oct 2022 17:16:34 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8798 Una ricerca d’archivio per ricostruire l’iter creativo di due opere miscellanee di Amelia Rosselli, figura poliedrica del Novecento letterario. La scelta di porre al centro l’opera omnia di Amelia Rosselli, partendo dalle opere d’invenzione poetica e proseguendo per le opere miscellanee, nacque dalla lettura di Sleep, cioè l’ultima raccolta poetica della poetessa. La lettura della […]

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Una ricerca d’archivio per ricostruire l’iter creativo di due opere miscellanee di Amelia Rosselli, figura poliedrica del Novecento letterario.

La scelta di porre al centro l’opera omnia di Amelia Rosselli, partendo dalle opere d’invenzione poetica e proseguendo per le opere miscellanee, nacque dalla lettura di Sleep, cioè l’ultima raccolta poetica della poetessa. La lettura della sua poesia inglese portò a due quesiti: il primo riguardava la cronologia dell’opera e perché Sleep abbia veduto la luce, in forma completa, solo nel 1992; il secondo, invece, riguardava la scelta di rivolgersi a una figura esterna, Emmanuela Tandello, per la traduzione – quando Rosselli era famosa anche per le sue traduzioni di poesia inglese, ed era capace di fare lo stesso anche con le proprie.

A quel punto si è deciso di approfondire la genesi dell’opera rosselliana, e solo allora, leggendo le lettere private e le fonti archivistiche, si è vista l’abitudine della poetessa a pubblicare dopo lunghe revisioni, e di richiedere spesso l’aiuto di redattori e studiosi. In questo modo è nato lo scopo di approfondire tutta la sua produzione, andando incontro a problemi di carattere filologico e linguistico che spesso restano irrisolti, magari per il materiale di revisione perduto. Questa ricerca, infatti, non si pone con l’obiettivo di sciogliere totalmente le intricate matasse che riguardano la produzione di Rosselli, non ne ha l’ardire. Tenta, piuttosto, di guardare con ampio spettro questi fattori, sottolineando come sia imprescindibile analizzare la lingua, la genesi delle opere, la loro diffusione e l’esistenza stessa di Rosselli in modo corale.

Come già Emmanuela Tandello, Stefano Giovannuzzi e Andrea Cortellessa hanno dimostrato nei loro molteplici studi su Amelia Rosselli, culminati nell’edizione dei “Meridiani” Mondadori e in altri afferenti, ci sono stati diversi momenti in cui la ricerca filologica si è fatta più complessa. È cosa certa che le fasi di riorganizzazione di Documento e Appunti Sparsi e persi saranno quelle più complesse da studiare, perché molte carte di Documento sono andate perdute e perché la selezione che ha composto le due opere non sia particolarmente chiara. Soprattutto, andare a fondo nello studio delle bozze di stampa, e nelle correzioni inviate dall’autrice alle case editrici, è stato fondamentale per capire alcuni meccanismi linguistici e di formalizzazione nella stampa. Questi sono tutti aspetti necessari per comprendere l’evoluzione del testo dalla macchina per scrivere di Rosselli alla carta stampata, ma anche il corrispettivo tra la sua idea di poesia e la prassi editoriale di stampa. Questo verrà studiato nei particolari rispetto a case editrici di rilevanza come Garzanti rispetto a Il Saggiatore, Studio Editoriale e San Marco dei Giustiniani.

Per cercare di rilevare informazioni tecniche da un punto di vista linguistico e filologico si è pensato di strutturare questa ricerca scandendo quattro capitoli con una ricca appendice iconografica, necessaria per vedere come Rosselli operava sul testo per mezzo di annotazioni manoscritte di ogni tipo: linguistiche, letterarie e per l’impaginazione. Di seguito si riproduce una parte del terzo capitolo della tesi, fondato sulle opere miscellanee.

«Je suis un qui a seulement rêvé». Primi scritti (1980)

La raccolta di Primi scritti, come già si vede dal frontespizio manoscritto dell’autrice,[1] viene dichiarata composta tra gli anni 1952-1963: si tratta di una miscellanea in cui ci sono per lo più testi poetici come, Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro), Adolescence, October Elizabethans, Diario in tre lingue, Palermo ’63, e poi una selezione di prose, come My Clothes to the Wind, Sanatorio 54, A birth, Le chinos à Rome, Prime prose italiane.

In realtà, proprio per quanto già affrontato in particolar modo per le raccolte d’invenzione poetica, si è già ampiamente dimostrato come spesso le date indicate da Amelia Rosselli nelle sue opere siano sommarie e arbitrarie: nel caso di Primi scritti, per esempio, in una lettera inviata a John Rosselli il 18 luglio 1951, Rosselli invia una prima versione dello scritto ancora incompleto: «have begun writing a piece in English: it is enclosed. You must give me some sort of parere upon it. Might come to 20 pages circa, a stop right where it is, in discouragement».[2] Prima di vedere la luce, però, Primi scritti dovrà attendere diversi anni: posto che la sua data di composizione reale vada considerata tra il ‘50-‘51 – viste le lettere a John in merito alla costruzione dell’opera –, verrà pubblicato per Guanda nel 1980, dopo aver tentato di progettare una stampa da Einaudi per mezzo di Guido Davico Bonino[3] nel 1967.

La prima traccia di pubblicazione dell’opera, o meglio, della prima sezione che la compone (My clothes to the wind) la si ritrova qualche mese dopo la prima lettera scritta a John a riguardo, dove Rosselli scrive:

«The Botteghe will publish my writing, I have been assured of it, but I doubt that i twill come out in this number. If not, then jin six months’ time. May have therefore the possibility of adding a good many pages to it, which I am taking notes for».[4]

Il titolo di questa prima sezione, tuttavia, comparirà in un’altra lettera a John datata al 25 gennaio 1952 – sarà per questo che Rosselli indica come data di creazione di My clothes to the wind il 1952? – insieme a Forqueless o Bridled.

Per quanto concerne il tema trattato nelle varie sezioni dell’opera, come già spiegato in precedenza, Primi scritti lo si può considerare una miscellanea. In questo senso, tutte le sezioni presenti trattano di un tema a sé, e vengono riunite con l’idea di guardare a quei testi come incapaci di trovare una collocazione da sé in volume unico, e da qui l’idea di creare una raccolta. In quest’ottica, si potrebbe considerare anche il tentativo di Rosselli di tornare alla scrittura e alle carte, visto il modo che lei aveva di rivederle, correggerle e suggerire le impostazioni tipografiche.

Guardando al contenuto, le poesie dedicate a Rocco Scotellaro, ad esempio, sono legate ai temi condivisi con il poeta: si parla di campagna e di ambiente rurale, con gli ambienti un po’ rarefatti e che, presto, diventeranno comuni a entrambi.[5]

Sicuramente la sezione Cantilena è una delle più importanti per via del legame che intercorreva tra Amelia Rosselli e il poeta lucano, che verrà a mancare nel 1953. «Quando capii il suo nome non so se mi si rafforzò il pensiero di essere amico e innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire»:[6] questa citazione di Scotellaro, riportata dal convegno in cui i due si conobbero, non lascia spazio a dubbi. Il legame che Rosselli e quest’ultimo intrecciarono è ancora oggi fumoso e di difficile connotazione, ma sicuramente basato su un profondo affetto e intesa, entrambi di carattere sia amicale che professionale. L’influenza di Scotellaro nella poesia di Rosselli la si potrà ritrovare non solo nelle descrizioni di ambienti rurali e anche nell’impegno politico espresso in poesia, che accomunava sia l’amico che il padre della poetessa, ma anche nei testi da lei prodotti che riguardavano il lutto, la morte e la perdizione.[7]

Sicuramente, la figura del poeta lucano influì sulle opere italiane in prosa: non per Prime prose italiane, che come già scritto, è appena precedente alla morte del poeta, ma per quelle successive, come Diario Ottuso e la Nota.

Anche Sanatorio 54, che come My clothes to the wind, pare abbia più una struttura confessionale e legata alla morte. La natura di queste sezioni vede la scrittura di brani che si intrecciano con la biografia complessa dell’autrice, e soprattutto legato alla defunta madre di Rosselli, Marion Cave. Soprattutto, Sanatorio 54 è importante non solo per la struttura tecnica (appunto, questa forma confessionale prosastica), ma anche perché, con Adolescence, Le chinois à Rome e una parte di Diario in tre lingue, emergono le prime tracce in francese lasciate da Rosselli in un’opera scritta e autonoma, al di là di quelle linguistiche che disseminava nelle sue opere in inglese e in italiano. Il legame con il francese ha una natura diversa rispetto alla lingua inglese: se la seconda è stata quella legata alla sua crescita e maturità, nonché ai suoi studi, il francese era la lingua natia di sua madre. Non sarà un caso che la scelta, in quegli anni, ricada sul francese. La composizione di questi scritti è infatti attorno al 1953-1954: se le sezioni in italiano sono legate a Rocco Scotellaro, quelle in francese alla madre Marion Cave, scomparsa nel 1949.

Bozze e varianti

Come si è già visto, Rosselli ha sempre avuto una ben precisa autonomia nel disporre indicazioni di stampa. Per questo, tra le prime questioni che emergono dai dattiloscritti di Primi scritti – composti sempre con la sua macchina per scrivere IBM e inchiostro nero – è proprio in merito all’organigramma dell’opera stessa, nonché agli spazi da lei indicati tra i paragrafi e, in generale, alle correzioni da lei suggerite.

Prima di tutto, su ogni prima carta delle varie sezioni è presente una lettera alfabetica, chiaramente utilizzata per capire come disporre ciò che compone Primi scritti. Questo denota, considerando la presenza di fogli dattiloscritti pressoché puliti – se non per qualche piccola correzione manoscritta – che il fascicolo analizzato debba essere una bozza pre-stampa, con il tentativo di Rosselli di costruire l’opera nella sua interezza, sia nella sua disposizione che nel dare indicazioni di stampa.

Questo è un dettaglio importante, se si considera che, in virtù di questo, le correzioni da rivedere sono poche e sparute: lo si può vedere già con l’analisi di My clothes to the wind. Nella sua pseudo-confessione, infatti, ci sono diverse correzioni linguistiche, per esempio: souffled (poi corretto in scoffled) discomection (al posto di disconnection, poi corretto a matita); that (corretto in when); atmosphère corretto in atmosphere; lurics in lyrics; miracoulously in miraculously, e poi qualche cancellatura o difetto di composizione della macchina per scrivere, che ha determinato delle parole in cui le lettere sono più vicine di quanto dovrebbero essere.

Per quanto concerne, invece, Cantilene. Poesie per Rocco Scotellaro, a parte il testo molto arioso –tipico della disposizione delle poesie di Rosselli – c’è un tentativo di epurazione dalla raccolta a p. 6, prima esclusa e poi riproposta in coda al dattiloscritto. Nella bozza di stampa di Guanda,[8] però, c’è una nota manoscritta dall’autrice, che sottolinea l’importanza sia della numerazione, per capire la progressione delle poesie – e l’inserimento della poesia n. 6 nell’organizzazione generale – che la separazione tra i brevi componimenti per mezzo di un asterisco.[9] Poco prima della stampa viene, infatti, inclusa la poesia n. 6 che, nella copia del dattiloscritto,[10] era stata indicata come esclusa. Si può immaginare che il fascicolo, che consta di tutta l’opera e delle sue sezioni, sia una copia dell’originale in cui Rosselli ha posto le sue correzioni. Nel caso specifico di My clothes to the wind è stata aggiunta la carta della poesia n. 6, a seguito della scelta tematica.[11] Probabilmente la copia è stata composta poco prima di ricevere la bozza di stampa di Guanda: il motivo di questa teoria trova una ragione nelle carte di Sanatorio 1954.

L’analisi del dattiloscritto appena menzionato, infatti, risulta appena più complessa in virtù della carta scura scelta da Rosselli per il dattiloscritto in francese, scure e consunte: da ciò che risulta dalla lettura delle carte, le correzioni apposte dall’autrice sono per lo più accenti mancati – che in francese sono fondamentali nella pronuncia – e qualche pronome o negazione sfuggite alla poetessa. Sono anche in questo caso correzioni manoscritte, e invece che usare la solita matita – o pennarello, se si ricordano le cancellature di Documento – qui è chiaro l’intervento di una biro blu posteriore.

Rispetto alla considerazione fatta poco sopra, circa alla creazione di questa copia di tutta l’opera di Primi scritti, la ragione che spinge in questa direzione è la nota manoscritta di Rosselli: sbaglio di stampa di Guanda,[12] segnalato a p. 3. Questo può voler dire che l’autrice abbia ricopiato i testi dalla prima bozza di Guanda, e poi abbia avuto dei ripensamenti sulla bozza successiva – da qui l’aggiunta, per esempio, di una poesia che aveva deciso di epurare.

Sulla bozza di stampa di Sanatorio, Rosselli fa le precisazioni indicate già sulla propria copia dattiloscritta, ma soprattutto indica al redattore di 1) iniziare gli ‘a capo’ al terzo spazio e 2) di abbassare le righe divisorie.[13] È proprio in queste carte che Rosselli dà la possibilità di pensare alla teoria descritta sopra: viene segnalata la stessa correzione da lei apposta nel dattiloscritto, cioè on per en. Quindi, vuol dire che la scrittura di quel dattiloscritto o deve essere di poco precedente alla prima bozza di Guanda, oppure contemporaneo. Del resto, entrambe le teorie sembrano valide: Rosselli aveva una cura spasmodica per le proprie carte, ed era solita ricopiare più e più volte.

Adolescence è invece la seconda sezione in francese, con la differenza che, se per Sanatorio 64 si può parlare di un lungo testo in prosa quasi come un ‘confessionale’ – tanto quanto la prima sezione di ASP – rispetto alla morte e al senso di perdita,[14] con questa sezione è definita dalla stessa autrice come esercices poétique 1954-1961.

Per quanto già definito poco sopra, il dattiloscritto presenta già le 9 poesie corrette[15] e predisposte per la stampa, se non per qualche piccola correzione negli ultimi componimenti – per esempio nei casi a p. 6, p. 7, p. 8, p. 9 – che indicano qualche errore di battitura o la mancanza di segni diacritici su alcune lettere[16] per via dell’inchiostro doppio della macchina per scrivere. Diverso è invece il caso di Le chinos a Rome, composto nel 1955, che non solo prevede diverse correzioni in sé per sé, ma prevede anche una ‘nota per l’editore’ posta in calce al dattiloscritto. Ci sono alcune segnalazioni in merito a dove posizionare il rientro,[17] nonché di spostare a sinistra una parentesi a p. 2 per via di uno spazio battuto in più, o correzioni sparute poste a penna sul dattiloscritto.

La novità, tuttavia, resta nella cosiddetta note pour l’éditeur, che Rosselli indica da non stampare: è lì che la poetessa spiega la ragione di alcune scelte linguistiche, alcune «Puis sont incluse peu à peu des mots d’origine douteuse, ou inventés, ou de formation mi-italienne, ou, quelquefois, d’origine anglaise».[18] Di seguito vengono spiegate poi alcune scelte linguistiche, e tra le più interessanti si segnalano: esilaration, dall’italiano esilarare che, in francese, troverebbe corrispondenza in égayer; métapontexes, dalla città italiana di Metaponto; béons, dall’italiano beone; lo stesso vale per l’utilizzo di parole come stand che, in realtà, corrisponderebbe a se tenir debout.[19]

La prima cosa che invece si nota sul fascicolo contenente October Elizabethans (scritto nel 1954) è che il titolo, pensato da Rosselli, doveva essere diverso: The taming of the shrew doveva essere quanto immaginato dall’autrice al momento di concepimento dell’opera, poi corretto con una nota manoscritta con il titolo conosciuto oggi. Ci sono diverse modifiche fatte in corso d’opera: la prima è sicuramente per la p. 2, dove poi, in basso a destra, c’è l’indicazione ‘cut’, come a p. 19; in seguito, persistono delle correzioni minime, come quella che riguarda la p. 8, dove Rosselli indica, con un semplice punto di domanda, se possa essere il caso di modificare la lettera maiuscola di Fantaisies.[20] Si può supporre, in virtù delle minime correzioni, che questa sia una delle ultime copie – ormai corretta, come indicato sul frontespizio – in cui Rosselli ha messo mano. C’è tuttavia una nota interessante, a livello linguistico: a p. 21 viene riportato quello che sembra essere un interrogativo della stessa poetessa. Lepures, usato infatti nel terzo verso, viene accomunato ad hares (lepri in inglese): ma la sua origine è però tutta italiana. O, per meglio dire, latina. Quella parola deriva infatti da una forma arcaica di italiano, cioè lepore, derivata dal latino prima di perdere la o per sincope della vocale intertonica.

Diario in tre lingue, dalla sua, ha la particolarità di contenere testi di lingue diverse, quali appunto quelle care a Rosselli e da lei più utilizzate. Il fascicolo in oggetto è identificato come copia dattiloscritta originaria e riveduta. Eppure, la composizione linguistica dell’opera non è l’unico punto peculiare: anche la disposizione grafica ha una sua ideazione, che però non si limita più a un verso poetico esteso, alla mancanza di lettere maiuscole o a componimenti che possono essere definiti più delle massime che delle vere e proprie poesie,[21] quanto alla composizione forse disordinata delle stesse poesie.

Le prime correzioni riguardano per lo più il discorso grafico: dove inserire parentesi e linee, spazi, nonché qualche parola che viene trascritta male, come Esthétique, corretta più e più volte dall’autrice. Il fattore più importante in una sezione come questa però non sono le solite, ormai perpetrate correzioni di Rosselli, quanto la particolarità dell’impaginazione e la fluidità che viene data al testo, capace di piegarsi alla volontà non solo di Rosselli stessa, ma anche alle variabili del suono da lei tanto ricercate e spiegate nei suoi studi.[22] Come si può evincere dal titolo dato a questa sezione, Diario in tre lingue ha tutta l’aria di essere un canovaccio linguistico di Rosselli, dove sperimenta nuove musicalità e nuove parole. In questo senso però, la bozza in esame presenta solo qualche indicazione circa gli spazi da usare nella disposizione grafica. Infine, dopo un’ampia sezione con una predominanza di francese, – si dipana dalla sezione I alla sezione V – nella VI siamo di fronte ad un pastiche tra inglese e italiano: solo dalla sezione VII inizia ad esserci un maggiore equilibrio tra le tre lingue.

Parlando dell’articolazione del testo e della sua probabile ricomposizione dattiloscritta, guardando il fascicolo è ben evidente dalla differenza di inchiostro che alcune pagine sono state ricopiate in tempi diversi: risulta difficoltoso ricostruire la stesura di queste pagine, ma si parla di almeno due momenti diversi.

Il primo tipo di inchiostro deve essere molto più nuovo e meno consumato: lo si vede dalla scrittura più pulita e dalla migliore visibilità; ci sono però delle altre pagine, mescolate a queste che appaiono più nuove, in cui Rosselli fa uso di un inchiostro più consumato. Se le due sezioni fossero più “ordinate”, si potrebbe considerare l’ipotesi di una sezione finale di Diario in tre lingue composta ormai con un inchiostro vecchio: è però la mescolanza tra questi due tipi di inchiostro che fa capire come Rosselli abbia operato in momenti diversi, di cui però non c’è traccia.

Se per A birth ci sono le carte ormai ultimate con solo un paio di annotazioni sugli spazi,[23] è su Palermo ’63 che la copia riveduta presenta non solo le solite indicazioni sugli spazi, ma è anche prodotta da un altro tipo di carta copiativa, segno che, anche qui, il labor limae ha determinato più e più copie da parte di Rosselli, non solo per assicurarsi di avere sempre a disposizione le tracce di quanto prodotto, ma anche per ritornare liberamente sui suoi testi.

Importante, in questo senso, è la testimonianza della lettera di Amelia Rosselli ad Armando Marchi,[24] con il quale discute, il 10 o 11 agosto[25] del 1987 – poco dopo per la stampa di La Libellula presso Studio Editoriale – in merito alla seconda edizione di Primi scritti, coadiuvata dalle bozze. Tuttavia, in merito a questa stampa, Rosselli ha diversi quesiti rispetto agli appunti da lei già lasciati: le bozze in sé saranno poi analizzate nel paragrafo seguente sui materiali preparatori.

Prima di tutto, Rosselli non si limita più a suggerire sparute modifiche, ma anzi le sue descrizioni sono abbastanza precise, rispetto alla vera struttura dell’opera. Per esempio, per quanto riguarda Adolescence, suggerisce di usare il metodo di una pagina per pagina, visto che l’autrice stessa considera importante quella sezione per mostrare la sua evoluzione letteraria. Per lei, la sezione sopra nominata diventa molto importante, tanto da andare a discapito di Diario in tre lingue, che vorrebbe «prendesse meno spazio nel libro», rispetto alla prima edizione e che, in effetti, Rosselli lamenta «di soverchia importanza». Rispetto alla questione note manoscritte sull’opera, ci sono le normali indicazioni tipografiche sulle spaziature e il carattere più piccolo, decisione in contrasto con la struttura della collana “La Piccola Fenice” in cui era stata stampata l’opera stessa.  Tra le alte cose, Rosselli lascia una traccia abbastanza evidente nella struttura del libro in un’intervista: «Ho preso otto quaderni, ne ho trattenuti, trascritti com’erano a macchina per scrivere, e buttati gli altri. […] Ma ho dovuto buttar molti, se no proprio era un eccesso inutile».[26] Questo segnala che anche qui Rosselli abbia lavorato con le cesoie, un po’ come per Documento.

Preso in esame Le chinois à Rome, Rosselli spiega che lo vorrebbe strutturato proprio come il dattiloscritto originale, che lei stessa allega alla lettera: la motivazione dietro tale scelta è quella di non essere stata ascoltata durante le prime e seconde bozze, né di aver ricevuto la terza bozza promessa. In generale, l’autrice forse appare un po’ infastidita da come siano state gestite alcune cose nella prima edizione di Guanda, e ha tutta l’intenzione di rimediare in questa sede. C’è menzione anche per le note pour l’éditeur, che per lei potrebbe essere posto in calce alla sezione o prima\dopo l’indice.

Di base, comunque, da questa lettera si evincono due cose: per prima cosa, che Rosselli aveva molto a cuore la sezione di Adolescence, ma che soprattutto aveva intenzione di cambiare totalmente la struttura del libro in oggetto, tanto da suggerire un cambio di impaginazione e struttura del volume per dar lustro, in particolare, alla sezione sopracitata. Dettaglio importante, tuttavia, per la ricostruzione della stampa delle opere rosselliane, è il seguente. Nell’ultima parte, infatti, Amelia Rosselli esplicita di voler avere il tempo per seguire «la traduttrice di Sleep»[27] a metà settembre, quindi libera da ogni impegno con Guanda e Marchi. In quella sede si parlò di un volume di circa cento pagine in inglese, che però doveva essere tagliato. Come già visto in precedenza, la questione non si risolverà così facilmente, e la struttura di Sleep le occuperà più tempo del previsto.

Materiali preparatori

La bozza di stampa è stata utile per ricostruire il processo di evoluzione del testo, da semplice dattiloscritto a revisione della seconda edizione, che però non vedrà mai la luce. Dalle indicazioni fatte da Rosselli sulla bozza, si può immaginare che questa sia la bozza inviata ad Armando Marchi, soprattutto in virtù della poesia di Cantilena, inserita nella bozza di stampa e menzionata nelle righe del 10\11 agosto proprio come nuova poesia da pubblicare insieme a tutto il resto del volume.

Il voluminoso plico si apre con le solite, ormai abitudinarie annotazioni in merito agli spazi di stampa: ma è con Cantilena che abbiamo il primo, vero intervento formale. Infatti, Rosselli indica in modo ben preciso lo spazio in cui inserire la poesia dattiloscritta ex novo, cioè tra le poesie numerate come 5 e 7. Se Adolescence, invece, reca solo le condizioni espresse già nella lettera e nel paragrafo in questione, è da Le Chinois à Rome che la minuzia di Rosselli diventa preponderante – non che in precedenza non ci sia stato spazio per la sua voce. Le opere in precedenza, quindi Sanatorio 1954 e Prime prose italiane, infatti, non hanno particolari ingerenze se non quelle degli spazi o delle linee tra i paragrafi rese meno doppie.

Per quest’altra sezione in francese, già di per sé importante per Rosselli tanto da inserire una note pour l’éditeur, Rosselli si cura soprattutto della sezione Promenade.

Importante, tra le altre cose, a livello d’impaginazione la nota «originariamente era sistematicamente la parola intera ad essere unità, e graficamente anche, come si nota dai margini a destra». È in effetti una particolarità richiesta proprio da Rosselli in virtù del testo, e dal dattiloscritto si vede chiaramente le parole ai margini destri non vanno mai a capo,[28] così come si nota anche che nella bozza di stampa era stato totalmente ignorato. Come già visto in edizioni precedente a questa,[29] Rosselli vedeva nella pagina non solo un mezzo per produrre i propri scritti, ma uno spazio vero e proprio dove le sue parole dovevano collocarsi con un preciso ordine. E soprattutto, quando questa sua prerogativa – non sempre capita – non veniva rispettata, spesso determinava anche frequenti cambi di editore.[30]

Tornando comunque al discorso sulla note pur l’éditeur, che Rosselli pensava di inserire in calce alla sezione o prima\dopo l’indice, trasmette alcune note linguistiche sul francese. È in questa sede che Rosselli spiega che diversi termini:[31] «Sono inclusi poco a poco parole di origine dotta, o inventati, o dati dall’influenza del mio italiano o, talvolta, di origine inglese».[32] Tra le parole inventate è giusto menzionare bruier, proveniente da “bruit”, oppure décolorisé e avidvide, tutti inventati.

La sezione seguente è, invece, la problematica Diario in tre lingue: fin da subito considerata da Rosselli come una sezione da “rendere più piccola” in virtù di altre, evidentemente da lei preferite, l’impaginazione resta di certo il tratto peculiare di questa parte dell’opera. Anche solo definirla è difficile: è una raccolta poetica? Di prose, inframezzate da segni grafici relativi agli schemi del suono, o semplicemente uno spazio che Rosselli ha definito per ragionare sui suoi tecnicismi? Forse la cosa migliore sarebbe definire Diario in tre lingue in questo modo, come un’opera fluida e di difficile definizione.

Venendo però a quello che è oggetto di questi studi, la questione è la seguente: rispetto ad opere meno complicate da un punto di vista grafico – come per esempio Chinos à Rome, appena precedente – i tecnicismi di Rosselli nelle bozze sono meno evidenti, forse perché, in quest’occasione, il tipografo è stato capace di seguire i dettami della poetessa. Sorprendentemente, nelle bozze riviste si trovano solo delle minime indicazioni per gli spazi, che forse sulla carta stampata sono più stretti rispetto a quelle di una macchina per scrivere. Con un enorme paradosso, le ultime due sezioni, quindi A birth e Palermo ’63 presentano molte più indicazioni, se si considera che persino i titoli vengono rivisti da Rosselli – come già segnalato nella lettera a Marchi – e, con essi, gli spazi. Sorprende tuttavia che, nonostante sia questa una bozza rifatta dalla prima edizione di Guanda del 1980, presenti degli errori che l’autrice stessa deve correggere. Si tratta della poesia a p. 127 dove è l’autrice a segnalare che, forse, è il caso di non inserire il rientro per far stare una parola non isolata.[33]

«La libertà è perduta». Appunti sparsi e persi (1983)

«È chiamata Appunti, con una mia prefazione, ma sono in realtà molte poesie con tutta una sezione finale di appunti scritti a mano o estrapolati da poesie che ho scartato».

Così Rosselli, in un’intervista a cura di Guido Galeno,[34] descrive l’opera frutto di una seconda rielaborazione di Documento. Come già suggerito più e più volte fin dal paragrafo dell’opera appena citata, le due sono imprescindibili l’una dall’altra: e soprattutto, per quanto in Appunti confluiscano solo alcuni degli scarti dell’opera del 1979, in realtà altrettanto importanti sono anche i nuovi componimenti.

La stessa poetessa definisce come Appunti quelle brevissime poesie, spesso composte solo da un paio di versi: è per questo che la struttura di Appunti sparsi e persi si può dire consti di un principio fondamentale, già espresso da Rosselli nella prefazione all’opera: «intendevo essere casuale nel mettere insieme sia poesie sia appunti che avevo scritto contemporaneamente a Documento».[35] Dunque, il processo di analisi delle carte non si conclude nemmeno con la pubblicazione dell’opera sopracitata: Rosselli ci ritorna per capire quali poesie possono essere raccolte in questa miscellanea, in cui solo pochi componimenti si considerano posteriori a Documento: si tratta delle due sezioni nominate Nonnulli e Sequenze. Di altra natura importante per comprendere la nascita differente delle poesie contenute nella raccolta, sono le carte che chiamate Appunti sparsi, in cui Rosselli dattiloscrive le poesie brevissime che, l’autrice aggiunge, sono da «leggersi una dopo l’altra ma separatamente».[36] L’autrice ne fa duplice copia: in una sono riportate le date di composizione, nella seconda invece sono segnalate le pagine del dattiloscritto da lei realizzato. Proprio per questo motivo, si presume che queste carte abbiano avuto più una natura privata che di referenza per la pubblicazione.

La raccolta vede la luce nel 1983 per mezzo della casa editrice-cooperativa AeliaLaelia. Rosselli informa il fratello John con una lettera del 6 febbraio 1983: ciò che però determina gli accordi di stampa è una lettera di Beppe Sebaste[37] – che infatti è spesso citato anche nel dattiloscritto di ASP.1 – indirizzata a Piero Gelli e Garzanti per chiedere il consenso di pubblicare Rosselli.[38] «[…] È il libro più comprensibile alle persone non addette ai lavori, il meno letterario».[39]

Bozze e varianti

La parte più consistente dell’opera è, come già preannunciato, composta per lo più da componimenti esclusi da Documento. La scelta che ha spinto Rosselli a costituire questa nuova raccolta è stata dettata dal desiderio di stampare quelle poesie, nonché dalla richiesta di riviste di ricevere nuovi pezzi, e di consegnare alla stampa una parte di ciò che aveva escluso nell’opera sopracitata.

Si è già detto come Documento fosse composto, per informazioni trapelate dalle lettere con John, di circa 500 poesie: se si sommano le circa 190 dell’opera stampata sotto il nome Documento e quelle di ASP.1, circa 90, si comprende come in realtà sia andata perduta una parte molto consistente dell’opera stessa.

L’organizzazione del dattiloscritto che compone Appunti sparsi e persi è analoga a quella già vista in Documento: ancora una volta ritornano le datazioni in alto a destra, ancora una volta ritornano le copie in carta carbone[40] – segno che i gruppi in sequenza dei componimenti, già citati nell’analisi di Documento, erano molto più ampi di quanto si credesse. Numerosi sono comunque i casi di poesie non più inedite, come per esempio p. 6, ceduta a Gualtiero de Sanctis,[41] p. 9, in cui si segnala la cessione della poesia alla rivista “Tabella di marcia”, per il giugno dello stesso anno di Appunti sparsi e persi; per la poesia[42] a p. 10, destinata alla rivista “Stilb”;[43] p. 11 per la rivista “Contrappunto” e confluita in un’antologia.

Al di là delle poesie di Documento, che come già spiegato, constano del periodo intercorso tra il 1966 e il 1973, in Appunti sparsi e persi ci sono anche delle poesie totalmente inedite, che poi comporranno le sezioni Nonnulli (settembre 1977) e Sequenze (1974-1976). Saranno però le riviste più care a Rosselli ad accoglierle per prime, anche prima della pubblicazione del volume. I primi esempi di pubblicazione di queste sezioni grazie a “il Manifesto” insieme a “Nuovi Argomenti”, le riviste con cui Rosselli ha avuto da sempre un legame stretto. Infatti, sono state inviate le quattordici poesie di Sequenze alla redazione di Luigi Pintor.[44] Mentre, per quanto concerne la rivista di Alberto Carocci[45] e Alberto Moravia,[46] stamperà le dieci poesie di Nonnulli nel n. 61.

Stesso discorso vale per le 12 poesie destinate alla rivista “Alfabeta” per suggerimento di Antonio Porta. Le poesie sono indicate con le date di composizione e il numero di pagina dal dattiloscritto ASP.1, cioè a p. 2, p. 23, p. 25, p. 27, p. 33, p. 34, p. 36, p. 42, p. 43, p. 49, p. 52, p. 55. Come di consueto, Rosselli darà indicazioni al grafico rispetto all’impaginazione, sottolineando il suo desiderio di evitare la manipolazione delle poesie. A quel punto, preferirebbe piuttosto inviarne altre più adatte alle esigenze richieste dalla rivista stessa[47] che rischiare un taglio, una aggiunta e in generale una modifica, di quelle già inviate.

Sono numerose le scelte adottate da Rosselli in merito a questi componimenti: che non siano stati ritenuti tematicamente adatti a Documento sembra ovvio, soprattutto considerando che molti sono stati pubblicati, in momenti diversi e spesso isolati, in riviste. Sempre ad avvallare la tesi per cui le date impresse da Rosselli sono da considerarsi sommarie, si guarda al caso del componimento a p. 57, in cui l’autrice segna probabilmente 10/2/72. È per questo motivo che si è proceduto a sezionare sia Documento che Appunti sparsi e persi e, in generale, tutta la sua opera omnia, cercando di ricostruire i gruppi di componimenti ricopiati insieme, con la sommaria cronologia che è stata data all’opera.

Materiali preparatori

Il secondo dattiloscritto di Appunti sparsi e persi non si limita a raccogliere, come in ASP.1, notizie relative alle stampe in rivista dei singoli componimenti, ma si tratta di un vero e proprio studio per l’impaginazione. La memorizzazione e l’appunto relativo alla lunghezza dei componimenti, ai versi che li compongono, al numero di stanza, sono tutte funzioni volte a immaginare la stampa del testo stesso.

È per questo che Rosselli individua quelle che sono le poesie più brevi, con l’annotazione da leggersi una dopo l’altra separatamente.[48] Saranno però le due sezioni sopracitate ad avere maggior lavoro di limatura, sicuramente perché si tratta di materiale nuovo e inedito. L’unica eccezione si tratta con la poesia a Pier Paolo Pasolini, già presente in ASP.1. e scritta dopo tre-quattro settimane dalla morte di Pasolini.[49] Le correzioni manoscritte visibili su ASP.2. sembrano comunque frutto di una fotocopia\carta carbone, quindi si è sprovvisti del passaggio intermedio di correzione del componimento. Senonché è corretto a favore di sennonché, rinvendoti è modificato in rinvenendoti. L’influenza del francese nel primo caso è piuttosto visibile (le doppie vengono spesso pronunciate come se ci fosse una sola consonante), mentre nel secondo caso sembra una mescolanza tra il verbo rinvenire e vedere (rinvenendoti+vedendoti): solo alla fine viene utilizzata la forma italiana in uso. Un discorso analogo accade anche per assopì, che Rosselli corregge con assoppì: la teoria dietro l’invenzione linguistica proviene da assoupir francese, che succeduto alla parola pallida nel v. 20, nella lettura può provocare la sovrapposizione dei suoni – o almeno, così poteva essere nella mente di Rosselli.

Per quanto concerne la costruzione di Sequenze, invece, la trascrizione delle poesie (o meglio, dei loro titoli) non è molto chiara: o quantomeno, non sono chiari i suoi simboli e il loro uso. I simboli utilizzati da Rosselli per appuntare qualche componimento sono descritti come appunti con cerchietti per “Il Cabold,[50] ma a parte questo, l’unica teoria individuabile è che i cerchi a destra indicano le selezioni per la rivista sopracitata, mentre i cerchietti a sinistra quelli della rivista “Stilb”.

Vista la sua natura di «quaderno di appunti», come in realtà sarebbero anche gli altri volumi indicati in questo capitolo, Appunti sparsi e persi ha la funzione, non solo letteraria, di apportare nuove poesie che altrimenti, dopo Documento, sarebbero andate perdute. L’opera in questione, infatti, resta importante perché questi sono gli ultimi tentativi di Rosselli di tornare alle carte poetiche: se Impromptu resta l’ultima opera effettivamente scritta ex novo e tutte le altre sono solo rimaneggiamenti di carte del passato, queste rappresentano anche il tentativo della poetessa di tornare al suo mestiere, o quantomeno avvicinarvisi ancora.

Il tentativo, però, sarà quasi fallimentare: a parte l’ultima pubblicazione in rivista nel 1995 con il componimento Pavone/Prigione, Amelia Rosselli smetterà di scrivere.

Conclusioni

Analizzare verso per verso le poesie di Amelia Rosselli ha determinato il raggiungimento di diversi obiettivi: il primo riguarda sicuramente l’approccio alle carte editoriali che ha permesso la valutazione un mondo a sé stante e capace di trovare una definizione univoca. Fin da Pasolini c’è stato il tentativo di attribuire al lapsus rosselliano una componente casuale, automatica. In realtà, i suoi tecnicismi trovavano le proprie radici in una profonda conoscenza della metrica e della musicologia, determinando uno studio analitico anziché casuale. Soprattutto, se si considerano gli studi fatti sulle bozze, sulle note all’editore e anche sulle lettere editoriali in cui si motivano certe scelte – come il caso di Impromptu, dove persino Giovanni Giudici muoveva obiezioni su certe scelte lessicali che Rosselli voleva preservare e mostrare al pubblico – si comprende che nulla è lasciato al caso: questo vale per la scrittura, per i temi trattati, per la lingua e anche per l’impaginazione delle opere stesse. Che Rosselli abbia dovuto adattarsi ai sistemi editoriali dell’epoca, soprattutto in casi come quelli di Garzanti, è un dato di fatto: questo però vuol dire che tutta la sua opera vada rivista come un organigramma completo, che inizia dalle sillabe e termina con l’impressione su carta. Dopo la scomparsa di Rosselli, gli studi a lei dedicati si sono per lo più rivolti alla prospettiva tematica delle sue poesie e studiandone il significato, con il fine di analizzare concetti spesso oscuri che emergevano dai suoi versi e dalla rara prosa da lei scritta.

Da qui il secondo punto risultato di questa ricerca. Non sono mancati di certo i tentativi di ricostruire l’intricata storia editoriale delle sue opere, dove Documento resta ancora un enorme punto interrogativo nel mondo letterario italiano. Se studiato in una prospettiva più globale e funzionale all’evoluzione della lingua rosselliana, Documento non è più solo la raccolta da cui molte poesie sono confluite in un volume ulteriore o di cui molte sono andate perdute, ma rappresenta l’evoluzione e il distacco da questa metrica nuova – da qui l’idea di definirla lingua rosselliana, né lapsus né altro. Impromptu, da questo punto di vista, è solo la normalizzazione di Documento in poemetto.

Se si considera che la mente di Rosselli fuggiva da una lingua all’altra, o meglio, da un’opera all’altra – da Primi scritti a Documento dal 1953 al 1973, con una interruzione fino a Impromptu nel 1981 – e che gli esercizi letterari variavano a seconda degli studi da lei compiuti, si comprende che, in un’ottica globale, Documento assume tutta un’altra forma. Non è più l’opera di difficile contorno, ma anzi, il raggiungimento di una struttura poetica soddisfacente. Del resto, Amelia Rosselli non scriverà nulla per ben sette anni, e se di certo si può pensare che fosse concentrata sulla sua salute psichica così fragile, dall’altro la parte di sé dedita alla poesia doveva cercare una nuova forma in cui pensare le parole e la metrica.

Le due questioni, quindi, si fondono: la risoluzione degli esperimenti linguistici e la complessa salute psichica portano Rosselli a non scrivere più dopo Impromptu, se non per qualche sparuto intervento su riviste o le traduzioni a sua cura. Un cambio di prospettiva di rapporto al testo inizia con Sleep, raggiunge il suo apice con Documento, e con Impromptu la sua fase finale: anche le bozze sono più pulite e la lingua rosselliana si normalizza. La vena creativa, lo studio, la pazienza anche di dedicarsi a note all’editore, spiegazioni e tentativi di rendere la pubblicazione lineare con il testo prodotto, si esauriscono.

Così emerge il terzo punto di analisi di questa ricerca: con il distacco progressivo dalla poesia, anche il carattere combattivo di Rosselli atto a far rispettare le sue decisioni sulla stampa inizia ad affievolirsi. Sembra riecheggiare in Rosselli lo stesso «non scriverò più» di Cesare Pavese. C’è un certo abbandono alle decisioni degli altri, lei che aveva sempre impiegato lettere su lettere a spiegare persino gli spazi da inserire tra un distico e l’altro. Rosselli fa addirittura emergere, in una lettera a Giorgio Devoto, una delle sue turbe psichiche relative alla CIA e al timore di non sopravvivere: mai accaduto prima di quel momento nelle lettere editoriali analizzate, né dopo. Il suo carattere muta, diventa più arrendevole, fino a diventare meno attaccato alla poesia, allo studio e alla vita.

Questo comporta lo sviluppo che tutti sanno, quando la solitudine e la malattia prendono il sopravvento, insieme all’estraneazione dalla poesia e dalle parole che l’avevano accompagnata per tantissimi anni. C’è un tentativo di ritornare alle carte scritte anni prima, da qui la pubblicazione di La Libellula, Diario ottuso, Appunti sparsi e persi e Sleep, ma non è sufficiente nemmeno questo: Rosselli non torna a scrivere. Sembra quasi darsi un’altra occasione, facendo scorrere altri sette anni da Sleep (1989, Rossi&Spera) e alla revisione necessaria, al 1996: come accadde, del resto, tra le poesie che composero Documento e gli anni di vuoto per Impromptu. Quei sette anni però non bastano: «stona la vita si spegne da sé», recitava in Documento. Dopo l’11 febbraio del 1996 anche la sua si spegne, e con essa tutte le domande a cui oggi si tenta di rispondere, lasciando inevitabilmente degli spazi vuoti e irrisolti.

Serena Gherghi

 

 

[1] Fotografia in Appendice n. 75. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[2] C’è anche una correzione dell’autrice in merito al numero di pagine contenute: il 20 riportato è in realtà prodotto da una modifica del numero 40 nel manoscritto autografo di Rosselli. «Ho iniziato a scrivere un testo in inglese: è ancora incompleto. Dovresti darmi un parere a riguardo. Dovrà essere di circa 20 pagine e non oltre, anche se sono dubbiosa». Traduzione a nostra cura.

[3] Guido Davico Bonino (1938-) è un critico letterario e saggista che, dal 1961 al 1978 collaborò con la casa editrice Einaudi grazie a Italo Calvino.

[4] «Le Botteghe (Oscure; rivista, ndr.) pubblicherà quanto ho scritto, è confermato, ma dubito che sia pubblicato in questo ultimo numero. Altrimenti, accidenti, si perderanno altri sei mesi. Potrei però aggiungere altre pagine “buone”, per cui sto già lavorando e prendendo appunti.» Traduzione a nostra cura.

[5] Amelia Rosselli si ritroverà a viaggiare molto per la zona rurale: e per questo, si sentirà non solo legata ai luoghi, ma ancora di più a Scotellaro.

[6] Rocco Scotellaro, Un lago nella memoria in Trasparenze, a cura di Emmanuela Tandello e Giorgio Devoto, San Marco dei Giustiniani, Genova 2016.

[7] Un esempio può essere anche quanto contenuto in Diario Ottuso.

[8] Fotografia in Appendice n. 76, 77, 78. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[9] Rosselli chiamava l’asterisco “stellina”, ed è così che è nominato all’interno della sua nota manoscritta.

[10] Il fascicolo di riferimento è PS.16, cartella 23.

[11] La motivazione utilizzata da Rosselli nella bozza di stampa è la seguente: «crea ritmicamente rapporto con la 17esima poesia».

[12] Fotografia in Appendice n. 79. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[13] Fotografia in Appendice n. 80. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[14] Sicuramente ci sono riferimenti al suo mon amie, Rocco Scotellaro, scomparso nel 1953 e con cui Rosselli aveva sviluppato un legame poetico e amicale di una certa rilevanza.

[15] Segnalato per mezzo di nota manoscritta dell’autrice.

[16] È il caso della poesia a p. 7, dove una correzione manoscritta segnala l’utilizzo della i con dieresi (ï).

[17] Rosselli indica il 24esimo spazio con una nota manoscritta a matita.

[18] «Sono incluse, in modo graduale, parole di origine dubbiosa, o inventata, o dovute all’influenza della mia lingua italiana o, a volte, dall’influenza della lingua inglese.» Traduzione a nostra cura.

[19] Fotografia in Appendice n. 81. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[20] Fotografia in Appendice n. 82. Poi, come si vede dalla bozza di stampa, Fantasies rimane con la lettera maiuscola. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[21] Si fa riferimento a diverse poesie di Rosselli, che hanno la peculiarità di essere composte da un solo verso, spesso eponimo.

[22] Un esempio potrebbe essere il saggio introduttivo a Variazioni belliche.

[23] Al contrario di Diario in tre lingue, A birth è stato ricopiato in una sola sessione, con la sola ipotesi delle ultime due pagine composte in carta copiativa, per via dell’inchiostro un po’ irregolare.

[24] Armando Marchi (1955-2008) è stato redattore di Guanda dal 1986 al 1988, per cui non curò la prima edizione, pubblicata invece nel 1980. Questa appena menzionata, infatti, venne curata da Giovanni Raboni.

[25] La data è incerta: infatti, Rosselli ne propone due diverse, prima di riscrivere l’11 agosto a matita: si può pensare che questa sia la data effettiva, ma non sapendo quando sono state apposte le note manoscritte, può essere solo un’ipotesi – come spesso accade quando Rosselli pone delle date.

[26] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 206.

[27] Si tratta sempre di Emmanuela Tandello, l’attuale curatrice dell’opera in inglese di Rosselli.

[28] Tra le altre cose, il dattiloscritto reca anche la dicitura ‘versione originale per spaziatura originale’.

[29] Il riferimento è soprattutto a Variazioni belliche.

[30] L’unica eccezione è poi il ritorno a ‘casa Garzanti’, che detiene oggi diverse opere poetiche di Rosselli.

[31] Fotografia in Appendice n. 81. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[32] Testo originale: «Sont inclus peu à peu des mots d’origine douteuse, où inventés, où de formation m-italienne, où, quelquefois, d’origine anglaise». Traduzione a nostra cura.

[33] Fotografia in Appendice n. 83. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[34] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 204.

[35] Amelia Rosselli, L’opera poetica, Mondadori Editore, Milano 2013, p. 688.

[36] Fotografie in Appendice n. 84-85. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[37] Beppe Sebaste (1959-) è fondatore della casa editrice AeliaLaelia insieme a Carlo Bordini, Giorgio Messori, Daniela Rossi e Charles Debiere.

[38] Si ricorda infatti che Rosselli è stata pubblicata, per la maggior parte del tempo, dalla casa editrice Garzanti.

[39] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica, in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 204.

[40] La sequenza in copia carbone blu consta delle carte a p. 4, 15, 18, 21, 43, 49, 50, 51, 59.

[41] Sequenza in dattiloscritto nero: p. 6, p. 7, p. 11, p. 12, 17, 19, 22, 23, 24, 25, 27, 29, 30, 32, 33, 37, 39, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 48, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 60, 63, 65, 66.

[42] Questa nuova sequenza di componimenti, riferibili con un’altra copia carbone nera, vede le p. 8, 10, 13, 14, 16, 20, 26, 28, 31, 34, 35, 36, 38, 40, 61, 62, 64.

[43] Rivista fondata da Fabio Doplicher, durata solo dal 1981 al 1983, era nata con l’idea di una cadenza bimestrale, in seguito non sempre rispettata.

[44] Luigi Pintor (1925-2003) fu giornalista e scrittore, fondatore de “il manifesto” e autore di opere come Parole al vento e La signora Kirchgessner.

[45] Alberto Carocci (1904-1972) è stato giornalista e scrittore italiano, noto per aver fondato la rivista “Solaria” e, solo in seguito, “La riforma letteraria” e “Argomenti”. È grazie a lui se autori come Gadda o Vittorini riuscirono a emergere nel panorama letterario nazionale.

[46] Alberto Moravia (1907-1990) è stato scrittore e saggista, e tra le sue opere più note si ricordano: Gli indifferenti, La ciociara, Il conformista, La noia. Era cugino di Rosselli (poiché nato da Carlo Picherle, fratello di Amelia Picherle, nonna di Amelia Rosselli).

[47] Nel fascicolo ASP.1 è contenuta una lettera, datata al 7 maggio 1983, per la rivista “Alfabeta”.

[48] Fotografia in Appendice n. 84. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).

[49] Si riporta la nota manoscritta dell’autrice.

[50] Si riporta la nota manoscritta dell’autrice. Fotografia in Appendice n. 86. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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