Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/ Blog del Laboratorio di editoria diretto da Roberto Cicala Sun, 02 Mar 2025 11:05:19 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://editoria.letteratura.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Icona-e1547805980831-32x32.png Editoria & Letteratura https://editoria.letteratura.it/ 32 32 I nuovi “Meccanismi dell’editoria” fra IA, generi emergenti e accessibilità https://editoria.letteratura.it/i-nuovi-meccanismi-delleditoria-fra-ia-generi-emergenti-e-accessibilita/ https://editoria.letteratura.it/i-nuovi-meccanismi-delleditoria-fra-ia-generi-emergenti-e-accessibilita/#respond Sun, 02 Mar 2025 11:04:05 +0000 https://editoria.letteratura.it/?p=9083 “Il mondo dei libri dalla carta all’intelligenza artificiale” è il sottotitolo dell’edizione 2025 del volume di Roberto Cicala I meccanismi dell’editoria pubblicato Mulino con oltre cento case studies editoriali, glossario inglese ed espansioni digitali e multimediali on line, con focus sui fenomeni romance, graphic novel, booktoker, ghostwriter e pseudonimi, sull’accessibilità e sui dati di settore aggiornati.

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“Il mondo dei libri dalla carta all’intelligenza artificiale” è il sottotitolo dell’edizione 2025 del volume di Roberto Cicala I meccanismi dell’editoria pubblicato Mulino con oltre cento case studies editoriali, glossario inglese ed espansioni digitali e multimediali on line, con focus sui fenomeni romance, graphic novel, booktoker, ghostwriter e pseudonimi, sull’accessibilità e sui dati di settore aggiornati. Il Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica segnala quest’opera nata in collaborazione con le nostre ricerche: un libro che si rivolge ai lettori forti, ai giovani e a chi vuole capire l’attuale società attraverso questo prodotto culturale in continua mutazione.

Dalla quarta di copertina: “Uno dei maggiori esperti del settore racconta l’innovazione e la tradizione nelle fasi di progettazione, produzione e promozione del libro, sia cartaceo che e-book. Un’introduzione all’universo librario attuale, alle professioni culturali dentro e fuori le case editrici e alle modalità nuove di lettura, in presenza e in digitale, con l’analisi di casi esemplari, dai Gialli Mondadori a Harry Potter, da Calvino a Eco, da Gomorra a Elena Ferrante e Zerocalcare, dal self publishing alle piattaforme social. Nuova edizione aggiornata con dati al 2025 e con focus su accessibilità e sostenibilità, su generi emergenti come graphic novel e romance, su fenomeni come i booktoker e altri trend social, oltre ad approfondimenti sulle trasformazioni dei mestieri della filiera tramite l’intelligenza artificiale e un glossario inglese-italiano del comparto. È un viaggio dall’autore al lettore dentro la mediazione editoriale per capire l’attuale società attraverso questo prodotto culturale che, pur in continua mutazione, resta in equilibrio tra materialità e immaterialità, artigianato e industria”.

Indice completo del volume: clicca qui

Dall’introduzione. Un viaggio nella filiera editoriale per interpretare i cambiamenti della società attuale. L’editoria sta cambiando, soprattutto dopo l’esplosione dell’intelligenza artificiale, ma è difficile capire quale sarà la nuova dimensione e soprattutto quella futura. Tutti pensiamo di conoscere questo oggetto, apparentemente semplice nel suo manifestarsi in un parallelepipedo di carta e inchiostro più o meno tascabile oppure in uno schermo più o meno portatile; tuttavia questo prodotto culturale, vecchio di oltre cinque secoli e sempre nuovo anche nelle sue forme digitali, ha una complessità insita nei meccanismi della sua filiera, dall’autore al lettore.§
Dietro le quinte di un best seller, di un’edizione di studio o di un testo scolastico stanno professioni, processi, tecnologie, azioni comunicative e tipologie di ricezione che stanno attraversando trasformazioni, ma che possono essere conosciute, interpretate e vissute al meglio soltanto a patto di non disattendere l’esperienza maturata fin qui, soprattutto nel Novecento. Con il titolo I meccanismi dell’editoria si intende offrire un’introduzione aggiornata all’universo librario attuale, ai mestieri culturali dentro e fuori le case editrici, fino alle più diverse consuetudini di lettura, collocandosi all’interno della vasta bibliografia di settore, tra le indagini più storiografiche e gli strumenti più tecnici. Il metodo privilegia l’esperienza e l’esemplificazione, fondendo la teoria di un manuale sui meccanismi della filiera con la pratica di oltre sessanta casi legati alla contemporaneità dell’editoria italiana, caratterizzata da una bibliodiversità e da uno spiccato policentrismo, con una profondità storica che va dai primi «Gialli» Mondadori a Harry Potter e L’amica geniale, da Calvino a Eco e Zerocalcare, dal self publishing alle piattaforme social di crowdfunding. Il taglio saggistico, con molte citazioni che fanno ascoltare la voce degli addetti ai lavori, lascia il posto nella parte centrale ad approfondimenti più formativi, anche sulla terminologia di settore, con un glossario essenziale di riepilogo e con contenuti extra nello spazio web Pandoracampus, dove sono presenti indici di ricerca aggiuntivi (case editrici, collane e opere letterarie citate: utili per ricerche), aggiornamenti e materiali ulteriori, anche multimediali e video.
È un diario di viaggio esteriore e interiore, materiale e mentale, che ricostruisce e ricompone il complesso delle parti che costituiscono la macchina editoriale e che sono tra loro collegate in modo da ottenere gli effetti sperati: lo stupore di una storia che commuove in un romanzo, l’emozione di un pensiero suscitato in un saggio, l’entusiasmo di poter conoscere un mondo inesplorato in un manuale, le parole che non si trovavano rivelatesi d’un tratto in una poesia, i fenomeni emergenti che traghettano le nostre narrazioni in un mondo liquido e interattivo. È un itinerario dall’autore al lettore per seguire in presa diretta l’esperienza intellettuale di ogni libro.

Una citazione: « Un editore può anche affrontare il proprio lavoro sulla base di una ipotesi di lavoro molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare, e cambierà». (Giangiacomo Feltrinelli)

 L’autore: Roberto Cicala insegna all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Pavia, dove dirige il master in editoria. È editore di Interlinea. Collaboratore di riviste e quotidiani tra cui “la Repubblica” e “Avvenire”, ha pubblicato Bibliografia reboriana (Olschki) e I libri di Carlo Dionisotti (Scheiwiller) con Valerio Rossi. I suoi libri con il Mulino sono: Da eterna poesia. Un poeta sulle orme di Dante: Clemente Rebora (2021) e Andare per i luoghi dell’editoria (2024). Ha inoltre curato inediti di Rodari, Rebora e Vassalli acanto a saggi di storia editoriale su Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, Dehoniane, Vita e Pensiero, tra gli altri.

 I meccanismi dell’editoria. Il mondo dei libri dalla carta all’intelligenza artificiale, Il Mulino, pp. 296, euro 24  compreso accesso a piattaforma web Pandoracampus con contenuti aggiuntivi in aggiornamento, audiolibro e test, 978-88-15-39162). Disponibile su Il Mulino, Amazon, Ibs/Feltrinelli, Hoepli e altri bookshop.

 


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Oltre 50 anni di storia dell’Editrice Bibliografica: il ricordo di Giuliano Vigini https://editoria.letteratura.it/oltre-50-anni-di-storia-delleditrice-bibliografica-il-ricordo-di-giuliano-vigini/ https://editoria.letteratura.it/oltre-50-anni-di-storia-delleditrice-bibliografica-il-ricordo-di-giuliano-vigini/#respond Thu, 30 Jan 2025 09:02:53 +0000 https://editoria.letteratura.it/?p=9072 Nel maggio 1974 nasce l’Editrice Bibliografica, una casa editrice da sempre rivolta al mondo dell’editoria, della comunicazione e della ricerca, con un’attenzione particolare per le biblioteche e i repertori bibliografici. Un ricordo degli oltre cinquant’anni di storia della casa editrice scritto da Giuliano Vigini, tra i fondatori della casa editrice insieme a Paolo e Michele […]

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Nel maggio 1974 nasce l’Editrice Bibliografica, una casa editrice da sempre rivolta al mondo dell’editoria, della comunicazione e della ricerca, con un’attenzione particolare per le biblioteche e i repertori bibliografici. Un ricordo degli oltre cinquant’anni di storia della casa editrice scritto da Giuliano Vigini, tra i fondatori della casa editrice insieme a Paolo e Michele Costa.

Stand Editrice Bibliografica al Salone del libro di Torino.

Stand dell’Editrice Bibliografica al Salone del libro di Torino del 2024.

Cinquant’anni di vita di una casa editrice – di qualunque casa editrice – sono un traguardo affettivamente importante per chi l’ha costituita e per quanti l’hanno continuata. Quando poi si tratta di una casa editrice come la Bibliografica che – se l’immodestia non prende in me il sopravvento – ha segnato un punto di svolta nell’informazione libraria e nella manualistica per le professioni del libro, dagli editori alle biblioteche, allora l’affetto si trasforma in una soddisfazione più intima e profonda.
Correva l’anno 1974, quando, con Paolo e Michele Costa, avevo avvertito l’esigenza di una serie di testi, repertori e riviste che fossero, oltreché degli strumenti per il concreto lavoro editoriale, librario e bibliotecario, delle scale di servizio per creare anche in Italia un’organica cultura del libro e della biblioteca.
Avevamo cominciato con una collana periodica trimestrale intitolata “Cosa leggere”, che si proponeva di offrire qualche indicazione bibliografica sulle opere migliori nei vari campi del sapere, ma quella era stata soltanto l’occasione di un inizio. Da subito, con Paolo e suo fratello Michele, che già si era trasferito a Milano da Genova, avevo capito che potevamo costruire qualcosa di nuovo nel panorama italiano, e così è stato, per la consonanza di idee, la condivisione delle competenze, la stima reciproca e soprattutto l’amicizia che ci ha sempre guidato nei nostri progetti: ossia quei valori che fanno l’unione delle forze e danno a quello che si fa una speranza di futuro. Sarò sempre grato a loro per quello che mi hanno permesso di fare, ma credo anche loro a me, per come insieme ci siamo cambiati la vita.

Naturalmente, non è mia intenzione qui ripercorrere le varie fasi di sviluppo dell’Editrice Bibliografica, perché il catalogo storico dei primi vent’anni – curato da un amico della prima ora e da un amato maestro di tanti bibliotecari, Luigi Crocetti – offre già un quadro di ciò che è stato fatto.
Vorrei però almeno accennare ad alcuni passaggi-chiave. In primo luogo, sul piano informativo della produzione libraria, il ruolo determinante avuto dalla pubblicazione del Catalogo dei libri in commercio. Volevamo rendere disponibile anche in Italia un repertorio completo, moderno e tecnologicamente avanzato, sul modello dei tre cataloghi internazionali più noti che avevamo avuto modo di consultare alla Fiera del libro di Francoforte, ossia il Books in print americano; il British books in print inglese e Les livres disponibles francese: tutti in vari volumi e divisi in più parti (autori, titoli e soggetti).

Quest’idea diventerà concreta nel 1975 e, per una casa editrice nata l’anno prima, si trattava indubbiamente di una scelta coraggiosa, economicamente impegnativa, ma giudicata necessaria come strumento fondamentale per il lavoro dei librai e per il commercio librario in generale. Quell’anno il Catalogo era in un solo volume in tre parti (autori, titoli, soggetti) e, dal 1977, veniva aggiornato ogni mese attraverso la pubblicazione delle novità sul “Giornale della libreria”, organo ufficiale dell’Associazione italiana editori, ma gestito dal 1976 dall’Editrice Bibliografica. Poi l’edizione a stampa del supplemento all’interno della rivista sarà sostituita dal CD-rom e successivamente dal DVD di ALICE (Archivio dei Libri Italiani su Calcolatore Elettronico), a cominciare dal 1989.
Se il Catalogo dei libri in commercio era il pilastro annuale dell’attività della casa editrice, cercavamo di individuare altri strumenti utili al mondo del libro. Uno di questi, dal 1976, era il Catalogo degli editori italiani, via via perfezionato nei dati relativi alle singole case editrici, e arricchito ogni volta di statistiche, rapporti sullo stato dell’editoria libraria, analisi storiche.

Nel 1977 si verificherà una svolta decisiva, per non dire un’autentica rivoluzione, per tutto il sistema del libro. Prenderà infatti avvio anche in Italia, da parte dell’Associazione italiana editori e la gestione operativa dell’Editrice Bibliografica, l’Agenzia ISBN per l’area di lingua italiana. Significava che il numero a dieci cifre identificativo del libro nel mondo, l’International Standard Book Number (ISBN) apposto su ogni edizione dei volumi a stampa, diventava anche da noi il codice di riferimento indispensabile per la gestione dell’intera filiera del libro, con enormi vantaggi di rapidità, semplificazione e precisione. All’ISBN subentrerà alcuni anni dopo il codice a barre a tredici cifre, l’EAN (European Article Number), che resta la base di ogni sistema e procedura commerciale.

Vigini Rapporto Bibliografica

Copertina del Rapporto sull’editoria italiana, scritto da Giuliano Vigini e pubblicato nella collana “I mestieri del libro” nel 1999.

Nel 1978 sarà inaugurata la collana che, sul piano formativo professionale, rappresenterà la carta d’identità della casa editrice: vale a dire la collana “Bibliografia e biblioteconomia”, dove fin dagli inizi troveranno posto testi importanti e, tra questi, mi piace ricordare il Totok-Weitzel, Manuale internazionale di bibliografia, tradotto e aggiornato da Piero Innocenti, con la prefazione di Diego Maltese.
A questa collana per bibliotecari affiancheremo diversi anni dopo anche una collana di saggi e manuali professionali per editori e librai, intitolata “I mestieri del libro”, che mi è cara non tanto perché è stata inaugurata da un mio saggio, L’Italia del libro. Struttura, produzione e mercato editoriale (1990), ma perché ha aperto una strada nello studio dei vari aspetti dell’editoria e del lavoro editoriale, presso l’Editrice Bibliografica ma anche presso molti altri editori.

Sul piano repertoriale, un posto rilevante hanno avuto le “Grandi opere”, che, inaugurate nel 1986 da Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento di Giuseppina Zappella, hanno visto nel 1991, dopo quattro anni di raccolta, registrazione ed elaborazione dati, la pubblicazione di un’impresa bibliograficamente, redazionalmente, organizzativamente e finanziariamente imponente, forse anche temeraria, come CLIO: i 19 volumi a stampa del Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (1801-1900), ordinati per autori, editori e luoghi di edizione.
Le 420.898 edizioni censite in CLIO erano il risultato di uno spoglio di circa 13 milioni di schede di catalogo di biblioteche e di repertori specifici, attraverso il quale si è prodotta, pur con le sue inevitabili lacune e imperfezioni, «un’opera monumentale – come è stato scritto autorevolmente (Guglielmo Manfrè, Accademie e biblioteche d’Italia”, anno LX, n. 2, 1992) – che fa onore alla Casa editrice che l’ha realizzata e alla bibliografia italiana». In realtà, penso che si possa essere fieri di esser riusciti a portarla a termine e di aver messo a disposizione di una vasta categoria di utenti un’opera di consultazione che ha reso e rende un prezioso servizio.

Vorrei da ultimo soffermarmi su un altro pilastro, professionale e insieme culturale, dell’Editrice Bibliografica: la rivista “Biblioteche oggi”, nata nel novembre-dicembre 1983 come bimestrale, con direttore Luigi Crocetti, e diventata nel febbraio 1993 mensile, con direttore Massimo Belotti, motore della rivista e anche preziosa colonna della casa editrice.
Mettendomi dalla parte dell’editore di allora, vorrei osservare che la pubblicazione di una rivista è qualcosa di diverso e di più impegnativo che non la pubblicazione di un singolo libro. L’editore sa, o perlomeno avverte, che con una nuova rivista non immette soltanto sul mercato un “prodotto” nuovo, come tanti altri destinati a seguirlo, ma impegna una più forte immagine di sé, forse orientandola in modo decisivo.

Quando si era valutata la possibilità di dar vita a una rivista per le biblioteche, ci siamo posti il duplice obiettivo di aprire degli spazi nuovi nel mondo bibliotecario italiano, per una riflessione matura e aperta sul ruolo e le funzioni di una biblioteca, e al tempo stesso di far sì che la rivista contribuisce a rafforzare ulteriormente l’immagine della casa editrice come riferimento obbligato per la formazione professionale del bibliotecario.
Penso di poter dire che “Biblioteche oggi”, attraverso studi, analisi, inchieste, ma anche il dibattito, lo scambio di idee e un coinvolgimento partecipativo sempre più largo, è riuscita nel suo intento, dando un contributo essenziale all’evoluzione e al progresso di tutto il settore.
Quando una casa editrice dura cinquant’anni, il merito va ai tanti – editori, direttori, autori, collaboratori, lettori – che si sono susseguiti nel tempo. A distanza di tanti anni, l’importante è conservare di tutti un grato ricordo.

Giuliano Vigini


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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I “Quaderni del Laboratorio di editoria” vanno in distribuzione nazionale https://editoria.letteratura.it/i-quaderni-del-laboratorio-di-editoria-vanno-in-distribuzione-nazionale/ https://editoria.letteratura.it/i-quaderni-del-laboratorio-di-editoria-vanno-in-distribuzione-nazionale/#respond Wed, 15 Jan 2025 08:25:24 +0000 https://editoria.letteratura.it/?p=9066 La collana sul mondo dell’editoria dell’Università Cattolica diretta da Roberto Cicala raccoglie le ricerche di giovani ed è edita da Educatt con la consulenza di Daniele Clarizia: ora trova una distribuzione nazionale più allargata grazie all’accordo con Interlinea «Ultimo tra i compiti dell’editoria di cultura per i prossimi vent’anni mi pare il recupero della felicità. […]

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La collana sul mondo dell’editoria dell’Università Cattolica diretta da Roberto Cicala raccoglie le ricerche di giovani ed è edita da Educatt con la consulenza di Daniele Clarizia: ora trova una distribuzione nazionale più allargata grazie all’accordo con Interlinea

«Ultimo tra i compiti dell’editoria di cultura per i prossimi vent’anni mi pare il recupero della felicità. Bisogna che il gruppo editoriale sia tutto partecipe, conosca tutto quello che si progetta, senta come proprio il progetto comune» (Giulio Einaudi).

La collana nasce dal Laboratorio di editoria che la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano ha istituito, nell’anno accademico 2002-2003, a fianco del corso di Editoria libraria e multimediale, prima cattedra italiana di settore. Questi volumi trovano i loro argomenti nel mondo dell’editoria letteraria e dei suoi protagonisti: partendo dalla sperimentazione in aula, ciascun volume si trasforma nel frutto di una vera e propria officina editoriale, un piccolo laboratorio artigianale che ha consentito negli oltre vent’anni di attività un’esperienza di progettazione e cura editoriale a giovani e appassionati studenti che hanno sviluppato le loro competenze provando in prima persona che cosa significa allestire un libro in tutte le sue componenti (dal titolo ai testi, dalla redazione alla correzione delle bozze, con scelte relative agli elementi paratestuali) e molti di essi sono entrati a pieno titolo nelle professioni della filiera editoriale.

In questi titoli passione e ricerca si incontrano, raccontando l’esperienza di un gruppo che attorno alla cattedra di editoria di Roberto Cicala ha dedicato a libri, autori e collane molti studi e tesi di laurea, lavorando anche su carte d’archivio inedite. L’attenzione al mondo dell’editoria spazia dallo studio del passato, celebrando il secolo della De Agostini, dell’editore Rusconi e di Mondadori ed Einaudi, fino alla ricerca sull’oggi, la crisi del libro, i mestieri dell’editoria e i più recenti casi editoriali, legati a tematiche scelte dagli stessi studenti.

I progetti si giovano sempre del confronto con alcuni degli attori principali di questo mondo, come Carlo Carena, Gian Carlo Ferretti, Ernesto Ferrero, Roberto Cerati, Ulrico Hoepli, Federico Enriques, Rosellina Archinto, Sebastiano Vassalli e molti altri nomi dell’editoria italiana che hanno risposto agli interrogativi, anche provocatori, degli studenti e alla loro voglia di far parte del mondo dei libri.

La collana “Quaderni del Laboratorio di editoria” (“Quale”) si compone di più serie:

  • Studi”: per le ricerche di laureati e giovani studiosi nell’ambito dell’editoria letteraria novecentesca. I volumi sono il risultato degli studi e delle indagini condotte in archivi, che offrono spesso documenti inediti. Vengono approfonditi casi editoriali, collane, parabole culturali di alcune celebri case come Mondadori, Einaudi, De Agostini, Rusconi, EDB.
  • Strumenti”: estratti, letture a uso didattico e manuali a uso pratico con argomenti legati alla storia del libro e alla pratica dell’editoria, dalle origini al Novecento, con particolare attenzione al lavoro redazionale.
  • Cataloghi di mostre bibliografiche”: sintesi iconografiche e antologiche su soggetti di esposizioni documentarie e librarie, da Dante a Rebora, dal filologo Contini in rapporto allo stampatore Tallone a esperienze creative attraverso le carte d’autore, per esempio di Sebastiano Vassalli, oltre a storie editoriali di settori particolari come gli atlanti.
  • Officina”: volumi realizzati dagli studenti nell’officina del Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica. Frutto di un’esperienza di progettazione e cura editoriale, questi volumi offrono un’ampia scelta di casi editoriali e letterari di volta in volta studiati alla luce di un tema dominante, sotto forma di antologie tutte da leggere. Diversi titoli sono accompagnati da booktrailer nel canale YouTube LaboratorioEditoria: https://www.youtube.com/user/LaboratorioEditoria

Sito web istituzionale: http://progetti.unicatt.it/laboratorioeditoria
Blog Letteratura&editoria: https://editoria.letteratura.it

TITOLI IN COLLANA AL 2024

  1. ROBERTO CICALA, 100 anni di editoria. Storia dell’Istituto Geografico DeAgostini 1901-2001, con iconografia a cura di Paolo Boroli, presentazione di Marco Drago, Isu Università Cattolica, pp. 86, ill.
  2. Libro, lasciami libero. Introduzione letteraria all’editoria, a cura di Roberto Cicala, illustrazioni di Gemma Ciarlo, pp. 108, ill.
  3. GAETANO VOLPI, Avvertenze utili e necessarie agli amatori de’ buoni libri (1756), presentazione di Edoardo Barbieri, pp. 84, ill.
  4. Libri e scrittori da collezione. Casi editoriali in un secolo di Mondadori, con illustrazioni e documenti, a cura di Roberto Cicala e Maria Villano, presentazione di Gian Carlo Ferretti, pp. XVI+338, ill.
  5. Le carte di Rebora. Libri, autografi e immagini: un itinerario nella vita e nelle opere del poeta, con una nota di Luciano Erba, pp. 108, ill.
  6. Voci dell’editoria. Interviste sui mestieri del libro, con un’intervista finale a Beppe Severgnini, presentazione di Roberto Cicala, pp. 160, ill.
  7. BRUNO BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, estratto a uso didattico, pp. 132, ill.
  8. Quo vadis libro? Interviste sull’editoria italiana in tempo di crisi, pp. 128, ill.
  9. Libri e scrittori di via Biancamano. Casi editoriali in 75 anni di Einaudi, con illustrazioni e documenti, a cura di Roberto Cicala e Velania La Mendola, presentazione di Carlo Carena, pp. XII+600, ill.
  10. Non è un caso che sia successo. Storie editoriali di best seller, con un’intervista a Paolo Giordano, pp. 150, ill.
  11. Italia tra le righe. I romanzi della nostra storia, con interviste a Melania Mazzucco e Sebastiano Vassalli, pp. 170, ill.
  12. Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria, presentazione di Roberto Cicala, illustrazioni di Tullio Pericoli, pp. 154, ill.
  13. Il bello e il vero. Petrarca, Contini e Tallone tra filologia e arte della stampa, catalogo della mostra con antologia di testi e iconografi a, a cura di Roberto Cicala e Maria Villano, presentazione di Carlo Carena, pp. 108, ill.
  14. ROBERTO CICALA, Inchiostri indelebili. Itinerari di carta tra bibliografi e, archivi ed editoria, pp. 412, ill.
  15. Film da sfogliare. Dalla pagina allo schermo, con appendice iconografi ca, a cura di Velania La Mendola e Maria Villano, note di Roberto Cicala, Roberto Della Torre, Alessandro Zaccuri, pp. 194 ill.
  16. Un soffio tra le pagine. Lo spirito nella letteratura italiana contemporanea: un’antologia di casi editoriali, presentazione di Giuseppe Langella, pp. 212, ill.
  17. Il gusto delle parole. Assaggi editoriali di romanzi contemporanei, con nota di Roberto Cicala e presentazione di Andrea Kerbaker, pp. 146, ill.
  18. Dalla pietra alla rete. L’evoluzione editoriale delle carte geografi che De Agostini, catalogo della mostra, testi di Roberto Cicala, pp. 52, ill.
  19. Sogni d’autore. Percorsi editoriali tra realtà e fantasia, presentazione di Luigi Mascheroni, pp. 128, ill.
  20. Letture per il corso di editoria, raccolte da Roberto Cicala e Vittorio Di Giuro, testi di Valentino Bompiani, Roger Chartier, Robert Darnton, Carlo Dionisotti, Giangiacomo Feltrinelli, Gian Carlo Ferretti, Gérard Genette, Donald McKenzie, pp. 146, ill.
  21. 21. La cura del testo in redazione. Norme editoriali essenziali, a cura di Roberto Cicala, Valerio Rossi e Maria Villano, pp. 62, ill.
  22. «Come un don Chisciotte»: Edilio Rusconi tra letteratura, editoria e rotocalchi, con illustrazioni e documenti, a cura di Velania La Mendola, presentazione di Roberto Cicala, pp. 412, ill.
  23. I labirinti del mito. Viaggio editoriale nella mitologia della narrativa contemporanea, presentazione di Elisabetta Matelli, pp. 112, ill.
  24. 24. La nascita di uno scrittore. Vassalli prima della Chimera: 1965-1989, catalogo della mostra, a cura di Roberto Cicala e Linda Poncetta, presentazione di Giovanni Tesio, pp. 108, ill.
  25. Voci dal Sessantotto. Ritratti editoriali di una contestazione, presentazione di Giuseppe Lupo, pp. 108, ill.
  26. Libri tra i Sassi. Matera e la Basilicata nei maggiori casi editoriali, presentazioni di Antonella Sciarrone Alibrandi e Paolo Verri, pp. 114, ill.
  27. Il romanzo di una valle. Il caso editoriale di Marco e Mattio di Vassalli tra le Dolomiti di Zoldo e Venezia, catalogo della mostra, a cura di Roberto Cicala e Valentina Giusti, pp. 86, ill.
  28. 28. Libri in pellicola. Casi editoriali del cinema italiano, presentazione di Giorgio Simonelli, pp. 131, ill.
  29. Dante, tutti ne parlano. Il girone dei casi editoriali, presentazioni di Simona Brambilla e Roberto Cicala, pp. 102, ill.
  30. Dante a Novara. Edizioni e personaggi della Commedia tra Sesia e Ticino, catalogo della mostra nel VII centenario, a cura di Roberto Cicala e Paolo Testori, pp. 80, ill.
  31. Petrarch and Apple Pie. American Students Meeting the Italian Renaissance, a cura di Federico Schneider e Martina Vodola, pp. 68, ill.
  32. Guerra ai libri. Casi editoriali di censura, presentazione di Roberto Cicala, pp. 132, ill.
  33. EDB: da 60 anni libri fedeli alla Parola (1962-2022), presentazioni di Roberto Cicala, Riccardo Roveroni e Giuliano Vigini, pp. 108, ill.
  34. All’ombra di un nome. Casi editoriali di autori sotto pseudonimo, presentazione di Roberto Cicala, pp. 144, ill.
  35. Galleria di sguardi. Casi editoriali del mondo dell’arte, a cura di Valentina Giusti e Martina Vodola, presentazione di Kevin McManus, pp. 132, ill.


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Luciano Foà tra Einaudi e Adelphi https://editoria.letteratura.it/luciano-foa-una-carriera-tra-einaudi-e-adelphi/ https://editoria.letteratura.it/luciano-foa-una-carriera-tra-einaudi-e-adelphi/#respond Thu, 24 Oct 2024 10:45:19 +0000 https://editoria.letteratura.it/?p=9024 Divergenze editoriali, ideologia e concorrenza interna: attraverso le carte d’archivio e alcune interviste radio-televisive inedite, una tesi approfondisce le ragioni che condussero Luciano Foà ad abbandonare l’Einaudi e fondare l’Adelphi. Nato a Milano nel 1915 da Augusto Foà e Emma Agnelli, Giuseppe Luciano Foà ha rivestito un ruolo di rilievo nell’editoria italiana del Novecento in […]

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Divergenze editoriali, ideologia e concorrenza interna: attraverso le carte d’archivio e alcune interviste radio-televisive inedite, una tesi approfondisce le ragioni che condussero Luciano Foà ad abbandonare l’Einaudi e fondare l’Adelphi.

Nato a Milano nel 1915 da Augusto Foà e Emma Agnelli, Giuseppe Luciano Foà ha rivestito un ruolo di rilievo nell’editoria italiana del Novecento in qualità di agente letterario, traduttore, consulente, segretario generale ed editore a tutto tondo. Suggerito a Giulio Einaudi da Cesare Pavese, Foà rivestì l’incarico di segretario generale della casa editrice dello Struzzo negli anni cinquanta: un ruolo ricoperto per dieci anni e interrotto ufficialmente nell’estate del 1961, con il trasferimento da Torino a Milano e la fondazione di Adelphi nel giugno 1962 insieme con Roberto Bazlen, Alberto Zevi e Roberto Olivetti.
Dover rendere ragione di una questione così complessa come l’uscita di Luciano Foà dalla casa editrice Einaudi può suscitare un certo spaesamento: sono state fornite molteplici chiavi di lettura per descrivere la fondazione di Adelphi, ritenuta dai più il frutto di uno scisma avvenuto nel nome controverso di Nietzsche, una sostanziale rottura con il marxismo, l’illuminismo e il razionalismo dell’Einaudi. Da questa connotazione rigorosamente ideologica alcuni studi hanno preso le distanze, ascrivendola a una mitografia editoriale fallace e non suffragata da fonti, prediligendo piuttosto un ritorno alla storiografia, con un’attenzione maggiore riservata a quei documenti che avvalorano una realtà più composita.
Ebbene, la soluzione più razionale che si è voluto perseguire in questo lavoro di tesi è stata quella di prendere finalmente atto che le motivazioni sottese alla decisione di Luciano Foà di porre fine alla collaborazione con la Einaudi furono molteplici e di diverso ordine. Nel tentativo di restituire una ricostruzione degli eventi aderente alla verità così come intesa dall’editore, sono state raccolte quante più testimonianze dirette possibili, cercando un punto di equilibrio tra l’esercizio del pensiero critico sulle fonti e l’evitamento di interpretazioni polarizzanti. Premesse delle ragioni di carattere strettamente famigliare, ovvero il peggioramento delle condizioni di salute della moglie di Foà, Luisa Schiralli, che al principio degli anni sessanta avevano reso impellente il trasferimento da Torino a Milano, si è riscontrata la necessità di accogliere tutte le altre cause addotte da Foà in occasione dei rari interventi ad oggi rintracciabili.

L’uscita dall’Einaudi e la “questione Nietzsche”: tra mistificazioni e inesattezze

Nel maggio 1986 veniva mandato in onda su RAI Tre Biografia di un catalogo. Profilo della casa editrice Einaudi,[1] un reportage giornalistico sulla casa editrice torinese, nonché «un brano di storia, un quadro di costume, una radunanza di protagonisti della cultura e infine un ragionamento sull’“utilità sociale” dell’editoria impegnata».[2] Con un intento informativo, il racconto televisivo si proponeva di ripercorrere in chiave divulgativa i trascorsi della casa editrice, le scelte editoriali, le collane, i rapporti con gli autori, i criteri della grafica, ma anche gli «errori compiuti» e le «difficoltà sopravvenute». Tra i numerosi interventi di coloro che maggiormente collaborarono alla definizione del progetto editoriale, troviamo anche quello di Luciano Foà, il cui racconto approdava rapidamente alle cause della separazione dall’Einaudi:

Sul piano del lavoro, io avevo cercato appunto di aprire, in un certo senso, una piccola strada nuova con la consulenza di Roberto Bazlen, che partì da quella famosa lettera in cui lui dava un parere su L’uomo senza qualità di Musil.
Io ero amico di Bazlen dal ’38, quindi lo conoscevo da parecchio tempo, conoscevo le sue idee, i suoi gusti, e naturalmente mi dispiaceva che la sua posizione di consulente fosse un po’ sacrificata: così mi è nata l’idea di poter fondare una nuova casa editrice, anche se la cosa non fosse così ben chiara quando io ho lasciato l’Einaudi.[3]

Da queste prime parole si può evincere come la figura dell’amico Bazlen avesse rappresentato un tassello fondamentale nella ridefinizione da parte di Luciano Foà delle proprie aspettative, in larga parte disattese, rivolte alle pubblicazioni della Einaudi; ma, più genericamente, si potrebbe parlare di un mutamento della concezione di casa editrice, catalogo e suggestioni culturali. Nel proseguire la disamina di quegli anni di transizione, Foà non poteva poi non accennare alla questione che gli studi di editoria letteraria avrebbero associato alla sua scelta di lasciare la casa editrice nel luglio 1961, ovvero la rinuncia da parte della Einaudi a pubblicare le Opere complete di Friedrich Nietzsche:

Uno degli ultimi fatti che non riguarda Bazlen, ma che riguarda [Giorgio] Colli, che mi ha dato un’ulteriore spinta, fu quando lui propose alla casa editrice Einaudi – che aveva già in programma di fare nei Millenni un’edizione delle opere di Nietzsche – di fare un’edizione critica in quanto aveva potuto avere accesso, attraverso anche [Mazzino] Montinari, all’archivio di Weimar e di vedere l’infinità di materiale ancora inedito che c’era, e quindi la possibilità di fare un’edizione critica che i tedeschi non avevano, anche perché i tedeschi non volevano andare a Weimar. In questo punto venne rifiutata su pareri diversi: mi ricordo quello di Cantimori insomma.
[L’edizione critica fu] rifiutata in modo definitivo dopo che io lasciai la Einaudi, qualche mese dopo. E questo appunto poi venne a coincidere un po’ con la fondazione della casa editrice, dell’Adelphi, e quindi con l’accettazione della proposta stessa da parte nostra.[4]

Luciano Foà e Giorgio Colli

Luciano Foà e Giorgio Colli. Fonte: Archivio Giorgio Colli.

Per quanto Foà, assecondando uno spirito di realismo manageriale che lo contraddistingueva, tendesse a indicare come origine del rifiuto einaudiano anche l’impegno finanziario proibitivo legato al progetto editoriale avanzato da Giorgio Colli e Mazzino Montinari,[5] non poteva comunque sottrarsi dal fare i conti con quella dirompenza politica e culturale che in ambito accademico aveva suscitato non poche polemiche.[6] Oltre all’irrazionalismo, il filosofo tedesco era al tempo associato indissolubilmente – e come si sarebbe poi dimostrato, impropriamente – all’antisemitismo, al nazismo e al fascismo.[7] Il risultato delle considerazioni su Nietzsche di Delio Cantimori fu quello di consolidare lo scetticismo che sul piano di politica culturale era già ampiamente diffuso fra i membri del consiglio editoriale dell’Einaudi.[8] Pur non avendo rappresentato la causa determinante per il rifiuto definitivo, la critica dello storico sarebbe rimasta impressa tanto nella memoria della casa editrice quanto in quella di Luciano Foà, a cui di volta in volta si sarebbe riferito attraverso le definizioni di «parere», «famoso giudizio negativo» e vero e proprio «veto ideologico».[9] Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, quale fosse stata la narrazione dei fatti legati alla “questione Nietzsche” suggerita dall’editore stesso, Giulio Eiunadi, che nel Colloquio con Severino Cesari avrebbe menzionato quel «momento di crisi» di cui Colli e l’edizione di Nietzsche erano stati protagonisti;[10] si può qui osservare come il punto di vista di Einaudi fosse ricaduto subito sulla gravità economica del progetto editoriale, in una sostanziale linea di continuità con le riflessioni di pragmatismo imprenditoriale di Foà. Nel proseguire il racconto, per l’editore era tuttavia impossibile sottrarsi dall’ammettere il «contrasto» e la «confusione» che si sarebbero creati con l’eventuale aggiunta nel catalogo di «dosi massicce di Nietzsche» (parole atte a indicare la percezione dell’impraticabilità di un distanziamento così netto dalla politica editoriale della Einaudi, legata al PCI), puntualizzando al tempo stesso che l’assenza «di pregiudizi di altra natura verso certi autori del “pensiero negativo”» sarebbe stata dimostrata dalla lettura «dei verbali del mercoledì degli anni cinquanta». Se infatti la casa editrice aveva promosso un’opera come La distruzione della ragione di György Lukács,[11] non si poteva dire che avesse escluso aprioristicamente Nietzsche dalle proprie pubblicazioni:[12] per Claudio Rugafiori «l’Einaudi non respinse le opere di Nietzsche, ma le Opere complete di Nietzsche proprio in quanto complete. Giulio Einaudi non sopportava l’idea, la considerava la bara di un autore».[13] Su questi punti si sarebbe espresso anche Giulio Bollati, il quale – relativamente al funzionamento del dibattito culturale all’interno della Einaudi e alla presunta egemonia-dittatura marxista vigente – avrebbe parlato del rifiuto dell’edizione Colli-Montinari come di «un caso di autocensura o di incomprensione» dettato dalla «posizione particolarmente scomoda» in cui versava la casa editrice:

Il dibattito si svolgeva come si svolge ancora oggi, i libri nascevano dalla discussione e dalle proposte degli interni, dei consulenti, degli amici. La tesi di Galli della Loggia, che la Einaudi sia stata la forza trainante di una dittatura marxista, mi sembra una semplificazione davvero assai rozza. Può esserci stato, piuttosto, qualche caso di autocensura o di incomprensione; nei confronti di Nietzsche, per esempio, che al gruppo torinese gramsciano-gobettiano allora non diceva nulla. Non va dimenticato che in quegli anni di guerra fredda la nostra posizione era particolarmente scomoda: chi non era schierato su posizioni moderate era considerato automaticamente comunista, ma se non era allineato all’ortodossia del partito rischiava di essere bollato come intellettuale velleitario. Noi eravamo sempre in mezzo: il che, beninteso, non comportava solo svantaggi, ma anche un grande senso di libertà. Tutte le nostre scelte, anche quelle che oggi depreco, come il rifiuto di Nietzsche, furono fatte con assoluta convinzione e al di fuori di ogni costrizione.[14]

Si potrebbe concludere che per quanto Nietzsche fosse stato marginalizzato e oggetto di un retropensiero difficile da scardinare,[15] l’Einaudi si era opposta all’idea di un’edizione completa, ma non al filosofo tout court: dai verbali del mercoledì si può osservare, a esempio, come la proposta dello stesso Luciano Foà di pubblicare per l’“Universale” le Lettere di Nietzsche fosse stata accolta con favore qualche mese prima dell’abbandono della casa editrice.[16] L’intreccio di «implicazioni personali, culturali, filologiche ed editoriali» che ha prodotto il “caso Nietzsche” risulterebbe talmente complesso da non poter «ridurre» in modo semplicistico il rifiuto einaudiano «a una volgare questione di censura ideologica».[17]
Ciononostante, a fronte delle innumerevoli attestazioni in cui il segretario generale aveva spontaneamente denunciato il clima refrattario a certe tendenze culturali all’interno della casa editrice dello Struzzo alla fine degli anni ’50, si ritiene che non sia possibile affermare che alle spalle dell’uscita di Foà dalla casa editrice non fossero state presenti anche motivazioni di stampo ideologico.

Ideologia e politica

Ho lasciato l’Einaudi per ragioni soprattutto famigliari e anche perché incominciavo a sentirmi troppo stretto da un punto di vista ideologico, anche se Einaudi era una casa editrice con un’ideologia chiamiamo “aperta”, ma insomma sempre troppo stretta per me.[18]

Luciano Foà (in piedi) con Giulio Einaudi negli anni cinquanta (tratta da E. FERRERO, Il signore degli Adelphi, in “La Stampa”, 8 dicembre 1990).

Luciano Foà (in piedi) con Giulio Einaudi negli anni cinquanta (tratta da E. FERRERO, Il signore degli Adelphi, in “La Stampa”, 8 dicembre 1990).

Una valutazione attenta del materiale raccolto non può esimersi dal tenere in forte considerazione il risvolto politico comportato dal rifiuto einaudiano di pubblicare l’opera omnia di Nietzsche: difatti, sulla base di almeno altre cinque dichiarazioni rilasciate dallo stesso Foà attraverso differenti canali radio-televisivi e periodici, in un arco temporale che va dagli anni settanta agli anni novanta, si evince in modo lampante l’insofferenza che l’allora segretario generale aveva provato rispetto ai vincoli ideologici che, più o meno silenziosamente, si erano manifestati nella casa editrice torinese: limiti che l’Adelphi si era promessa di oltrepassare.[19]
In tale frangente, le lettere indirizzate da Luciano Foà nel corso degli anni a diversi giornali – al fine di mitigare e ridimensionare il peso di alcune sue affermazioni riportate in articoli d’intervista precedentemente pubblicati – rispondevano non tanto a una reale volontà di negare o sminuire le cause ideologiche che lo avevano spinto a lasciare l’Einaudi, quanto al tentativo di non compromettere la propria esperienza decennale in casa editrice e salvaguardare i rapporti personali che lì si erano stabiliti. Basti pensare alla Lettera al Direttore scritta da Foà nel dicembre 1972 e volta a puntualizzare, «soprattutto per correttezza verso altre persone», alcune sue dichiarazioni trascritte da Enzo Siciliano in un articolo pubblicato su “La Stampa”:[20]

Nel 1951 andai a lavorare a Torino, da Einaudi, per dare il mio contributo a un programma culturale e politico che aveva la mia più completa adesione. Perciò, per gran parte dei dieci anni in cui fui presso Einaudi, il mio lavoro, contrariamente a quanto è scritto nell’intervista, “si mescolò” strettamente con i miei “interessi culturali diretti”. Lasciai Einaudi, nel 1961, per un concorso di ragioni familiari e di amichevole dissenso sull’organizzazione della casa editrice e sul suo programma.[21]

Foà specificava come avesse aderito pienamente al «programma culturale e politico» della Einaudi «per gran parte dei dieci anni» di lavoro: un’affermazione che sanciva l’identificazione con la linea editoriale della casa dello Struzzo durante gli anni cinquanta, ma che al tempo stesso sottintendeva un momento di crisi – come si vedrà, più di uno – che lo aveva portato a non sentirsi più parte integrante del progetto einaudiano.
A soli tre anni di distanza l’ex segretario generale avrebbe sentito nuovamente l’urgenza di specificare e contestualizzare alcune dichiarazioni che aveva rilasciato a Silvia Giacomoni per la rivista “Prima Comunicazione”:[22] nella lettera del dicembre 1975 Foà ribadiva, infatti, la «soddisfazione» per il lavoro svolto all’Einaudi e l’«affetto e ammirazione» a essa rivolti, per poi accostarsi all’argomento spinoso del rapporto cultura-politica all’interno della casa editrice.[23] Quello di cui l’editore di Adelphi voleva dar conto attraverso l’espressione «malinconico ideologismo» era il rispecchiamento della frangia più ideologizzata della Einaudi con «la situazione generale della cultura di sinistra italiana», denunciando, in sostanza, un approccio alla cultura limitante e concepito, anche dopo i fatti d’Ungheria del ’56, esclusivamente come strumento di «lotta politica». Gli indugi del consiglio editoriale sul nome di Nietzsche erano stati il frutto di «questo temporaneo “sfasamento” tra un certo ideologismo e una realtà che si rivelava in quegli anni molto più complessa degli schemi invalsi nel periodo della guerra fredda»: una tendenza che Foà ascriveva al periodo compreso tra «la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta» e che, tuttavia, al tempo della scrittura della lettera considerava ormai ampiamente superata. Relegando il rifiuto einaudiano dell’opera omnia di Nietzsche a un momento di passaggio che era stato complesso per l’intero sistema culturale e politico italiano, Foà intendeva assolvere l’Einaudi da ogni accusa di censura ideologica; restituiva, così, un’immagine della casa editrice che «nei vari momenti “storici” del dopoguerra» si era dimostrata e si dimostrava ancora «tra le istituzioni culturali più aperte della sinistra italiana» e fautrice di un’influenza «positiva sulla politica delle sinistre».
Nel mettere a confronto il contenuto delle due lettere sopracitate con le fonti fin ora prese in esame si individuano delle oscillazioni di pensiero a volte di difficile interpretazione, attraverso le quali è possibile dedurre gli ostacoli che Foà dovette affrontare al momento di descrivere il proprio distacco dalla Einaudi, di riportare con le giuste misure una fase che lo aveva visto coinvolto sul piano personale, oltre che professionale: si rileva, in sostanza, la tendenza dall’ex segretario generale a voler evitare fraintendimenti e a non rinnegare un percorso che era stato molto importante nella definizione delle proprie inclinazioni editoriali.
Inoltre, è necessario sottolineare che addurre delle ragioni ideologiche per l’allontanamento di Foà dalla casa editrice non equivale a sottintendere un suo distanziamento dalle posizioni politiche del Partito Comunista Italiano – si noti come qualche mese prima dell’articolo in “Prima Comunicazione” l’editore avesse aderito all’appello lanciato da alcuni intellettuali italiani per un voto di rinnovamento al PCI –, ma alla percezione sperimentata in Einaudi di un ostacolo alla libertà editoriale.[24] Anche dopo l’uscita dal partito a seguito della rivelazione del rapporto Chruščëv e della crisi d’Ungheria, Foà sarebbe rimasto ancora allineato agli ideali di quella corrente, pur non condividendone la «filosofia» o la «metafisica»: «l’idea che il marxismo sia un mezzo insostituibile per interpretare la realtà».[25]
Dall’intervento del ’75 si evincerebbe come la sfera ideologica avesse orientato la decisione di Foà solo parzialmente, non costituendo il motivo «più importante».[26] Anche Giulio Bollati avrebbe dichiarato che la “secessione” di Foà dall’Einaudi non era stata determinata da scelte editoriali come quella sul filosofo tedesco, dal momento che nel caso del segretario il distacco era avvenuto «prima della proposta Nietzsche».[27] Per Bollati le motivazioni di Foà rispondevano, invece, a un «fenomeno assolutamente fisiologico» che aveva visto persone diverse staccarsi «dal tronco comune di una casa editrice, per così dire, “ecumenica” all’interno della sinistra» e trovare «a poco a poco la loro “identità specifica”». Gli interessi di Foà erano rivolti alla «letteratura attenta ai valori psicologico-esistenziali» promossa dall’amico Bobi Bazlen. Una “tendenza” per la quale il segretario generale aveva chiesto più spazio all’interno della casa editrice: «Einaudi glielo concesse in una misura per Foà insufficiente, e questo soprattutto per ragioni di equilibrio e di “linea”, e Foà se ne andò fondando Adelphi. Poco dopo venne la proposta Nietzsche».[28]

Adelphi specchio di Foà e Bazlen

Foà avrebbe ricordato come nel periodo iniziale della loro conoscenza Bazlen avesse esercitato su di lui «una pura e semplice azione pedagogica»,[29] ricorrendo spesso ad un aggettivo specifico per descrivere il rapporto consulenziale instauratosi negli anni tra l’intellettuale triestino e la casa editrice torinese, ovvero «morganatico»:[30] si riferiva alla natura stessa del rapporto Bazlen-Einaudi, che non fu mai diretto, ma sempre mantenuto per interposta persona, attraverso lo stesso Foà, prima, e attraverso Daniele Ponchiroli dopo il luglio 1961. Difatti Bazlen non avrebbe mai partecipato alle riunioni del mercoledì con gli altri consulenti della casa editrice, bensì le sue valutazioni critiche venivano esaminate in primo luogo da Foà, per poi passare a Calvino e, infine, al consiglio editoriale. Le lettere inviate al segretario generale esprimevano un giudizio che per la forma e per il contenuto risultava unico nel proprio genere.[31]
Al di là delle evidenti difficoltà riscontrate dagli editori nell’approcciarsi a una personalità come quella Bazlen, «non si può affermare» che presso l’Einaudi «le sue indicazioni vennero sistematicamente disattese», ma, anzi, risultarono determinanti per l’edizione di diversi libri.[32] Il caso più eclatante si verificò con L’uomo senza qualità di Robert Musil, per la cui pubblicazione il parere di Bazlen si era rivelato decisivo:[33] in una conversazione radiofonica del settembre 1993, invitato da Elisabetta Mondello a descrivere la propria esperienza nella casa editrice torinese, Luciano Foà avrebbe ripercorso con Giulio Einaudi il “caso Musil”:

Einaudi: Io ricordo, però, sempre una grande riconoscenza per Bazlen. È lui che ci ha portato Musil in casa editrice, o sbaglio?
Foà: No, lui ha fatto un parere, dopo che l’aveva già fatto Bobbio [ride] ti ricordi?
Einaudi: Sì.
Foà: Io quando arrivai all’Einaudi sapevo che Bobbio stava leggendo Musil, L’uomo senza qualità. Il parere di Bobbio, mi ricordo, era sostanzialmente favorevole, ma dicendo che era assolutamente impossibile pubblicarlo per la sua lunghezza, per la sua complessità. Allora io, arrivato da poco, sempre nel ’51, lo mandai a Bazlen, e lui poi scrisse quella lettera sulla base della quale anche lui facendo delle riserve riguardo la lunghezza ecc., però c’era talmente un elemento di entusiasmo che è bastato quello perché si decidesse di farlo.
Einaudi: Ecco, vedi, c’è la riconoscenza per un consulente di cui tutti noi ammiriamo la grande qualità intellettuale. Ti ringrazio Luciano di questa testimonianza.[34]

Ma, a conti fatti, per Foà il contributo che Bobi Bazlen era riuscito ad apportare risultava comunque troppo «limitato». Eccezion fatta per i «sei o sette» libri consigliati e pubblicati, molti altri non erano stati accolti: tra le occasioni mancate dell’Einaudi, Il demone meschino di Fëdor Sologub e i Misteri di Knut Hamsun. Foà riteneva che le proposte di Bazlen fossero troppo «in anticipo sui tempi» e «inattuali» per essere considerate intrinsecamente nel proprio valore culturale dagli editori del tempo.[35] D’altra parte, negli anni cinquanta l’intellettuale triestino era già stato responsabile per la Astrolabio di Mario Ubaldini delle traduzioni di Freud e Jung destinate a “Psiche e coscienza”, collana codiretta insieme a Ernst Bernhard, il primo psicanalista junghiano in Italia. Bazlen era affascinato dalla psicologia, dalla parapsicologia e dall’esoterismo, tematiche che già aveva tentato di far confluire nelle NEI di Adriano Olivetti e di cui la collezione “Cultura dell’anima” diretta da Giovanni Papini per Carabba all’inizio del secolo era stata principale iniziatrice.[36] Ma l’intervento di Bazlen non si era fermato alla diffusione della psicanalisi (introdotta in Italia, prima di lui, da Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud): ai tempi della collaborazione con Astrolabio aveva infatti partecipato alla traduzione dell’I Ching. Il Libro dei Mutamenti,[37] promuovendo di fatto la cultura orientale in un contesto, quello italiano, che nel dopoguerra si teneva ben distante da tutti quei saperi tacciati di irrazionalismo.[38]
Sappiamo come sul piano della gestione dell’impresa editoriale l’Adelphi fosse stata espressione della direzione di Luciano Foà, che già nel ’71, nell’ambito della trasmissione radiofonica Piccolo Pianeta, aveva avuto modo di delineare chiaramente gli ostacoli riscontrati dalle piccole case editrici in Italia;[39] intervista nella quale Foà aveva fornito una presentazione programmatica dell’Adelphi e un suo netto posizionamento rispetto alla correlazione, generalmente percepita, tra la figura del «piccolo editore» e una «maggiore selezione culturale» da un lato, tra la «grande casa editrice» e un «allargamento di produzione tale da risultare a discredito del livello culturale» dall’altro:

Penso che l’allargamento della produzione di una casa editrice non può che metter capo a un annacquamento e indebolimento del valore culturale in senso, però, di scoperta di valori nuovi, di nuove linee culturali, non già nel senso di una cultura di massa, di un “fornire degli strumenti di lavoro”, come si usa dire, ma più per il lavoro, diciamo così, un po’ pionieristico, di avanguardia: questo lavoro di punta che implica non inserirsi nelle mode, non dare la caccia ai bestsellers, ma un momento di riflessione che implica anche un riesame di un passato anche prossimo. Per fare questo lavoro bisogna essere estremamente selettivi, quindi non essere trasportati dall’esigenza di produrre, ma in un certo senso capovolgere il rapporto e produrre solo quello che si vuole produrre.

Luciano Foà tra le sue carte, anni ottanta.

Luciano Foà tra le sue carte, anni ottanta. Fonte: Archivio Giorgio Colli.

«Non essere trasportati dall’esigenza di produrre», non identificare i libri in «prodotti»: si potrebbe dire, non assecondare una visione capitalista della cultura e slegare il processo di selezione editoriale da un interesse esclusivo di carattere economico. Un’idea di impegno, quella di Foà, che sposava ancora perfettamente la categoria einaudiana di «editoria “sì”», pur nell’evidente distanza progettuale.[40]
Per l’editore di Adelphi la passione letteraria e politica era sorta alla lettura del saggio Ends and Means di Aldous Huxley (1937), che segnava la conversione dell’autore dallo scetticismo al pacifismo. Il fascino rivolto allo scrittore britannico era ancora ben presente alla fine degli anni settanta, quando in un’intervista rilasciata a Giulio Nascimbeni per Tuttilibri Foà accostava Guido Morselli agli autori «che si possono trovare nella letteratura inglese del Novecento, in quell’arco che va da Wells a Huxley».[41] Le riflessioni critiche di Foà su Un dramma borghese – opera di Morselli appena pubblicata dalla casa editrice e avente come tema centrale l’incesto – riecheggiavano chiaramente la concezione bazleniana dei “libri unici”, ovvero di quei romanzi, memorie o saggi che meritavano di essere letti e pubblicati poichè nati da un’esperienza diretta dell’autore.[42] Al criterio dell’unicità si univa quello strettamente interconnesso della “primavoltità”, un concetto coniato dallo stesso Bazlen e riassumibile come «il legame fra qualcosa che era successo e chi gli dava un nome»; un legame che, qualora si fosse presentato in modo «abrupto e irripetibile», avrebbe goduto di una «qualità ulteriore, una forza d’urto che poi si sarebbe dissipata».[43] Una parola per indicare le sensazioni che si percepiscono quando si fa qualcosa per la prima volta, quando si assume la consapevolezza che qualcosa sta per cambiare per sempre:[44] in definitiva, la primavoltità è il carattere insieme autobiografico, esperienzale e impellente dal quale emerge la scrittura letteraria.[45] Nonostante la scomparsa di Bazlen nel 1965, la sua eredità non sarebbe andata perduta: non stupisce, dunque, la scelta di pubblicare postume le opere di Guido Morselli, che nello scrivere Dissipatio aveva messo in scena la crisi esistenziale e il suicidio del protagonista, il suicidio che l’autore stesso avrebbe commesso pochi mesi dopo l’ultimazione del libro.

La lettera del 13 giugno 1961

L’eccessiva lontananza di Bazlen dal programma editoriale della Einaudi rendeva necessario progettare uno spazio diverso, tanto che nel ’61 Foà aveva già redatto un «programma molto generico» di libri che la casa editrice aveva rifiutato e che avrebbero potuto trovare una nuova collocazione: all’insoddisfazione per le proposte disattese dell’amico triestino si univano però delle motivazioni più personali, «una certa scontentezza» derivata dal silenzio di Einaudi rispetto ai consigli, alle aspirazioni e alle esigenze progettuali espresse dallo stesso Foà.[46] Nel maggio 1961 il segretario generale scriveva a Giulio Einaudi per «concludere il discorso cominciato qualche settimana fa a proposito di un possibile mio nuovo rapporto con la Casa» dopo il trasferimento da Torino a Milano previsto in autunno.[47] Il 7 giugno l’editore torinese prendeva atto «con estremo dispiacere» della decisione di Foà di lasciare la casa editrice, facendo riferimento in modo alquanto sbrigativo a tutta una serie di «idee» che quest’ultimo aveva elaborato nel corso degli anni e che, per svariati motivi, non erano state validate.[48] Come dichiarato dal futuro editore dell’Adelphi in un’intervista a Ernesto Ferrero, negli ultimi tempi presso l’Einaudi aveva sollecitato «una collana di classici a prezzo medio» e auspicato «una qualche grande opera per sostenere le vendite rateali».[49] Verso quest’ultima direzione avrebbe potuto spingere «l’enciclopedia McGraw-Hill della scienza e della tecnica» che Calvino aveva portato dall’America: «costava cento milioni di allora, ma ci mancavano le forze redazionali per realizzarla». E non senza amarezza Foà constatava che per quanto «su questi problemi» si scambiassero «lunghi memoriali scritti» che sembravano preludere a un accordo comune, di fatto «non capitava nulla». Non è quindi casuale che un anno e mezzo dopo la fondazione dell’Adelphi, ovvero alla fine del 1963, per «seguire una strada più riparata nell’inizio delle nostre attività» e per pubblicare importanti «opere che non c’erano oppure che erano pubblicate in edizioni non soddisfacenti», il punto di partenza sarebbe stato segnato proprio da quella collana di classici rifiutata da Einaudi.[50] Nella lettera sopracitata l’editore difendeva la propria scelta sostenendo che i classici proposti da Foà avessero già una propria collocazione presso la casa editrice, identificando unicamente nel settore biografico e memorialistico, seppur già inserito nelle diverse collane esistenti, una possibile collezione a sé stante;[51] teneva però a precisare come il carattere «commerciale» di quelle questioni esulasse «dagli interessi propri tuoi e miei personali», quasi a ribadire che il rifiuto fosse stato dettato, oltre che da una scelta di linea e interesse editoriali, anche di mercato. Tuttavia, Foà non avrebbe mancato di osservare a posteriori come non molto dopo la sua uscita dalla casa editrice la Einaudi stessa avesse fondato la “Nuova Universale Einaudi”: «una collana dedicata ai classici che corrispondeva molto bene a quella che era la mia impostazione da un punto di vista “industriale”».[52] A ideare la collana nel ’62 era stato Giulio Bollati, che alla fine degli anni sessanta aveva acquisito un ruolo di maggiore preminenza all’interno della casa editrice come collaboratore, subentrando, per ammissione di Einaudi stesso, a quella «centralità» che per molti anni era stata condivisa con Foà:[53]

Quando è morto Pavese, Bollati aveva ventidue anni. Si è fatto pian piano con me. Ma non è che dall’inizio, io vedo subito Pavese o Calvino o Bollati come “motori” o “perni”. In quegli anni c’era un altro personaggio che mandava avanti la casa editrice: Luciano Foà. Non possiamo dimenticare che per dieci anni, dal ’45 al ’55 [sic] è stato segretario generale. Con Luciano Foà mi sembrava di essere a cavallo, finalmente ho uno che ha pratica di lavoro, intelligente, colto, viene da Milano senza essere per l’efficientismo fine a sé stesso. Naturalmente veniva a scontrarsi con Bollati, che pian piano emergeva, diventando la voce del padrone, e Luciano Foà, mentre la malattia di una persona cara lo spingeva a tornare a Milano, sente che io ascolto ormai più l’altro che lui. A lui mi rivolgevo per dire: perché non pagate questo? Perché non pagate quell’altro? Ma di progetti, di idee, parlavo sempre di più con Bollati che con lui.[54]

La mancata realizzazione della collana di classici era stata sicuramente significativa per Foà, tanto da obbligare Einaudi, che voleva individuare soprattutto in questo le ragioni delle dimissioni, a ribadire le proprie motivazioni per il rifiuto; tuttavia, in queste dichiarazioni a Severino Cesari si manifesta un aspetto forse ancora più delicato, ovvero che a essere messa in discussione dall’editore non era stata soltanto la proposta della singola collana, ma più in generale il contributo in termini «di progetti» e «di idee» che Foà avrebbe potuto apportare alla casa editrice in qualità di «direttore editoriale».[55] Non stupisce quindi la reazione di Foà alle parole di Einaudi, che il 13 giugno 1961 scriveva all’editore una lunga e dettagliata lettera per «fare un po’ di storia» e dar conto della complessità di quella concatenazione di eventi che lo aveva motivato ad abbandonare la casa editrice, e che a suo giudizio era stata riassunta dall’editore in «modo un po’ spiccio». Per la sua netta «chiarezza» d’intenti, volta a dissipare quegli «equivoci» che «servono talora per la convivenza, ma sono sempre ingiustificati e senza attenuanti quando ci si lascia», questa lettera costituisce una delle fonti più importanti per conoscere le cause di un distacco «doloroso» ma ormai inevitabile.[56]
È evidente come Foà avesse deciso di esporre in modo trasparente un processo di disaffezione dalla casa editrice che non era stato subitaneo, ma lento e non privo di gravi mancanze, da una parte, e di tentativi di risoluzione, dall’altra. Quello che Foà non poteva assecondare era l’intento di Einaudi di deresponsabilizzarsi per l’accaduto mostrandosi condiscendente alle smanie del segretario generale. Al culminare degli anni cinquanta si erano presentati ben tre momenti di «crisi» a cui non era stata trovata una degna conclusione, e che Foà non si sarebbe risparmiato dal descrivere minuziosamente. Da un punto di vista prettamente «economico», dopo la crisi einaudiana degli anni ’56-’58, in cui Foà si era visto remunerato (inverosimilmente) più per la sua attività presso l’ALI che dalla casa editrice, l’editore sarebbe riuscito a venire incontro alle esigenze del segretario generale. Ma a solo un anno di distanza dalla «prima» crisi del ’59, nei primi mesi del ’60, se ne sarebbe presentata una «seconda» che, concesso (dopo diverse sollecitazioni) un ulteriore miglioramento sul piano economico, avrebbe investito in modo preponderante l’ambito del lavoro redazionale: come avrebbe confessato a Ernesto Ferrero, a fronte di una situazione finanziaria più stabile per la casa editrice Foà avvertiva ormai «un’esigenza d’ordine interno, la necessità di darci strutture più solide e chiare»,[57] che concretamente richiedeva «una più razionale organizzazione del lavoro». Il risvolto più personale della questione lo si vedeva nella richiesta esplicita del segretario di voler «esercitare funzioni di maggiore responsabilità» e di un «controllo effettivo sull’esecuzione del lavoro redazionale»: d’altra parte, a un aumento stipendiale avrebbe dovuto corrispondere un ruolo di maggiore spessore. A queste istanze Einaudi aveva risposto predisponendo delle riunioni tra i consulenti della casa editrice al ritorno di Calvino dall’America. Un’impostazione, quella delle riunioni, che il segretario aveva giudicato e giudicava ancora, senza mezzi termini, «errata», poiché bisognava sì prendere atto dei problemi ascoltando l’opinione di ciascuno singolarmente, ma «per essere conclusiva» la discussione avrebbe dovuto svolgersi tra pochi stretti, ovvero Einaudi, Bollati, Calvino e lo stesso Foà. Malgrado tutto, l’ostacolo più grande si era presentato nel momento in cui, convocato insieme a Giulio Bollati nell’ufficio di Einaudi per una ripartizione dei compiti, il segretario prendeva atto che il lavoro affidatogli dall’editore non rispondeva più al piano dell’ideazione e della progettazione, ma consisteva in un controllo del «lavoro redazionale» che altro non avrebbe fatto se non mettergli tra le mani «molto lavoro spicciolo». Si era verificato, in poche parole, quel tacito passaggio di testimone per il quale Foà non sarebbe stato più consultato in qualità di consigliere editoriale, ma come amministratore di un’attività puramente esecutiva «sempre più assorbente». Nella speranza (vana) di una maggiore partecipazione, Foà doveva constatare come le «decisioni importanti» venissero prese da Einaudi senza sentire il suo parere, come le riunioni atte alla discussione di problemi generali fossero ormai quasi del tutto scomparse, nonché appurare l’impossibilità di parlare con l’editore «persino delle questioni specifiche del mio lavoro».[58] Questo clima di insoddisfazioni nell’autunno del ’60 non era stato ancora risollevato, e Foà comprendeva che probabilmente non ci sarebbero stati più i presupposti per risollevarlo. Con la «terza crisi» del ’61 si chiudeva il cerchio: la «riorganizzazione del lavoro editoriale» era una condizione necessaria e non più rinviabile. Ed è a questo punto che segue un’asserzione tanto inaspettata quanto lapidaria:

Posso ora dirti che se, su questo punto, tu mi avessi dato soddisfazione (ciò che non voleva certo dire che tu dovessi accettare tutte le mie idee al riguardo) di crisi non ce ne sarebbero più state, malgrado la situazione mia familiare che tu conosci. La mia permanenza alla Casa editrice sarebbe stata definitiva o, almeno, definitiva nei limiti di tutte le cose di questo mondo.

Queste parole non lascerebbero adito a dubbi: il fattore determinante per la scelta di Foà di abbandonare la casa editrice fu dettato dalla totale mancanza di ascolto rispetto a quel «senso di un preciso dovere verso la Casa editrice e verso di te di far valere con la maggiore energia l’istanza di un miglioramento del lavoro comune», dall’assenza di un coinvolgimento diretto nel programma da parte di Giulio Einaudi. Se l’editore avesse tentato di trovare una mediazione, è molto probabile che Foà sarebbe rimasto a lavorare ancora a Torino per la casa editrice, ovviando ai problemi famigliari. C’è da chiedersi, certo, in quale misura Foà avrebbe potuto convivere ancora con le distanze culturali dell’amico Bazlen dalla linea editoriale della casa dello Struzzo, con le resistenze «agli sconfinamenti spiritualistici» dell’intellettuale triestino.[59] Si ritiene che il complesso di cause di vario genere cui si è fatta menzione inviterebbe forse, in ultima analisi, a ponderare con cautela questa ipotesi avanzata dal segretario di una sua «permanenza definitiva» a Torino se solo Giulio Einaudi si fosse prodigato per venire incontro alle sue esigenze: è preferibile ampliare lo spettro e sottrarsi dal dedurre da questa sola dichiarazione che le uniche e vere motivazioni di Foà fossero rappresentate da quelle esposte nella lettera privata a Einaudi. L’assenza della “questione Nietzsche” all’interno del documento farebbe supporre verosimilmente che Foà avesse preferito non alludere per iscritto a un argomento dai connotati ideologico-politici così spigolosi, prediligendo probabilmente un dialogo de visu: d’altro canto, come si è visto, sarebbe stato proprio l’ex segretario generale, nell’ambito della trasmissione Biografia di un catalogo, a specificare come l’edizione Colli-Montinari avesse costuito a tutti gli effetti «un’ulteriore spinta» a lasciare l’Einaudi.
È bene sottolineare come il rapporto amicale con Giulio Einaudi sarebbe rimasto positivo nonostante i trascorsi sul piano professionale. Pur non limitandosi nell’esplicitare delle riserve sul programma della casa editrice milanese, Einaudi si sarebbe riferito sempre con termini di apprezzamento al lavoro e alla figura del passato collaboratore: «I saggi Adelphi sono di una assoluta pulizia, c’è un amico, Luciano Foà, che stimo moltissimo».[60] A dimostrare ulteriormente come le basi del rapporto amicale Foà-Einaudi fossero tutt’altro che minate in modo irresolubile vi è una lettera inviata dall’ex segretario generale all’editore dello Struzzo il 16 aprile 1962 inerente alla stesura di «un preventivo delle spese redazionali» di un’anonima «rivista» internazionale (quasi certamente, Gulliver),[61] che attesta la disponibilità di Foà a dare il proprio contributo ai progetti einaudiani anche dopo il distacco.[62]
Ma ci si chiede ancora, nel turbinio delle affermazioni di personalità come Giulio Einaudi e Roberto Calasso, quale fosse il pensiero nascosto di Foà in merito all’idea generalmente diffusa di un antagonismo inscindibile tra l’Einaudi e l’Adelphi. Una possibile traccia la si potrebbe identificare nel contesto già citato della lunga intervista radiofonica che Elisabetta Mondello aveva registrato con Einaudi, attraverso quella che appare, oggi, una chiara presa di posizione espressa da Foà all’inizio del suo personale intervento:

Mondello: Con quale spirito, secondo lei, sono nate le tante case editrici che in qualche modo sono collegabili poi all’Einaudi per filiazione, diciamo per germinazione, oppure perché l’Einaudi ad alcuni personaggi è stata stretta?
Foà: Voglio distinguere, perché poi di queste case editrici che hanno avuto dei rapporti con Einaudi attraverso chi le ha fondate, c’è Paolo Boringhieri, che nel ’55-’56 si distaccò, lui prima era redattore e si occupava della parte scientifica della casa editrice Einaudi, poi acquistò tutte le collane scientifiche, compresa quella etnologica, e proseguì sulla strada di queste collane, ne fece poi delle altre, ma insomma cominciò col rilevare queste due collane.
Per quanto riguarda me, non si può dire che io possa essere una “filiazione” se si pensa al programma della casa editrice Einaudi e al programma dell’Adelphi. Certo, io ho imparato moltissimo nei dieci anni che sono stato da Einaudi, dal ’51 al ’61: ho imparato il mestiere. Io avevo fatto già qualche anno prima, anzi parecchi anni prima, un’altra esperienza, durata molto poco a causa della guerra, per quella casa editrice che Adriano Olivetti voleva fare preparandosi dopo la caduta del fascismo, quindi con un programma molto importante, in cui il consulente fondamentale era Roberto Bazlen, ma che durò solo due anni perché poi ci disperdemmo dopo l’8 settembre del ’43. Quindi, io fondando la casa editrice Adelphi volevo fare delle cose diverse da quelle che venivano fatte da Einaudi: quindi, non c’è una filiazione dal punto di vista del programma. Semplicemente ci sono io che sono un tramite, in quanto prima lavoravo in Einaudi.[63]

Se il contenuto della dichiarazione è già rilevante di per sè, ad amplificarne l’importanza è anche l’ambito nel quale l’intervento andava a inserirsi: la registrazione era stata realizzata nel 1993 in occasione del compimento dei sessant’anni della Einaudi. Luciano Foà, «collegato per telefono da Milano», dichiarava pubblicamente in presenza dell’amico-editore di voler fare una netta distinzione tra il processo di fondazione dell’Adelphi e quello della casa editrice di Paolo Boringhieri: se infatti quest’ultima risultava come emanazione diretta delle collane scientifiche della Einaudi, lo stesso non lo si poteva dire per l’Adelphi, che era nata per dare spazio alle idee inattuali di Bazlen in totale assenza di un fil rouge che la facesse discendere dal programma dell’editore torinese. Pur consapevole e grato dell’esperienza accumulata nel corso degli anni cinquanta come segretario generale, Foà considerava quel capitolo della propria vita professionale chiuso definitivamente nel 1961, rifiutando con fermezza la concezione di sé e della propria casa editrice come un semplice e puro prolungamento derivato dalla casa dello Struzzo, della quale, piuttosto, si riteneva un «tramite». Quella che Foà aveva messo in atto in Paesaggio con figure era una rivendicazione dell’originalità e della paternità del progetto editoriale a cui lui e Bazlen avevano dato luce: Adelphi.

Estratto-sintesi dalla tesi di Davide Siano Luciano Foà: le motivazioni del passaggio dall’Einaudi all’Adelphi, relatore Prof. Roberto Cicala, Università degli Studi di Pavia, anno accademico 2022-2023.

[1] Biografia di un catalogo. Profilo della casa editrice Einaudi, programma andato in onda su Rai Tre il 10 maggio 1986. Il servizio fu realizzato nella sede Rai di Torino dal regista Bruno Gambarotta e coordinato e curato, in collaborazione con Gambarotta, da Cesare Dapino.

[2] U. Buzzolan, Einaudi. Biografia della casa editrice che segnò un’epoca, in “La Stampa”, 10 maggio 1986. Da qui i riferimenti utili all’identificazione della trasmissione e le successive citazioni.

[3] Trascrizione dell’intervento inedito di Luciano Foà in Biografia di un catalogo (Catalogo Multimediale di Rai Teche, Biblioteca Nazionale Braidense, Milano).

[4] L’abbandono definitivo del progetto, comunicato a Colli da Einaudi nell’autunno 1961, sarebbe stato poi discusso nella riunione editoriale del 24 gennaio 1962. L’incontro aveva visto presenti: Antonicelli, Bobbio, Bollati, Caprioglio, Castelnuovo, Einaudi, Fonzi, Lanternari, Serini, Solmi e Venturi. Di seguito si riporta l’intervento verbalizzato di Solmi: «Questione del Nietzsche. Serini è per il sì. (Lunga discussione pro o contro). Non lo facciamo. Il Consiglio raccomanda alla Direzione di fare tutto il possibile per sganciarsi»: cfr. T. Munari, I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1953-1963, Einaudi, Torino 2013, p. 532. In una testimonianza raccolta in A. Sofri, Federico il pendolare, in “Panorama”, 22 febbraio 1987, Foà sembrerebbe alludere alla riunione del ’62: «Nel luglio del 1961 io lasciai la Einaudi; seppi poi che di lì a poco c’era stata una discussione in un “mercoledì” einaudiano, conclusa con la decisione di lasciar cadere anche la traduzione delle opere già in cantiere. Ne rilevammo noi i diritti. Un anno e mezzo dopo la comparsa del primo libro Adelphi, uscì, nel 1964, il primo volume delle opere di Nietzsche».

[5] Nell’intervista rilasciata a U. Costamagna in Tenacia, costanza e coerenza furono le sue peculiarità. A colloquio con Luciano Foà della casa editrice “Adelphi”, in “Il quotidiano di Lecce”, 9 febbraio 1980, alla domanda se la mancata pubblicazione fosse stata dovuta alla paura di Giulio Einaudi o dei suoi collaboratori «di spostare la casa editrice troppo a “destra”», Foà avrebbe risposto: «Ritengo di no. La risposta negativa data da Einaudi era forse giustificata dalla vastità del compito e dal gravoso impegno finanziario che richiedeva»: FAAM (a indicare d’ora in poi la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano), Giorgio Colli, b. 26, fasc. 022 (1980). Sempre sulla questione economica Foà si espresse anche in altri suoi interventi: in R. Barbolini, Fratelli di carta, in “Panorama”, 7 gennaio 1994, p. 94: «[Dopo la proposta di Colli di un’edizione critica di tutta l’opera di Nietzsche] Einaudi si spaventò, proprio per la portata economica dell’impresa»; in E. Ferrero, Il signore degli Adelphi, in “La Stampa”, 8 dicembre 1990: «A orientare negativamente Einaudi non ci fu solo il veto ideologico di Cantimori […], ma anche i forti costi dell’operazione»; in A. Sofri, Federico il pendolare: «La mole dell’impresa cresceva, e con essa il rilievo culturale, ma anche l’impegno finanziario e politico. Einaudi non se la sentì, e con Colli fu la rottura». Si segnala che alcuni degli articoli che verranno citati sono stati raccolti in Adelphi. Editoria dall’altra parte, Oblique studio, Roma 2016.

[6] Ci si riferisce qui all’articolo pubblicato da Cesare Vasoli in cui lo storico della filosofia si era opposto ai progetti editoriali promossi da Giorgio Colli dell’edizione critica di Nietzsche (Einaudi) e della collana “Enciclopedia di autori classici” (Boringhieri) in quanto considerati «una nuova fuga dalla realtà e dalla storia», degli ostacoli al tentativo della «parte più viva della cultura filosofica […] di inserirsi nel processo vitale dello sviluppo storico del paese»: cfr. C. Vasoli, A che servono i filosofi in Italia, in “Itinerari”, n.49, maggio 1961 (VIII), p. 97: cfr. G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione critica Colli-Montinari, ETS editrice, Pisa 1992, pp. 63-64. A sentirsi coinvolto direttamente nella critica di Vasoli vi era stato anche lo storico Delio Cantimori, che in una lettera di apologia avrebbe ribadito con forza la necessità di una conoscenza storica di Nietzsche, astenendosi però dal conferire al filosofo tedesco una piena legittimità letteraria: cfr. Lettera di Delio Cantimori a “Itinerari” del settembre-ottobre 1961, in D. Cantimori, Conversando di storia, Laterza, Bari 1967, pp. 88-97.

[7] Nell’approcciarsi alla raccolta degli scritti postumi di Nietzsche – il Nachlass –, fin dai primi giorni di consultazione a Weimar Montinari avrebbe riscontrato il problema delle lacune e delle interpolazioni filologiche che la sorella del filosofo, Elisabeth Förster-Nietzsche, aveva arbitrariamente compiuto nella Grossoktav-Ausgabe (Leipzing 1895 sgg.), l’edizione canonica in diciannove volumi delle opere complete nietzschiane da cui sarebbero dipese direttamente tutte le altre edizioni precedenti quella Colli-Montinari. Con la fondazione dell’archivio di Weimar e la promozione dell’opera del fratello, Elisabeth Nietzsche si era resa responsabile della manipolazione in senso ideologico-politico dei documenti del filosofo: in modo particolare, la ricostruzione soggettiva dei frammenti della Wille zur Macht (la Volontà di potenza) avrebbe contribuito per molto tempo ad alimentare la visione nazionalsocialista e antisemita del filosofo tedesco.

[8] Il germanista e consulente einaudiano Cesare Cases, in un ricordo di Montinari, avrebbe così riferito sul caso Nietzsche: «Il consiglio editoriale, composto in massima parte da marxisti e da liberalsocialisti, aveva forti riserve ideologiche, non tanto contro il nome di Nietzsche quanto contro l’idea di pubblicarne l’opera omnia da mettere accanto a quella di Gramsci, come se fossero classici che avevano militato sotto la stessa bandiera»: C. Cases, Il granduca di Weimar. Ricordo di Mazzino Montinari, Belfagor, Firenze, 31 maggio 1987, p. 336; cfr. G. Campioni, Leggere Nietzsche, p. 63.

[9] Citazioni di Foà rispettivamente in: Biografia di un catalogo. Profilo della casa editrice Einaudi, Rai Tre, 1986; R. Barbolini, Fratelli di carta, 1994; E. Ferrero, Il signore degli Adelphi, 1990.

[10] S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino 2018, 3ª ed., pp. 201-202. La prima edizione per i tipi di Theoria risale al 1991.

[11] G. Lukács, La distruzione della ragione, trad. di Eraldo Arnaud, Einaudi, Torino 1959. La proposta dell’opera del filosofo ungherese, in cui si evidenziava la forte correlazione tra la filosofia nietzschiana e l’ideologia dei fascismi europei, era stata avanzata nella riunione editoriale del 1° settembre 1954: cfr. T. Munari, I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1953-1963, p. 124.

[12] F. Nietzsche, Considerazioni sulla storia, a cura di L. Pintor, Einaudi, Torino 1943; F. Nietzsche, Ecce Homo, a cura di S. Romagnoli, Einaudi, Torino 1950. Negli anni ’40 era prevista inoltre una traduzione, poi non portata a termine, di Enzo Paci della Volontà di potenza: cfr. A. Banfi, Nietzsche, Colli, Foà: l’azzardo di un’edizione critica e di una nuova casa editrice, Leo S. Olschki editore, Firenze 2015, p. 278.

[13] Intervista a Claudio Rugafiori, «tra i fondatori dell’Adelphi», in P. Di Stefano, L’invisibile maestro dei libri, in “Corriere della Sera”, 9 luglio 2023.

[14] Tratto dal Colloquio con Giulio Bollati, in G. Einaudi, Tutti i nostri mercoledì, a cura di P. Di Stefano, Edizioni Casagrande, Bellinzona 2001, pp. 107-133. L’intervista a Bollati è apparsa nel fascicolo D del semestrale di letteratura “Idra”, il Melangolo, dicembre 1991. Per illustrare «il lato più grottesco della faccenda», Bollati ricordava: «Negli stessi mesi in cui ci trovammo a discutere delle opere complete di Nietzsche, arrivò sui nostri tavoli, da un altro consulente, la proposta di pubblicare tutto Nenni…Era stravagante discutere contemporaneamente di Nenni e di Nietzsche, che finimmo per rifiutare entrambi. La coincidenza mi sembra significativa, perché dà un’idea del clima italiano, del clima in cui lavoravamo…». In un’intervista rilasciata lo stesso anno, Bollati riportava alla memoria la riunione in cui era stata avanzata la proposta di Colli: «C’erano Bobbio, Mila, Calvino, Panzieri: uomini che sarebbero dovuti essere accaniti avversari di Nietzsche. Ma non ci fu nessuna battaglia, nessuno si accalorò […]. La verità è che restammo perplessi non tanto perché temessimo di compiere un sacrilegio nei confronti dell’ideologia marxista, quanto perché la cultura torinese era piuttosto restia a considerare Nietzsche un grande pensatore. L’avevamo letto in edizioni secondarie, da bancarella, per noi non era quel che si dice un autore di serie A. Figuriamoci: il vecchio Piemonte, con la sua solida cultura, magari un po’ provinciale, non si metteva certo a tremare come una foglia all’idea di pubblicare Nietzsche». Cfr. intervento di Bollati in M. Assalto, Nietzsche fa ancora paura, in “La Stampa”, 3 novembre 1991.

[15] Nel servizio di Rai Tre Biografia di un catalogo. Profilo della casa editrice Einaudi, rispetto all’edizione proposta da Colli, Norberto Bobbio avrebbe confessato: «Io stesso allora non ero molto favorevole. Nonostante l’importanza storica della filosofia di Nietzsche, [non pot-] avevamo dimenticato che Nietzsche era considerato l’ispiratore di Hitler, del nazismo, a torto o a ragione, diciamo a torto o a ragione: sotto certi aspetti, anche con qualche ragione. So che dicendo questo io suscito un vespaio, ma credo anche in parte a ragione. Non bisogna dimenticare che quando Mussolini fu liberato da Campo Imperatore dove era stato messo in prigione da Badoglio, dal nuovo regime instauratosi in Italia, Hitler lo accolse regalandogli le opere di Nietzsche: insomma, Nietzsche era un simbolo, bisogna riconoscere che era un simbolo. Probabilmente è stato un errore. Oggi possiamo dirlo: è stato un errore». E concludeva il suo intervento commentando l’edizione poi pubblicata da Adelphi: «È uscita questa magnifica edizione, una delle maggiori imprese dell’editoria italiana di questi ultimi anni, questa stupenda edizione di Adelphi, curata da Giorgio Colli».

[16] F. Nietzsche, Epistolario (1865-1900), a cura di B. Allason, Einaudi, Torino 1962. Le Lettere rientrano nell’elenco dei libri decisi durante la riunione del 15 febbraio 1961. La pubblicazione sarebbe avvenuta poco dopo l’uscita di Foà dalla casa editrice e la rottura con Colli: cfr. T. Munari, I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1953-1963, p. 479.

[17] G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Giulio Einaudi editore, Torino 2004, p. 146.

[18] Intervento inedito di Luciano Foà in Paesaggio con figure. Testimoni e interpreti del nostro tempo, intervista radiofonica di Elisabetta Mondello a Giulio Einaudi in occasione dei sessant’anni della casa editrice torinese, trasmessa su Rai Radio Tre il 26 settembre 1993 (Catalogo Multimediale di Rai Teche, Biblioteca Nazionale Braidense, Milano).

[19] Sulla scelta “ideologica” di abbandonare l’Einaudi e fondare l’Adelphi Foà si era espresso in diverse occasioni: «Fondai l’Adelphi, con i consigli di Bobi Bazlen, per rompere la monotonia dell’ideologismo editoriale di sinistra, per scegliere autori che uscissero fuori dai binari codificati di una visione del mondo esosa in senso deteriore. Qui pubblichiamo i libri che più ci piacciono, solo quelli, con rischi e soddisfazioni»: Foà in E. Siciliano, Gli editori leggono Adelphi, in “La Stampa”, 20 dicembre 1972; «Intendevamo reagire all’aria del tempo, che era tutta politicizzata e ideologica: naturalmente, altri ci vennero dietro, ci tolsero l’esclusiva. […] Nietzsche, un pensatore così asistematico, così mistificato, si confaceva a noi»: Foà in L. Mondo, Libro come avventura. Uomini rappresentativi dell’editoria, in “La Stampa”, 7 aprile 1976; «Il nostro programma si basava su autori, correnti di pensiero, temi che la cultura italiana di allora, estremamente politicizzata, lasciava deliberatamente al margine». Dall’intervento di Foà trascritto negli atti del convegno Gli anni ’60. Intellettuali e editoria (Milano 7 e 8 maggio 1984), a cura di F. Brioschi, con la prefazione di C. Segre, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 1987, pp. 135-138: cfr. A. Cadioli, G. Vigini, Storia dell’editoria in Italia dall’Unità a oggi, Editrice bibliografica, Milano 2018, p. 113; «Mi pare superfluo ricordare qual era non solo il clima culturale italiano negli anni ’50, ma anche le particolari caratteristiche della casa editrice Einaudi, che, pur non essendo strettamente legata ad un’ideologia, pure gli era molto vicino»: Foà in Lo specchio del cielo. Autoritratti segreti raccolti da Maurizio Ciampa prima di un altro lunedì, puntata n. 47 trasmessa su Rai Radio Due nel 1987. Fonte: <https://hubhopper.com/episode/lo-specchio-del-cielo-puntata-47-luciano-foa-e-gianfranco-menotti-1581105906>; «Vorrei tornare un momento sul progetto Nietzsche. Questo progetto rientrava molto bene in un programma generale della Casa Editrice Adelphi che intendeva far conoscere in Italia opere e scrittori che ne erano stati tenuti lontano per vari motivi politici, ideologici, o che pure ci erano pervenuti in modo deformato»: dalla trascrizione integrale dell’intervento di Foà in Modi di vivere: Giorgio Colli. Una conoscenza per cambiare la vita, documentario realizzato nel 1980 per Rai Due da Mauro Misul, regia di Marco Colli (<https://www.youtube.com/watch?v=giPb42wCy3E>). Fonte: FAAM, Giorgio Colli, b. 36, fasc. 001 (Modi di vivere).

[20] Intervista a Luciano Foà in E. Siciliano, Gli editori leggono Adelphi. Si riporta di seguito il punto «in cui l’amico Enzo Siciliano ha involontariamente frainteso quel che gli dissi»: «[All’Einaudi] il lavoro non si mescolò più per Foà con gli interessi culturali diretti. La “passione fisica” per i libri restò un fatto privato».

[21] L. Foà, Lettera al Direttore, in “La Stampa”, 29 dicembre 1972.

[22] Intervista a Luciano Foà in S. Giacomoni, Il piacere dell’intelligenza, in “Prima Comunicazione”, novembre 1975. I possibili fraintendimenti potevano sorgere alla lettura del seguente passo: «Oggi forse è più facile capire cosa intenda dire Foà quando parla del “malinconico ideologismo” dei consulenti della casa editrice Einaudi: il passare degli anni ci rende possibile vedere i pregi, e i limiti, di un atteggiamento culturale nato dal sommarsi della politica culturale del PCI, dell’arretratezza di un paese che usciva da vent’anni di fascismo, dell’emarginazione – durante la guerra fredda – della élite che aveva fatto la resistenza. Forse oggi riusciamo a capire meglio come alcune persone (e pensiamo a Bazlen) sapessero, già allora, porsi di fronte ai problemi della cultura e della politica con un’ottica più libera, forse più rischiosa, che non aveva come punti di riferimento obbligatori i “valori” della resistenza, l’antifascismo, gli schieramenti internazionali».

[23] L. Foà, Non è vero che le indicazioni di Bazlen non furono ascoltate, in “Prima Comunicazione”, dicembre 1975. La lettera di Foà iniziava così: «Cara Giacomoni, la ringrazio molto per il profilo “storico” che ha voluto dedicare all’Adelphi – la cui storia è così breve – sull’ultimo numero di Prima. La ringrazio soprattutto per la sostanziale esattezza delle notizie che vi sono contenute, fatto ormai molto raro e che merita di essere segnalato. Mi preme, tuttavia, chiarire due punti del suo articolo che nella loro formulazione un po’ drastica (dovuta certamente a esigenze di spazio), possono essere fraintese. Sono due punti che riguardano i miei rapporti, e quelli del mio carissimo amico Roberto Bazlen, con la casa editrice Einaudi, ma che hanno forse un interesse più generale»: cfr. A. Ferrando, Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994), Carocci editore, Roma 2023, p. 325: in questo volume recentemente pubblicato da Anna Ferrando si evidenziano le fasi cruciali che hanno portato alla fondazione della casa editrice milanese, individuando «le premesse di lungo periodo sin dal ventennio fascista» e i protagonisti di una realtà editoriale che fino a quel momento non era «mai stata fatta oggetto di uno studio storiografico ad hoc».

[24] La difficoltà avvertita da Luciano Foà di esprimersi apertamente sul proprio orientamento politico e culturale fu dettata indubbiamente dalla sua discrezione e dal suo riserbo: una ritrosia che rende difficile, oggi, dare conto dei pensieri effettivi che l’editore aveva elaborato nel corso della sua vita. Si può ricordare, a titolo esemplificativo, che Foà sottoscrisse un appello insieme a «un ampio e qualificato gruppo di esponenti del mondo della cultura milanese, molti dei quali impegnati nel settore dell’editoria, […] contro l’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, “riconoscendo nell’istituto del divorzio una conquista democratica intesa alla tutela di inalienabili diritti dei cittadini italiani”» (Più ampio il movimento per respingere l’attacco ad una conquista di civiltà, in “L’Unità”, 5 maggio 1974); aderì all’appello lanciato dalla realtà intellettuale milanese e romana «al mondo della cultura per un voto di rinnovamento, per il voto al PCI» (Nuove importanti prese di posizione di intellettuali per il voto al PCI, in “L’Unità”, 8 giugno 1975); insieme ad altri intellettuali, sottoscrisse l’appello per chiedere quali fossero «le proposte degli economisti per la sopravvivenza ecologica e alimentare dell’Italia», per sottolineare «l’urgenza» che aveva assunto «la questione dell’agricoltura in Italia» e affermare «la necessità di trovare un rapporto diverso, per una nuova condizione di vita, tra città, mondo agricolo e mondo industriale» (R. Stefanelli, Fra alimentazione e agricoltura molto spesso non tornano i conti, in “L’Unita”, 20 dicembre 1977).

[25] Foà in E. Siciliano, Gli editori leggono Adelphi

[26] In merito all’interruzione del rapporto con la Einaudi, Foà avrebbe anche affermato: «Su questa scelta sono state scritte spesso inesattezze. Nel ’61, sia per problemi di famiglia legati alla salute di mia moglie che per l’insoddisfazione di non poter sviluppare meglio le intuizioni editoriali di Bazlen, decisi di dimettermi e tornai a Milano»: cfr. R. Barbolini, Fratelli di carta, p. 94. Rispetto alla “questione Nietzsche” come motivazione dell’uscita dall’Einaudi, in un’intervista a Domenico Porzio Foà confessava: «Non è che per me questa sia stata una cosa decisiva, era una delle tante»: FAAM, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio [s.d.]: cfr. V. Riboli, Roberto Bazlen editore nascosto, Fondazione Adriano Olivetti, Roma 2013, p. 304. Nell’intervista rilasciata a E. Ferrero in Il signore degli Adelphi, la «leggenda editoriale» (così definita da Ferrero) che adduceva come ragioni della separazione dall’Einaudi i «contrasti sull’opportunità di pubblicare le opere di Nietzsche» sarebbe stata screditata da Foà. Ciononostante, è interessante notare come lo stesso Ferrero, in un successivo articolo in memoria dell’editore scomparso, avrebbe posto ancora il rifiuto di Nietzsche come «innesco per la nuova impresa dell’Adelphi»: cfr. E. Ferrero, Foà l’editore al futuro, in “La Stampa”, 26 gennaio 2005.

[27] Dal Colloquio con Giulio Bollati, in G. Einaudi, Tutti i nostri mercoledì, pp. 114-115.

[28] Ibidem. Si presume che «la proposta Nietzsche» – avanzata ufficialmente da Giorgio Colli nel 1958 e tuttavia ascritta da Bollati a un momento successivo rispetto all’uscita di Foà dalla Einaudi nel luglio 1961 – si riferisse alla discussione della riunione editoriale del 24 gennaio 1962 in cui si decise unanimamente di non pubblicare le opere complete del filosofo tedesco (così come ricordato dallo stesso Foà in Biografia di un catalogo).

[29] Foà intervistato da G. Ziani in Scrisse sempre. Ma non finì mai…, in “Il Piccolo”, 14 aprile 1993: cfr. V. Riboli, Roberto Bazlen editore nascosto, p. 54. Nell’intervento in Bobi Bazlen: uno special di Tuttilibri, regia di Aldo Grasso, trasmesso su Rai TV Rete Uno il 1° giugno 1983, Foà aveva ricordato come le lunghe passeggiate per le vie del centro durante il soggiorno milanese di Bazlen prima del suo trasferimento definitivo a Roma avessero rappresentato «un’opera pedagogica che lui esercitò su di me in quel periodo, facendomi riconoscere come più veramente mie molte idee e concezioni generali della vita che erano in realtà sue. Ad ogni incontro io scoprivo sempre di più il tesoro sconfinato delle sue letture, e anche il modo nuovo che lui aveva di parlare di libri». Alla fine degli anni trenta il primo autore indicatogli dall’amico triestino era stato Kafka. Tra i consigli di libri da leggere e da proporre agli editori italiani che Bazlen gli aveva segnalato nell’ambito del proprio lavoro per l’ALI – l’Agenzia Letteraria Internazionale, fondata dal padre di Luciano, Augusto Foà, nel 1898 – l’editore aveva ancora impressi in mente i nomi di Broch, Traven, Powys, Güiraldes, Ortega e Keyserling, alcuni poi confluiti nel repertorio adelphiano. Il documentario è stato gentilmente fornito dalla famiglia di Luciano Foà.

[30] Con riferimento agli interventi di Foà in: L. Foà, Non è vero che le indicazioni di Bazlen non furono ascoltate: «L’altro punto che volevo precisare riguarda i rapporti di Bazlen, nella veste di consulente – e direi “morganatico” – con la Einaudi, rapporti tenuti soprattutto da me e, dopo la mia uscita dalla casa, per breve tempo da Daniele Ponchiroli»; Bobi Bazlen: uno special di Tuttilibri: «Rapporto consulenziale […] un po’ morganatico, in quanto i rapporti passavano attraverso di me, e poi attraverso quella carissima persona che era Daniele Ponchiroli»; Lo specchio del cielo: «Voglio dire che questa consulenza di Bazlen presso la Einaudi fu una consulenza morganatica direi».

[31] «Lontane da ogni forma di anonima compilazione di giudizio redazionale-editoriale, queste lettere, nel loro peculiare stile epistolare, riflettono piuttosto quel suo completo disancoraggio dalle incasellature teoriche, dalle mode culturali». Si tratta di valutazioni che passavano da «una percezione istintiva dell’esatto valore di un testo, giudicato, dapprima, mediante il metro elusivo della propria sensibilità […] e misurato, poi, secondo un preciso parametro critico che inserisce il testo letto all’interno di un’ampia prospettiva culturale». Data «la tendenza a ricercare d’intravedere sempre l’uomo nello scrittore», a rintracciare in ogni singolo libro «una correlazione, intimamente avvertita come autentica, tra espressione letteraria e realtà umana corrispondente», risulta facile «comprendere il perché della sua contrarietà all’opera omnia in quanto tale. E, di contro, il suo favore verso quei testi» in cui intuiva, «dietro una valida espressione letteraria, un’autentica verità interiore»: M. La Ferla, Diritto al silenzio. Vita e scritti di Roberto Bazlen, Sellerio, Palermo 1994, pp. 63-64. Cfr. R. Bazlen, Lettere editoriali, a cura di R. Calasso e L. Foà, Adelphi, Milano 1968; ora in R. Bazlen, Scritti, Adelphi, Milano 1984.

[32] Si pensi a I sonnambuli di Broch, Ferdydurke di Gombrowicz, Olivia di Olivia, Le canzoni di Narayama di Fukazawa, Il Sosia di Mattioni, Lo spazio letterario di Blanchot, e ad autori come Henry Miller, Bruno Schulz, W.C. Williams, Ramón Sender. Cfr. L. Foà, Non è vero che le indicazioni di Bazlen non furono ascoltate; M. La Ferla, Diritto al silenzio. Vita e scritti di Roberto Bazlen, pp. 68-72.

[33] Foà avrebbe citato più volte la lettera inviatagli da Bazlen il 12 giugno 1951 dedicata a R. Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, 3 voll., Rowohlt, Berlin 1930-1943 (trad. it. L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino 1964): cfr. R. Bazlen, Scritti, pp. 273-279. «Non era certo un parere senza i pro e senza i contro, ma era talmente diverso dai pareri che venivano dati normalmente e così fondamentalmente convincente che fu decisa la pubblicazione di questo libro» (Foà in Lo specchio del cielo).

[34] Conversazione inedita tra Einaudi e Foà in Paesaggio con figure. Testimoni e interpreti del nostro tempo. Oltre a Bobbio, a nutrire dubbi sull’opportunità di una pubblicazione dell’opera (soprattutto per la sua mole) vi erano stati anche altri consulenti; è interessante notare come alla fine degli anni ottanta Einaudi avesse ricordato L’uomo senza qualità soltanto attraverso il giudizio negativo di Cantimori, che «con stizza annotava, nel ’52, che l’aveva già letto nel 1936, e che allora gli “sembrò pesante e noioso”»: cfr. G. Einaudi, Frammenti di memoria, Rizzoli, Milano 1988, p. 155.

[35] Rispettivamente, Foà in: R. Barbolini, Fratelli di carta, p. 94; Paesaggio con figure. Testimoni e interpreti del nostro tempo. A essere «inattuale» sarebbe stato anche il programma della casa editrice Adelphi (Cfr. Gli anni ’60. Intellettuali e editoria, p. 137).

[36] Non si può dimenticare come il sodalizio tra Bazlen e Foà avesse affondato le sue radici nelle Nuove Edizioni Ivrea, il progetto editoriale in cui entrambi erano stati coinvolti negli anni quaranta da Adriano Olivetti: un’iniziativa che allora non era riuscita a concretizzarsi, ma dal cui intento sarebbe partita l’Adelphi: «Bisognava superare il blocco culturale provocato dal provincialismo italiano e consolidato dal fascismo, rotto appena, negli anni trenta, dalla “scoperta” degli Americani»: Foà in L. Mondo, Libro come avventura. Uomini rappresentativi dell’editoria.

[37] Informazioni tratte dall’intervista di Vittorio Graziani ad Anna Foà, figlia di Luciano Foà, in Tre libri. A casa di Anna Foà, “Libreria Centofiori”, 20 giugno 2023 in: <https://www.youtube.com/watch?v=xKD1NLhl44A> (ultima consultazione: 1° marzo 2024).

[38] «Caro Bobi, se fossi vissuto anche solo fino al 1966 avresti visto […] una cultura spontanea cosmopolita, come sarebbe piaciuto a te, che non amavi i provincialismi e tutti quegli eccessi delle identità nazionali. E che l’Oriente, e soprattutto l’India sarebbe diventata una meta necessaria, l’I Ching un oracolo di massa, e dal Tao alla Baghavad Gita a Siddharta, Lo Zen e il tiro con l’arco e 101 storie Zen, libri di culto per una generazione»: A. Foà, Lettere a Bobi in Bazleniana, Acquario, Torino 2022, p. 219. Bazleniana raccoglie una serie di scritti di vari autori dedicati alla figura di Bazlen, nonchè i disegni tratti dal diario che l’intellettuale aveva redatto durante il percorso psicanalitico intrapreso con l’amico Bernhard. La casa editrice Acquario (uno dei nomi favoriti prima che si optasse per “Adelphi”) è stata fondata da Anna Foà e da Marco Sodano nel 2019, sotto il nume tutelare di Bazlen.

[39] La situazione dei piccoli editori, intervista radiofonica inedita a Luciano Foà per Piccolo Pianeta. Rassegna di vita culturale, trasmessa il 19 marzo 1971. Canale di trasmissione Rai non definito (Catalogo Multimediale di Rai Teche, Biblioteca Nazionale Braidense, Milano). Premesso un divario sempre più profondo e «grave» tra le grosse-medie case editrici e le piccole, l’editore individuava, sostanzialmente, due punti in cui i piccoli editori si trovavano svantaggiati nei confronti dei grossi, ovvero le possibilità in termini di «distribuzione» e di «pubblicità». Dal punto di vista della distribuzione, le grandi case editrici disponevano quasi sempre di organizzazioni proprie oppure si valevano di distribuzioni esterne sostenute da gruppi di promotori alle loro dirette dipendenze; per i piccoli editori, invece, non esistevano che le piccole organizzazioni, quasi sempre famigliari, presenti sul territorio italiano, che – aggiungeva Foà – «geograficamente è molto difficile da raggiungere, anche per un certo frazionamento dei centri maggiori, dei centri cittadini». Nell’evidenziare la rilevante differenza di possibilità di raggiungere il pubblico, l’editore si mostrava sorpreso della mancata costituzione, in Italia, di «un’organizzazione di distribuzione che faccia questo lavoro per un numero notevole di piccoli editori». L’elemento pubblicitario, a cui le grandi case editrici potevano adire con maggiore profusione in virtù delle proprie disponibilità finanziarie, si rivelava naturalmente precluso ai piccoli editori. Non agevolava, in tal senso, l’assenza di un organo stampa esclusivamente dedicato alle recensioni di libri e all’informazione su tutte le novità librarie, come alcune riviste esistenti all’estero: un veicolo che, rivolto a un «pubblico che desidera e vuole essere informato», avrebbe rappresentato sicuramente un luogo più adatto ed economico per la pubblicità dei piccoli editori.

[40] Cfr. S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 6. Su questa affinità di “funzione-editore” conviene anche A. Ferrando in Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994), p. 92. È interessante osservare come all’inizio degli anni ottanta Foà riscontrasse «uno stato di incertezza» nel mercato librario, che prendeva forma «in quel tipo di editoria che fa libri fungibili, dove un libro può sostituire l’altro per un pubblico indifferenziato, senza faccia, che vien fuori dalle indagini di mercato»; aggiungeva infine che «l’editoria “in grande” pubblica certi libri non perché piacciano a chi li sceglie, ma perché si crede che piaceranno al pubblico senza faccia»: dall’intervista di Foà in G. Dossena, L’editoria è in crisi, ma si fanno troppi piagnistei, in “Tuttolibri”-“La Stampa”, 18 luglio 1981.

[41] «Scittori di romanzi di contenuto […] in cui prevale un interesse per le idee, per il mondo futuro, per lo sviluppo del mondo nell’avvenire, che porta poi a romanzi come Il mondo nuovo di Huxley, di fanta-ideologia»: intervista inedita a Luciano Foà per il programma televisivo Tuttilibri condotto da Giulio Nascimbeni, puntatata trasmessa su Rai Uno il 29 maggio 1978 (Catalogo Multimediale di Rai Teche, Biblioteca Nazionale Braidense, Milano).

[42] Foà riteneva che la qualità maggiormente rilevabile mostrata dallo scrittore fosse, infatti, la sua «facoltà mimetica»: una mimesi che, nel caso in questione, si riduceva «allo sforzo d’immaginazione» adoperato da Morselli di «immedesimarsi» col protagonista, al punto da arrivare a una vera e propria «identificazione del protagonista con l’autore». Altra caratteristica annessa era l’«elemento dello scavo psicologico», ovvero l’«autoanalisi che il protagonista conduce su sé stesso e che è in fondo un’autoanalisi di Morselli», con «tutte le sue complicazioni, i suoi dubbi, le sue perplessità, i suoi interessi, che vanno anche ben al di là della letteratura». «Un vero autoritratto, che può costituire in un certo senso l’antefatto dell’ultimo libro di Morselli, che pure con altra risonanza e altri accenti è fortemente autobiografico, Dissipatio». Cfr. G. Morselli, Un dramma borghese, Adelphi, Milano 1978; id., Dissipatio, Adelphi, Milano 1977.

[43] R. Calasso, Bobi, Adelphi, Milano 2021, p. 78.

[44] B. Grasso, A reflection about my great-grandfather Augusto Foà and his son (my grandfather) Luciano Foà, in “Hook Literary Magazine”: <https://www.hookliterarymagazine.com/lessico-familiare> (ultima consultazione: 29 febbraio 2024).

[45] V. Riboli, Roberto Bazlen editore nascosto, p. 2.

[46] Dichiarazione di Foà nella già citata intervista di Domenico Porzio.

[47] FAAM, Fondo Luciano Foà, b. 6, fasc. 64 (Einaudi), lettera di Luciano Foà a Giulio Einaudi, 24 maggio 1961.

[48] «Capisco le tue ragioni, d’altra parte ogni prospettiva che cercassi di porti d’innanzi potrebbe in queste condizioni essere soltanto un palliativo, obbligandoci a ritrovarci in altrettanto drammatica situazione fra un anno o due. Per quanto riguarda il tuo lavoro a Milano, comprendo il tuo desiderio di un lavoro editoriale autonomo. Non so – lo dico francamente – come questo possa inserirsi nel quadro del programma editoriale della Casa editrice, avendo questa, come ben sai, una nota gelosia di mestiere. […] Comunque, ogni proposta tua concreta nel senso di un tuo lavoro esterno ci troverà tutti pronti a discuterla per trovare una formula di intesa di comune soddisfazione. […] Mi auguro solo che questo lungo periodo lasci in te un buon ricordo, se non altro di amicizia e di esperienza umana e di lavoro. Per me e per la Casa editrice è stata una collaborazione preziosa. Ti abbraccio»: FAAM, Fondo Luciano Foà, b. 6, fasc. 64 (Einaudi), lettera di Giulio Einaudi a Luciano Foà, Torino, 7 giugno 1961.

[49] Intervista a Foà in E. Ferrero, Il signore degli Adelphi.

[50] Foà in Lo specchio del cielo: «Devo dire che su questa questione dei classici io avevo già spezzato una lancia ai tempi in cui ero in Einaudi, ma la cosa non ebbe esito».

[51] Sulla passione di Foà per la memorialistica, che avrebbe poi trovato spazio nell’Adelphi: «Mi piacciono le autobiografie, gli epistolari, libri che in Italia non hanno pubblico» (in E. Siciliano, Gli editori leggono Adelphi).

[52] Foà in Lo specchio del cielo.

[53] Cfr. L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 842.

[54] Einaudi in S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 66.

[55] È rilevante notare come lo stesso Giulio Einaudi associasse espressamente il ruolo del segretario generale a quello di «direttore editoriale» in S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 126.

[56] FAAM, Fondo Luciano Foà, b. 6, fasc. 64 (Einaudi), lettera di Luciano Foà a Giulio Einaudi, 13 giugno 1961.

[57] Intervista a Foà in E. Ferrero, Il signore degli Adelphi.

[58] Nel delineare la storia della casa editrice Adelphi è interessante osservare come per Foà questa fosse stata concepita idealmente come un «luogo in cui i rapporti tra coloro che vi lavoravano tendessero il più possibile a essere orizzontali anziché verticali, dove l’aria che circolasse fosse decente. Doveva essere e rimanere una casa editrice di modeste proporzioni per evitare le scelte meno felici che un aumento dei titoli fatalmente comporta»: cfr. Gli anni ’60. Intellettuali e editoria, p. 137. Ci si chiede quanto queste dichiarazioni non fossero legate all’esperienza decennale in Einaudi. Si veda, a tal proposito, uno scambio Foà-Einaudi di appunti manoscritti in testa al verbale sommario delle riunioni, di poco precedenti le dimissioni, del 19 e 26 aprile 1961, e del 10 e 19 maggio 1961: Foà: «Prego approvare, o no, queste decisioni»; Einaudi: «Le decisioni sono sempre valide». Cfr. T. Munari, I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1953-1963, p. 486.

[59] Con queste parole Italo Calvino suggeriva prudenza a Giulio Einaudi in merito alle proposte editoriali di Bazlen: lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi, New York, 22 novembre 1959, in I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Arnoldo Mondadori, Milano 2000, p. 617: cfr. V. Riboli, Roberto Bazlen editore nascosto, p. 246. Va ricordato come Calvino avesse contribuito, sul finire degli anni cinquanta, al rifiuto della “Collezione dell’Io”, formulazione finale di una serie di proposte di Bazlen per una nuova collana einaudiana: il nome della collezione “bocciata” è attestato per la prima volta in una lettera di Foà a Bazlen del 1° aprile 1960. Fonte: Archivio storico Giulio Einaudi Editore presso Archivio di Stato, Torino (d’ora in poi, AE), incart. Bazlen. Sulla storia delle collezioni “grande”, “piccola” e “dell’io”: V. Riboli, Roberto Bazlen editore nascosto, pp. 222-273.

[60] Le nostre speranze, intervista di Paolo Di Stefano a Giulio Einaudi in G. Einaudi, Tutti i nostri mercoledì, p. 99 (uscita originariamente sul “Corriere della Sera” il 6 agosto 1994 e poi riscritta ad hoc seguendo la successione originaria delle domande).

[61] La «rivista internazionale immaginata alla fine degli anni cinquanta da tre gruppi di scrittori appartenenti a tre diverse nazioni», da considerarsi «l’unica rivista europea del secondo dopoguerra» in quanto «interamente progettata, scritta e redatta da una redazione francese, una italiana e una tedesca»: cfr. M. Belpoliti, E. Grazioli, Gulliver, in “doppiozero”, 21 maggio 2012 in: <https://www.doppiozero.com/gulliver> (ultima consultazione: 22 febbraio 2024). Sulla storia della rivista si segnala Gulliver. Progetto di una rivista internazionale, a cura di A. Panicali, Marcos y Marcos, Milano 2003.

[62] Lettera di Luciano Foà a Giulio Einaudi, Milano, 16 aprile 1962, copia dattiloscritta, AE, sezione dell’archivio dedicata alla corrispondenza in ordine alla collana “I gettoni”, cartella 12, fascicolo 760 (Luciano Foà). È interessante osservare come nella primavera del ’62, a pochi mesi dall’abbandono della casa editrice torinese, Giulio Einaudi prediligesse affidarsi ancora a Luciano Foà per le sue capacità di consulenza aziendale e di gestione contabile in merito a un’iniziativa dalla portata culturale come “Gulliver”. Un impianto, quello della rivista, che era ancora a uno stadio iniziale e al quale Foà si accostava fornendo a Vittorini – con cui, negli anni cinquanta, aveva collaborato alla collana dei “Gettoni” – il proprio aiuto, su esplicita richiesta dell’editore.

[63] Intervento inedito di Luciano Foà in Paesaggio con figure.


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Galleria di sguardi: la visita inizierà a breve.
Avvertenze per la lettura

 

Dopo la presentazione del 10 maggio al Salone Internazionale del libro di Torino, è in programma un nuovo appuntamento il 15 maggio alle 17.30  presso la libreria Vita&Pensiero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

“Galleria di sguardi” è il titolo, risultato del lavoro degli studenti del laboratorio di editoria dell’Università Cattolica di Milano; un libro che grazie a biografie d’autore, romanzi e saggi tenta di avvicinarsi ai lettori, anche i meno esperti di arte. Proponendo una vasta gamma di autori, e generi artistici si percorre una galleria, immaginaria, dove è possibile sbirciare tra Le lettere a Theo di Van Gogh, lasciarsi arricchire da saggi divulgativi guidati da personaggi del calibro di Umberto Eco e Philippe Daverio. Gli studenti hanno redatto delle schede editoriali per ciascuno dei quarantotto titoli: un breve cappello introduttivo, qualche informazione sull’autore e sulla storia del libro e sulla fortuna editoriale. Inoltre ciascun capitolo offrendo ai lettori un assaggio del volume attraverso una citazione d’autore con evidente riferimento artistico, avvicina senza vincolare ad un percorso preciso.

Il libro: Galleria di sguardi. Casi editoriali del mondo dell’arte (EDUCatt), pp. 132, illustrato, euro 10
Informazioni per l’acquisto

 

 


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Un libro-itinerario tra sedi e protagonisti delle case editrici

Per il volume di Roberto Cicala pubblicato dal Mulino anteprima in Università Cattolica a Milano prima di un tour di presentazioni per l’Italia: tra storia, personaggi, curiosità e architettura in Andare per i luoghi dell’editoria le vicende culturali delle città italiana dei libri

Vita e Pensiero - Università cattolica - i luoghi dell'editoria

Andare per i luoghi dell’editoria è un libro-itinerario di Roberto Cicala sulle sedi delle maggiori case dei libri, molte milanesi, in uscita per Il Mulino: anteprima mercoledì 8 maggio a Milano, alla libreria Vita e Pensiero, in largo Gemelli 1, alle ore 17,45, con lo storico del libro Edoardo Barbieri e il direttore editoriale Aurelio Mottola in dialogo con l’autore, editore e docente universitario. L’evento è promosso da Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica e Creleb. A seguire presentazioni in vari sedi italiane, dal salone del libro di Torino al Gabinetto Vieusseux di Firenze, dall’Antico Caffè San Marco di Trieste al parco Villa Filippina di Palermo.

QUI UNA PAGINA CON SCHEDA, SELEZIONE DELLE RECENSIONI E BIBLIOGRAFIA DEL LIBRO

Un capitolo del volume è dedicato alla Milano tra ’800 e ’900 quando scrittori ed editori scoprono fama e guadagno con i libri: tra Scala e Monte Napoleone gli editori di Leopardi e Manzoni, tra molte edizioni pirata) aprono all’Italia letteraria accolta in casa Treves, a cominciare da Verga, senza dimenticare i manuali Hoepli per una Milano industriale in crescita. Una sezione è poi dedicata a Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli, «il presidente, il commendatore e il rivoluzionario» con aneddoti sulla battaglia a tre sul fronte dei tascabili economici durante il boom economico. Un altro capitolo segue le strade di una Milano divenuta capitale della lettura: s’ inizia dal periodo tra le guerre con Bompiani, Garzanti e i libri per ripartire, quindi il mondo degli studi nella capitale delle university press, prima di tutte Vita e Pensiero, con piccoli e grandi sigle tra letteratura e mercato, tra Scheiwiller, Il Saggiatore, Adelphi e gruppo GeMS, con uno spazio ai piccoli lettori nella grande città e uno sguarda dagli anni ’60 al Duemila in una «BookCity» da Adelphi alla Nave di Teseo.

Le case editrici sono luoghi dove non sono previste visite guidate, che è possibile fare in queste pagine per scoprire dove nascono i libri che amiamo grazie all’incontro di persone, idee, storie ed emozioni. Dai sestieri lagunari di Manuzio alle gallerie del centro storico di Milano, dalla Mole di libri torinesi tra Gobetti, Einaudi e don Bosco alla Bologna di Zanichelli e del Mulino (che nel 2024 compie 70 anni) e fino alla Firenze dei caffè scelti dai poeti per le riunioni di redazione, e ancora dalla Roma di politica e santità alla Napoli delle bancarelle, alla Bari laterziana e alla Palermo della “Memoria” è un itinerario dietro le quinte delle fabbriche dei best seller tra uffici, ville, open space e librerie. Un volume che mancava con una mappa del come e perché si produca tanto sapere in tutta la penisola: è una bibliodiversità che rispecchia la variegata identità dell’Italia di oggi, di cui le case editrici sono uno specchio veritiero tra carta e digitale.

Roberto Cicala è docente all’Università Cattolica di Milano ed editore di Interlinea. Collaboratore di riviste e quotidiani, ha pubblicato per il Mulino I meccanismi dell’editoria. Ha curato inediti di Rodari, Rebora e Vassalli e saggi sulla storia di Einaudi, Mondadori, De Agostini, Vita e Pensiero e altri editori.

«Il fatto che si chiamino “case” la dice lunga sull’importanza dei luoghi in cui si cucinano le parole per renderle le più appetibili e gustose al palato degli ospiti, cioè i lettori, dentro il piatto dei libri. In gergo è detto davvero “cucina” il lavoro di redazione: è ciò che capita dietro le quinte dei libri per farli nascere. A partire dalle sedi più rappresentative questo viaggio in Italia tenta di tracciare una piccola storia dell’editoria italiana attraverso alcuni marchi consolidati la cui aura permea molti luoghi. È il racconto di un campione di sigle che hanno plasmato l’identità culturale della nostra nazione mediante i gusti e le scelte di editori protagonisti o di letterati editori, due categorie che non sono del tutto tramontate», scrive l’autore nell’introduzione.

Dopo l’anteprima milanese le prime presentazioni di Andare per i luoghi dell’editoria di Roberto Cicala saranno sabato 11 maggio alle 10,30 al Salone del libro di Torino con Irene Enriques, Giovanni Hoepli e Giuseppe Laterza e venerdì 17 maggio ore 17,30 a Firenze al Gabinetto Vieusseux di palazzo Strozzi con Franco Contorbia e Cristina Nesi.

Il libro: Roberto Cicala, Andare per i luoghi dell’editoria (Il Mulino), pp. 192, con fotografie, euro 14
https://www.mulino.it/isbn/9788815388735

 La scheda del libro in pdf: CICALA_Luoghi-editoria_RITROVARE L’ITALIA_Mulino


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Camilla Cederna e il caso Giovanni Leone: «Un libro giusto al momento giusto» https://editoria.letteratura.it/camilla-cederna-e-il-caso-giovanni-leone-un-libro-giusto-al-momento-giusto/ Fri, 23 Feb 2024 12:38:26 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8868 «Un libro giusto al momento giusto»: con queste parole Inge Feltrinelli ricorda Giovanni Leone. La carriera di un presidente di Camilla Cederna, un’opera che causò le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica. Una tesi ricostruisce la storia editoriale del best seller italiano.  Camilla Cederna nasce nel 1911 ed è figlia della colta e ricca borghesia milanese.[1] […]

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«Un libro giusto al momento giusto»: con queste parole Inge Feltrinelli ricorda Giovanni Leone. La carriera di un presidente di Camilla Cederna, un’opera che causò le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica. Una tesi ricostruisce la storia editoriale del best seller italiano. 

Camilla Cederna nasce nel 1911 ed è figlia della colta e ricca borghesia milanese.[1] La madre, Ersilia Gabba, è una delle prime laureate italiane in Germanistica e il padre Giulio Cederna è un ingegnere astronomo, professore presso il Politecnico di Milano ed ex calciatore e socio fondatore del Milan. Camilla Cederna da subito sviluppa la passione per l’arte, la musica e le buone letture. Inizia la carriera giornalistica scrivendo di moda, partecipando a eventi mondani e interessandosi delle vicende dei protagonisti della società. Diventa una delle penne più apprezzate dapprima come redattrice del settimanale “L’Europeo” poi come inviata per “L’Espresso”. Il 1969 è l’anno della grande svolta nella sua vita professionale, che cambia insieme ai mutamenti che colpiscono l’Italia. Inizia quindi il periodo storico caratterizzato dalla cosiddetta “strategia della tensione” Camilla Cederna pubblica non solo articoli ma anche libri e pamphlet politici per i quali sarà denunciata o subirà diversi processi, conseguenza questa del suo modo di operare, caratterizzato dall’indignazione e dalla creazione di controinformazione.[2]

Il Presidente Giovanni Leone nella vita di Camilla Cederna

Tra gli eventi fondamentali nella vita di Camilla Cederna, di notevole interesse è la decisione di scrivere un testo-inchiesta sul Presidente della Repubblica Giovanni Leone, che diventa best seller con 800 000 copie vendute e 24 riedizioni. La raccolta del materiale inizia nel luglio del 1977 e il libro esce nell’aprile del 1978 con il titolo Giovanni Leone. La carriera di un presidente edito da Feltrinelli. In anticipo sull’uscita del libro, il 12 marzo del 1978 “L’Espresso” esce intitolato Il circo Leone e la copertina di Tullio Pericoli raffigura una caricatura del presidente, vestito da pagliaccio con orecchioni al vento e il naso cadente. All’interno del settimanale è presente il primo capitolo della seconda parte del pamphlet con titolo I tre monelli. Lo stesso giorno i figli del presidente Mauro Leone e i fratelli Paolo e Giancarlo incaricano il loro legale di presentare querela alla giornalista Camilla Cederna per l’articolo, considerato gravemente diffamatorio. Con il procedere del tempo, nuovi dettagli vengono allo scoperto e il 15 giugno avvengono le definitive dimissioni del presidente.

Il 23 settembre 1978 a Roma inizia il processo. Camilla Cederna invitata dal presidente del Tribunale a parlare continua a sostenere le sue tesi riguardo al suo dovere di giornalista di informare l’opinione pubblica ma viene interrotta poiché si ritiene che la difesa sia solo una copia di quanto scritto nel libro. Il confronto tende a essere indirizzato verso i giovani Leone. Il risultato è solo la scoperta dell’identità dei querelanti che solo a questo punto viene svelata. Gli avvocati di Camilla Cederna considerato l’ambiente ostile, poiché le loro domande vengono definite inaccettabili o influenti si rifiutano di farne altre. Il giorno successivo molti giornali sono a favore della giornalista, compreso quello di Montanelli. Si apre, quindi, una trattativa per la quale i tre giovani ritirerebbero la querela con rinvio del processo e perfezionamento dell’accordo.[3]

Il secondo atto si svolge il 28 giugno 1979 a Varese, dov’era stato pubblicato il libro. Il presidente è il dottore Giovanni Pierantozzi, il pm è Giuseppe Cioffi. I querelanti sono gli avvocati Carlo Leone, Gabriele Benincasa e Ignazio Caruso. Giuseppe Cioffi nella requisitoria ritiene che il libro sia «scandalistico, diffamatorio, antidemocratico» dunque, la definisce «una giornalista che, abbandonate le proprie convinzioni liberali, è passata ai gruppi più dogmatici dell’ultrasinistra, trasformandosi […] in “snob progressista”».[4] Quindi, chiede due anni di reclusione, il sequestro, la distruzione del libro e la confisca del credito a titolo compenso per diritti d’autore spettanti a lei nei confronti della Feltrinelli. Vengono poi esposte le arringhe della difesa: Boneschi e Janni. Dopo pochi giorni, la sentenza concede le attenuanti generiche, non accoglie la richiesta di sequestro del libro e annulla la richiesta delle pene detentive.

Il terzo atto si svolge a Milano in Corte d’Appello il 16 maggio 1980. Il presidente è Isidoro Alberici, i giudici Livia Pomodoro e Francesco Favia. In accordo è caduta l’imputazione più grave, quella di vilipendio. Dopo la penultima udienza, vengono pronunciate le arringhe dei difensori di Cederna e viene fatta richiesta di quattordici mesi di carcere da parte del pm Elio Veltri. I giudici concedono un supplemento d’istruttoria per ascoltare un testimone della difesa: Massimo Caprara, prima persona che Cederna aveva intervistato sull’argomento e che le aveva fornito informazioni su Leone e sulle sue sconvenienze. Caprara il 27 maggio nega tutto, sostiene di non averla mai incontrata e non ricorda molti particolari ma è necessario ricordare che nel maggio del 1976, lui stesso aveva scritto in un articolo su “Tempo illustrato” riguardo all’elargizione delle grazie che per il giornalista si sviluppavano proprio nello studio di Giovanni e Carlo Leone. I giudici, dopo una pausa, smentiscono il teste documentando gli incontri con la presenza di altre persone, tra cui Cesare Milanese e consegnando il taccuino della giornalista alla Corte.[5] Camilla Cederna dichiara allora che proprio tale soggetto le aveva consigliato di contattare un democristiano napoletano, il cui nome non viene riferito e quindi il presidente Alberici fissa una nuova udienza per l’interrogatorio di quest’ultimo. Il 16 giugno il democristiano smentisce Caprara e conferma la versione di Cederna ma aggiunge che nel loro incontro aveva parlato solo della situazione politica riguardante il napoletano. La difesa mostra prove d’incontri e telefonate con l’onorevole; quindi, il testimone afferma che può essere stato confuso con un’altra persona. La Camera di Consiglio, dopo un’ora e mezza, emana la sentenza e conferma quella di primo grado, emessa dal tribunale di Varese un anno prima: per Cederna una pena pecuniaria di un milione di lire, per la casa editrice Feltrinelli la condanna oltre che una riparazione pecuniaria pari a 400 000 lire a titolo di concorso e l’assoluzione per lo stampatore, Ernesto Radaelli, che era stato ritenuto responsabile in primo grado, sempre a titolo di concorso.[6]

Giovanni Leone. La carriera di un presidente: le vicende editoriali

Copertina prima edizione

Copertina della prima edizione del testo di Camilla Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente pubblicato da Feltrinelli nel 1978.

Giovanni Leone. La carriera di un presidente è un libro pubblicato nel 1978 come pamphlet politico ed è la causa di una delle più grandi crisi di governo che hanno coinvolto la Repubblica italiana.
Successivamente alla pubblicazione di Pinelli. Una finestra sulla strage e Sparare a vista, in molti ritengono che questo nuovo libro sarebbe stato di minor impegno, ma attraverso le dichiarazioni dell’autrice è possibile capire quanto per lei fosse importante il senso di giustizia: «Giovanni Leone. La carriera di un presidente è un libro politico come lo sono gli altri: naturalmente l’argomento è diverso, ma è rimasto sempre in me lo stesso impegno che mi ha spinto a difendere la memoria di Pinelli e denunciare gli abusi della legge Reale».[7]

Il testo è nato «da un amore profondo per la democrazia, i suoi organi, i suoi istituti, i suoi valori e persino i suoi simboli. E da un rispetto, che a qualcuno parrà persino eccessivo, per quella massima espressione dello spirito democratico che è il Presidente della Repubblica, alto presidio del nostro sistema politico istituzionale».[8] Amore che con il tempo è andato deluso a causa del corrompimento della vita politica e del decadimento delle istituzioni. Cederna riteneva necessario «denunciare non la singola persona come responsabile di un guasto che ha cause più diffuse e profonde»[9] ma la storia del trentennio i cui sintomi ed effetti possono essere colti solo attraverso una severa indagine.

Nascita dell’opera

Era il 1974 quando Camilla Cederna inizia a pensare di scrivere un libro che riguardasse Giovanni Leone, dopo aver visto una fotografia che ritraeva il presidente in visita all’ospedale Cotugno di Napoli, durante il colera; l’immagine rappresentava Leone che, mentre accarezzava la testa del malato, atteggiava l’indice e il mignolo nel gesto scaramantico, poi ripetuto molte altre volte in pubblico. Cederna stessa ammette che a sviluppare la sua curiosità a riguardo, è stata proprio una frivolezza, seguita, in seguito, da eventi più impegnati.

La giornalista dal luglio 1977 raccoglie tutte le informazioni pubblicate sul presidente e dopo un confronto con alcuni “amici” di Leone, in Grecia, nel mese di settembre inizia a riordinare il materiale. Nel mentre, al Quirinale si diffonde la notizia che la giornalista stava componendo un testo sulla prima famiglia d’Italia. Tra l’ottobre e il gennaio scrive l’intero libro e lo consegna all’editore  Feltrinelli, con il quale viene concordata la pubblicazione. Nasce così il secondo libro nella storia della Repubblica italiana scritto su un presidente in carica.[10]

Ricostruendo la carriera giornalistica di Cederna è possibile constatare che gli incontri diretti con il presidente non sono stati molti; la prima volta è stata nell’ottobre del 1963 durante il mandato di presidente del Consiglio. La scrittrice viene accolta nella casa dalla moglie Vittoria Micchitto e in seguito intervista il marito.[11] Successivamente, Cederna vede Leone alla televisione, mentre partecipa ai funerali delle vittime della strage della Loggia a Brescia durante i quali, a causa dei fischi e delle proteste da parte dei cittadini, anche il collegamento televisivo venne interrotto.[12] Il terzo incontro è a Bologna, dopo l’Italicus. La giornalista, sempre molto attenta a ogni tipo di dettaglio, nota che gli insulti della popolazione aumentano il suo tic alla spalla destra e il suo malessere durante l’evento. Infine, Cederna incontra il presidente nel marzo del 1977, durante il funerale di 44 avieri caduti dall’Hercules C-130. Leone stringe le mani a ogni famigliare presente e sussurra parole di cordoglio. Ma la figlia del motorista dell’aereo caduto lo definisce «ipocrita» poiché avendo seguito le vicende riguardanti la Lockheed sapeva che il presidente fosse coinvolto; quindi, ritiene inaccettabili le parole da lui pronunciate.

Struttura dell’opera

Il pamphlet politico presenta una scrittura chiara e didascalica, in linea con lo stampo giornalistico. Diviso in  cinque parti, si compone di ventidue capitoli che ripercorrono la vita, la carriera e le vicende di Giovanni Leone. Di notevole rilievo è l’errore presente nella quarta di copertina che indica la presenza di quattro parti e sedici capitoli, come se non fossero prese in considerazioni le ultime sessanta pagine.

Nella prima parte il focus principale riguarda la contestualizzazione del protagonista; da come Cederna ha conosciuto Leone al cursus honorum che egli ha compiuto. Nella seconda parte, vengono delineate le relazioni che il presidente ha con i propri figli denominati «I tre monelli», il fratello e tutta la rete di politici e mafiosi che erano tra le sue conoscenze. L’ultimo capitolo è incentrato sui fratelli Antonio e Ovidio Lefèbvre d’Ovidio di Balsorano di Clunière, amici fidati ed esclusivi del presidente Leone. Nella terza sezione dal titolo Speculazioni e scandali vengono riportati alcuni dei casi in cui Leone si è rapportato con personaggi malavitosi, durante la sua attività di avvocato, prima di entrare in politica. È sempre stato difensore nei processi di mafia soprattutto in cause provinciali in cui onore e omertà sono preconcetti alquanto fondati. Nella quarta parte si analizza come Giovanni Leone sia diventato il sesto Presidente della Repubblica italiana. Cederna spiega dettagliatamente ogni particolare e definisce la modalità della sua scalata «paradossale» poiché viene nominato presidente durante gli ultimi scrutini.[13] Infine, nel capitolo dal titolo Gli ultimi scandali tratta sei macro-argomenti di cui i più importanti sono il primo con riferimenti alle trattative necessarie alla tipologia di aereo che l’Italia avrebbe dovuto scegliere per il rinnovo della linea antisommergibile. Il secondo riguarda lo scandalo Hercules, a cui precedentemente è stato accennato, e una serie di domande che Cederna sostiene sarebbero da porre allo stesso Antonio Lefèbvre.[14] Il quarto, invece,  dal titolo Dopo la grande, ecco la piccola corruzione indaga sul sistema corrotto attraverso cui Ovidio Lefèbvre controllava tutta una serie di persone ritenute utili come generali, colonnelli, funzionari in pensione ai quali venivano inviati regali, mance, viaggi gratis, piccole elargizioni. Cederna a supporto della sua tesi presenta documenti, assegni, lettere e fax che testimoniano tutti i giri d’affari che Lefèbvre amministrava. A lui dedica anche il finale aperto riguardo ai fatti successivi all’istruttoria e rimarcando l’importanza di seguire la vicenda con estremo interesse «per tutto quell’intrecciarsi sotterraneo di messaggi, consigli e indicazioni che ogni giorno vanno moltiplicandosi e che non sfuggono a quella parte dell’opinione pubblica più qualificata che ha già le sue idee ben consolidate sull’affare Lockheed».[15]

Analisi del paratesto

Il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente viene composto in brevissimo tempo e attraverso l’analisi del paratesto è possibile riscontrare alcune caratteristiche che evidenziano la velocità di tale processo di produzione. Il libro di Camilla Cederna si presenta al pubblico con un peritesto piuttosto chiaro; per la copertina è stata scelta un’immagine su scala di grigi che pone l’attenzione principalmente sul protagonista del testo, Giovanni Leone, il quale sembra posto in rilievo rispetto ai personaggi sullo sfondo. Il titolo, Giovanni Leone, molto lineare, è scritto con font bastoni e di colore giallo piuttosto intenso, il tutto in grassetto. Interessante è la vicenda che riguarda la scelta della collana in cui il testo viene pubblicato; il lavoro di Cederna doveva essere parte della collezione “Al vertice” caratterizzata da precise linee guida tra cui contenere biografie di uomini politici del Paese ed essere affidata agli esponenti maggiori del giornalismo italiano, di conseguenza è possibile affermare che il testo era stato ideato all’interno di un programma editoriale organico e non con l’intenzione di creare scandalo. Il libro però non è stato pubblicato in tale collana in quanto la collezione stessa  ha avuto poca fortuna e il suo proseguimento era piuttosto incerto. L’editore quindi, poiché gli accordi con l’autrice del libro erano già stati presi, ha preferito pubblicare il libro in una diversa collana dal titolo “Attualità” nella quale erano presenti testi come Razza padrona di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani del 1974 e L’anonima dc. Trent’anni di scandali da Fiumicino al Quirinale di Orazio Barrese e Massimo Caprara del 1977. Da questa scelta è possibile riconfermare la tesi di base per cui l’editore non ha concepito questo testo solo come operazione commerciale, ma con l’intenzione di mantenere fede ai propri impegni verso la giornalista, attendendosi guadagni scarsi o nulli.[16]

La legatura utilizzata è del tipo brossura sin dalla prima edizione e non cartonata, scelta, piuttosto insolita, in quanto solitamente di questa tipologia sono le legature dei libri delle edizioni economiche. Il formato è 12,5 × 20,5 cm ca e in questo modo rientra nelle dimensioni dei tascabili.[17]

Nelle ultime pagine del testo sono presenti alcune indicazioni bibliografiche, assenti invece indice dei nomi, note e appendici, probabilmente perché il testo è stato pubblicato mentre le indagini erano ancora in corso, coloro che erano interessati integravano la lettura del testo con articoli e dichiarazioni che venivano pubblicate su quotidiani e settimanali. La stesura di note e appendici avrebbe prolungato la cura del testo, causando la proroga della pubblicazione.

Per quanto concerne la descrizione dell’epitesto è necessario sottolineare la presenza di materiale piuttosto cospicuo riguardo alla sfera pubblica, poiché la diffusa ricezione da parte dei lettori ha portato il pamphlet a essere recensito su molti giornali, complice anche la successiva denuncia da parte della famiglia Leone, che ha causato la produzioni diversi articoli. “Tuttolibri” il 20 gennaio 1979 riporta un articolo dal titolo I trenta libri più venduti dell’anno e nelle prime righe è subito possibile leggere: “L’anno 1978, in libreria, è passato sotto il segno del Leone; e di Camilla Cederna. Il pamphlet ‘che ha fatto cadere un presidente’ è stato per diciassette settimana in testa alla classifica dei best seller, è la prima opera italiana di saggistica che abbia superato il mezzo milione di copie; e non trova nessun antagonista in grado di contendergli il posto”.[18]

Riguardo l’epitesto privato sia di questo libro che generalmente della produzione di Camilla Cederna sono presenti soprattutto “stralci” di corrispondenza tra la giornalista, la Casa Editrice Feltrinelli e coloro che l’hanno sostenuta durante il processo Leone, alcuni battuti a macchina altri scritti a mano. È possibile anche leggere alcune lettere, come quella che Cederna ha inviato al direttore di “L’Espresso” per dimettersi dal giornale o una dichiarazione della giornalista riguardo al suo cambiamento nella produzione giornalistica, ma anche appunti che lei stessa ha scritto riguardanti alcune correzioni da apportare alla sua autobiografia Il mondo di Camilla. Principale difficoltà che si riscontra nell’analisi di questo settore della patrimonio di Cederna è la quantità di materiale, spesso vasta e tutt’oggi ancora in continua catalogazione. Concludendo è quindi possibile dedurre dall’analisi di quanto presente che il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente sia stato scritto velocemente, con l’intenzione da parte della Casa Editrice di pubblicarlo prima dell’inizio del «semestre bianco» ritenendo che il Presidente della Repubblica nel pieno delle sue funzioni avesse il diritto e il dovere di rispondere alle accuse, in tal caso il testo sarebbe stato ristampato con le necessarie modifiche o immediatamente ritirato e sia autrice che editore avrebbero fatto pubblica ammenda.[19]

Ricezione

La stessa Casa Editrice dichiara, sin da subito, che il testo non era un progetto il cui obbietto primo fosse il guadagno tanto che le vendite previste ammontavano a un totale di circa 90 000 copie.[20] La prima classifica che si prende in analisi è quella di “Radiocorreire TV” composta dai dati di trenta librerie di diverse città italiane consultate direttamente, dieci per ciascuna settimana.[21] Considerando il posizionamento del libro a partire dall’aprile del 1978 è possibile notare che Camilla Cederna rimane al primo posto fino a settembre, seguita da importanti autori come Giorgio Galli con Storia della dc, Enzo Biagi con E tu lo sai?, Indro Montanelli con Controcorrente, Erich Fromm con Avere o essere e Gianni Granzotto con Carlo Magno.
Seconda classifica analizzata è quella del giornale “La Repubblica” i cui dati coprono un arco temporale definito tra i mesi di aprile e maggio, durante i quali il testo Giovanni Leone. La carriera di un presidente è sempre stato posizionato sul gradino più alto seguito soprattutto da Storia della Dc, Avere o essere, Controcorrente e Carlo Magno, in soli tre mesi le copie vendute del libro sono arrivate a essere 300 000 circa.
Per quanto riguarda la classifica composta dal settimanale “Panorama” è possibile confermare la tesi sostenuta in precedenza: Cederna rimane prima nelle classifiche della primavera e dell’estate dell’anno 1978 e in questo caso specifico anche nel periodo tra settembre e ottobre; in quest’ultimo mese solo nell’ultima settimana si posiziona quinta a parimerito con il libro di Biagi dal titolo Francia.

I dati del Notiziario Asca compongono l’ultima classifica descritta.[22] Nel mese di aprile Cederna è al terzo posto nella prima settimana, preceduta da Galli e Fromm; al primo posto nelle due settimane centrali e al secondo nell’ultima, superata da Galli. In maggio, giugno, luglio, agosto e settembre mantiene sempre il primo posto seguita prevalentemente da Biagi e Fromm. Con il mese di ottobre il testo è per due settimane al secondo posto, in novembre dopo otto mesi al vertice delle classifiche raggiunge come posizione più bassa il quinto posto.
Proseguendo l’analisi delle ricezione, attraverso recensioni presenti su vari giornali si può constatare che il testo scritto da Camilla Cederna, per quanto abbia oggettivamente una base politica, presenta comunque una forte componente di costume. L’autrice stessa in un’intervista sostiene che il suo intento è quello di scrivere un libro d’indignazione, dal quale poi è derivato un libro politico, accolto dal pubblico in modo eclatante tanto che in molti, dopo averlo letto, le scrissero di essere disposti a collaborare per ottenere un Italia migliore. La sua intenzione primaria è «raccontare quale Italia c’era dietro quella faccia di buon papà napoletano»[23] e il suo augurio consiste nell’idea che le dimissioni del presidente non presentassero Leone come una vittima dei giornalisti cattivi, poiché la stampa aveva fatto il suo dovere. Cederna dichiara «le dimissioni sono una lezione al cattivo gusto di madame sempre in esibizione, al cattivo costume dei monelli tanto traffichini, al cattivo settenario di un presidente che non ci meritiamo».[24]

Sul quotidiano palermitano “L’ora” il 26 maggio del 1978 viene dichiaro che è «un libro di costume all’americana, spregiudicato e pettegoliero, ha il suo ideale recensore non tanto in un pubblico esperto di politica, quanto negli esperti di informazione e negli stessi numerosissimi lettori che stanno comprando e facendo comprare». [25]

Roberto Cuini, caporedattore del “Corriere della Sera” rimane perplesso dal fatto che molti recensori sospendono il giudizio in attesa di sapere se il tribunale chiarisca alcuni episodi e condanni o meno l’autrice per diffamazione e aggiunge «siano veri tutti, siano veri soltanto alcuni, siano veri solo in parte – o, paradossalmente, non siano veri – i fatti raccontati nel libro portano si ad una condanna, la condanna politica di Leone. Perché nessuno avrebbe scritto Giovanni Leone, la carriera di un presidente se Leone avesse tenuto il decoro della sua carica al di sopra di ogni sospetto: non l’ha fatto, ed è questo condannevole». Vincenza Agrò di Marco, casalinga, ritiene che leggendo il libro, tutto sembra così vero che se lo fosse, afferma: «Ce ne vorrebbero tanti di questi libri: bisognerebbe che la gente conoscesse i retroscena della vita politica ». Mary Taormina, impiegata, d’altro canto sostiene che il testo dia fastidio alla coscienza degli italiani, ma soprattutto alla classe politica dirigente. Ultima testimonianza di Emanuele Giarrizzo, psicologo, inizia con il sostegno alle dimissioni del presidente, prescindendo dall’esito del processo. Riguardo al libro ritiene che sia grave che una denuncia politica sia scritta in modo da indurre alla risata e continua: «è un segno dei tempi: si tende a non prendere sul serio le cose serie e questo serve a non far cambiare ciò che dovrebbe cambiare. Bisogna poi guardarsi dal credere che il libro metta in discussione solo Leone: sotto accusa è l’intera classe politica dirigente: il suo modo mafioso di agire e di funzionare».[26] Passando ad un articolo de “Il Giorno” dell’agosto del 1978 Ferdinando Camon ritiene che la presenza di opere d’impegno come i libri di Moravia, Cederna, Harley, Amendola e Bocca tra i best seller indichino un nuovo atteggiamento nella lettura da parte degli adulti; dunque, il pericolo più grande è che, se opere di Cederna o di Moravia sono lette al posto di opere di evasione, esse non vengono effettivamente lette ma consumate. E conclude sostenendo che, se effettivamente il libro su Giovanni Leone, entro l’agosto ha venduto quasi 500 000 copie, considerando che su cinque italiani interrogati, almeno uno non avrebbe saputo rispondere alla domanda chi è il presidente della Repubblica, mezzo milione di lettori per un libro sul Quirinale è un dato interessante.[27]  Sostenere che l’opera di Camilla Cederna sia stata rivoluzionaria in quanto ha portato per la prima volta un libro ad essere causa delle dimissioni del presidente e contemporaneamente il testo più venduto del 1978, è sicuramente corretto ma è doveroso sottolineare che Giovanni Leone. La carriera di un presidente può essere letto attraverso una doppia chiave di lettura poiché è sia un testo politico che il prodotto d’analisi dei costumi di quegli anni, dunque, sottolinea la necessità delle dimissione del Capo di Stato in quanto figura privata della correttezza e serietà richiesta al primo cittadino del Paese. Inge Feltrinelli, infatti, così omaggia per l’ultima volta l’autrice: «Camilla Cederna è stata in Italia un vero fenomeno, perché da prima donna di successo nel giornalismo di consumo si è trasformata in una grande giornalista in difesa dei diritti civili. Un libro coraggioso pubblicato nel semestre della presidenza Leone che ha cambiato la vita della politica italiana. Un libro giusto al momento giusto».[28]

Sara Ravera

Estratto-sintesi dalla tesi di laurea Giovanni Leone. La carriera di un presidente: il caso editoriale di Camilla Cederna, relatore Roberto Cicala, Università Cattolica, Milano, anno accademico 2022-2023.

[1] Cfr. Camilla Cederna, Il mondo di Camilla, con interventi di Grazia Cherchi, Feltrinelli, Milano 1980; Ead., Camilla, la Cederna e le altre a cura di Irene Soave, Bompiani, Firenze-Milano 2021; Ead., Il mio Novecento, BUR Rizzoli, Milano 2011.
[2] Cfr. Ead., Camilla, la Cederna e le altre e Ead., Il mondo di Camilla.
[3] Camilla Cederna., Il mondo di Camilla, pp. 310-311.
[4] Ibi, p. 313.
[5] Un giornale romano definirà le parole di Caprara una «testimonianza contorta e sfumata» mentre la parte più conosciuta della stampa lo dichiarerà «teste boomerang per la difesa»: cfr. Ibi, pp. 321-324.
[6] Cfr. Pietro Nuvolone, Indice penale, Milano aprile 1982. Sezione: “In tema di diffamazione a mezzo stampa non periodica (il «caso Cederna»).
[7] Camilla Cederna ad Alberto Sinigaglia Torino, 26 agosto 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[8] Camilla Cederna., Giovanni Leone. La carriera di un presidente, Feltrinelli, Milano 1978, quarta di copertina.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. GIAN FRANCO VENÉ, Quasi tutto cominciò dalle corna, in “Amica”, 29 giugno 1978.
[11] Camilla Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente, pp. 11-15.
[12] Ibi, pp. 17-18.
[13] Ibi, p. 159-184.
[14] Ibi, pp. 206-216.
[15] Ibi, pp. 241-249.
[16] Gian Pietro Brega all’avvocato Valerio Mazzola¸ 19 giugno 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[17] Nella storia dell’editoria, il primo testo pubblicato solo con la legatura in brossura è stato La Storia di Elsa Morante nel 1974 dalla casa editrice Einaudi. Il testo, scritto in modo semplice doveva essere fruibile ad un pubblico il più largo possibile e l’edizione in brossura garantiva un prezzo di copertina molto basso. Quest’operazione di marketing editoriale ha contribuito nella nascita del primo best seller economico: cfr. Roberto Cicala, I meccanismi dell’editoria, Il Mulino, Bologna 2022, pp. 186-187.
[18] Luciano Genta e Alessandro Rosa, I trenta libri più venduti dell’anno, in “Tuttolibri”, 20 gennaio 1976. “Tuttolibri” nasce nel 1975, edito dalla “Stampa” come strumento che accompagna il lettore attraverso le trasformazioni delle politiche, delle edizioni e dei successi della produzione corrente: cfr. Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria, p. 230.
[19] Gian Piero Brega all’avvocato Valerio Mazzola, 19 giugno 1978 (Archivio storico Giangiacomo Feltrinelli Editore, Fascicolo Camilla Cederna, Corrispondenza).
[20] Dichiarazione presente nel ricorso ex art. 672 c.p.c., Tribunale di Milano presieduto da professor Pietro Peiardi, 2 giugno 1982.
[21] Radiocorriere TV è la rivista settimanale che per 70 anni è stata l’organo ufficiale della RAI, dal 1925 al 1995. Il Radiocorriere è stato poi ripubblicato dalla Rai nel 2011 sul sito dell’ufficio stampa, in: <http://www.radiocorriere.teche.rai.it/> (ultima consultazione: 13 luglio 2023).
[22] Il notiziario Asca analizza settimanalmente i libri più venduti secondo i dati raccolti nelle seguenti librerie: Bonaccorso (Catania), Cavour (Milano), Cocco (Cagliari), Minerva (Napoli), Rizzoli (Roma), Rusconi (Milano), Seeber (Firenze).
[23] Vittorio Emiliani, Attenzione! Non è vittima di giornalisti cattivi, in “Il Messaggero”, 17 giugno 1976.
[24] Ibidem.
[25] Che stangata, presidente, in “L’ora”, 26 maggio 1978, p. 14.
[26] Ibidem.
[27] Ferdinando Camon, Sotto l’ombrellone si legge difficile, in “Il giorno”, 20 agosto 1978.
[28] Inge Feltrinelli, Un fenomeno per l’Italia, in “La Repubblica”, 10 novembre 1997.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Un autore e una casa editrice: Michele Serra e Feltrinelli. Il caso editoriale degli Sdraiati https://editoria.letteratura.it/un-autore-e-una-casa-editrice/ https://editoria.letteratura.it/un-autore-e-una-casa-editrice/#respond Tue, 06 Jun 2023 11:08:55 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8830 Una tesi ricostruisce il rapporto di Michele Serra con la casa editrice Feltrinelli partendo dal romanzo Gli sdraiati. Nel 2013, anno che si inserisce in uno dei ciclici periodi di crisi dell’editoria, sono pubblicati numerosi libri sul tema della paternità come Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati o Il padre infedele di Antonio Scurati. […]

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Una tesi ricostruisce il rapporto di Michele Serra con la casa editrice Feltrinelli partendo dal romanzo Gli sdraiati.

Nel 2013, anno che si inserisce in uno dei ciclici periodi di crisi dell’editoria, sono pubblicati numerosi libri sul tema della paternità come Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati o Il padre infedele di Antonio Scurati. A novembre esce per Feltrinelli Gli sdraiati di Michele Serra che tratta proprio del rapporto tra un padre e un figlio e che riscuote immediatamente uno straordinario successo: scala le classifiche librarie, arriva a vendere cinquecentomila copie, viene tradotto in sette lingue in Europa, ne sono tratti uno spettacolo teatrale e un film.
Gli sdraiati quindi è un vero e proprio caso editoriale, ma affinché tale definizione non resti una semplice etichetta è bene analizzare il lavoro preliminare l’uscita fatto dall’autore e dalla casa editrice, la ricezione del pubblico e in generale tutto ciò che ha contribuito alla notevole fortuna del romanzo. Una condizione necessaria per affrontare lo studio del caso editoriale è la comprensione del contesto in cui agisce Michele Serra, in particolare è interessante approfondire lo stretto rapporto che lo lega alla casa editrice Feltrinelli.

Michele Serra autore feltrinelliano

Michele Serra è un autore versatile, si esprime attraverso le pagine dei giornali, ma anche dei romanzi, scrive testi per il teatro e per la televisione, mantenendo sempre una cura attenta per la parola, riuscendo a raggiungere un pubblico molto ampio poiché racconta di esperienze comuni in un linguaggio comprensibile, senza scadere nel banale. Persegue l’idea di una cultura capace di raggiungere chiunque senza perdere un alto livello di qualità; lo stesso principio guida la casa editrice Feltrinelli. Quest’ultima nel corso degli anni si è rivelata capace di affrontare i periodi di crisi rinnovandosi costantemente, ampliando il suo orizzonte fino a comprendere tanti ambiti della cultura con uno sguardo rivolto al futuro, mantenendo sempre il libro al centro, in «un’avventura editoriale che dal 1955 ha coinvolto migliaia di persone per migliaia di libri, per milioni di donne e di uomini».[1]
Nel contesto di grande mobilità e scambio tra editori e autori che caratterizza la storia dell’editoria negli anni ottanta-novanta, Michele Serra è in controtendenza poiché dal 1989, quando pubblica la raccolta di racconti Il nuovo che avanza, rimane fedele alla casa editrice Feltrinelli. Lo scrittore ritiene che «pochi autori siano più feltrinelliani di lui»[2] e tra le motivazioni di certo rientra la vicinanza politica e ideale con la casa, in particolare con Carlo Feltrinelli con cui Serra nel corso degli anni ha instaurato un legame di amicizia: da una parte l’autore è esponente del Pci dalla gioventù, scrive sull’“Unità” ed è poi sostenitore della sinistra italiana in genere e dall’altra la Feltrinelli, la casa editrice che affonda le sue radici nella Colip, la Cooperativa del libro popolare, nata per iniziativa del Partito comunista e che più di tutte ha sostenuto con le sue pubblicazioni gli ideali di diffusione del libro in ogni fascia sociale e che, grazie alle iniziative di Giangiacomo Feltrinelli, ha fatto dei suoi libri sulla politica e l’attualità un simbolo riconoscibile e riconosciuto.
La produzione di Serra, come quella di molti giornalisti-autori, è divisibile in due macrocategorie: raccolte di scritti di attualità, il più delle volte già pubblicati sulle pagine dei quotidiani come Tutti al mare (1990) e il più recente Il grande libro delle amache (2017), e opere di narrativa, tra le quali si ricordano Il ragazzo mucca (1997), il primo romanzo scritto, e Osso. Anche i cani sognano (2021), l’iniziale approccio dell’autore alla narrativa per bambini.
Nella scrittura di tutti questi libri Michele Serra è seguito da tre editor: Alberto Rollo, Laura Cerutti e Chiara Fiengo. Figure che l’autore, in un contributo per il libro-rivista del “Post” A proposito di libri, definisce sacre: l’editor è il primo lettore, permette allo scrittore di acquisire un nuovo punto di vista sul proprio operato; assume, in base ai momenti, il ruolo di «tifoso» o di «censore»:[3] può apprezzare il lavoro fatto e incoraggiare a proseguire nella direzione intrapresa oppure far notare che ciò che è stato scritto avrebbe bisogno di modifiche, a volte anche con una certa severità. Non secondario appare il fatto che è l’editore a pagare l’autore: scrivere è un lavoro come tutti gli altri e per riuscire a vivere di libri è necessario anche rispettare i contratti e sopportare l’«assoggettamento» alle direttive della casa editrice perché:

Gli scrittori, senza gli editori, non esisterebbero. Non esisterebbero letteratura, pittura, musica, arti varie, e persino un’arte minore come il giornalismo, se non esistesse una committenza. Gente che paga e gente che investe nel supposto talento di questo e di quello. Il talento, fino a che sta appeso nel nulla, è zero.[4]

In tanti hanno investito e creduto nelle capacità di Serra: «direttori di giornale, editors delle case editrici: senza di loro avrebbe lavorato meno della metà, e magari non avrebbe scritto cose che, con il senno di poi, è contento di avere scritto».[5] Tutte le raccolte di articoli, pubblicati inizialmente sui giornali, sono state sollecitate dagli editori, in particolare da Feltrinelli. I romanzi, i racconti, tutte le opere di narrativa invece sono nate di sua iniziativa. Proposti dall’autore sono anche tutti i titoli dei suoi scritti, alcuni, ad esempio Gli sdraiati, sono nati prima del libro, altri una volta terminato, come Le cose che bruciano. Per quanto riguarda la scelta delle copertine, pur esponendo la propria opinione, se ne occupano gli editor e i grafici perché «è il loro mestiere e [Serra] è molto rispettoso delle competenze»[6] altrui.
L’editor è quindi una figura fondamentale che partecipa alla costruzione del libro insieme all’autore e, scegliendo di pubblicare un testo, si fa carico di una grande responsabilità, che però, nota Serra, non è sempre rispettata: «ce ne sono che vorrei vedere impiccati ai lampioni, però lampioni spenti per quanto è buia la loro anima. Ce ne sono di magnifici e coraggiosi, scopritori di talenti altrimenti destinati al niente. La maggior parte sta nel mezzo, volenterosa, con meriti e demeriti».[7]

Analisi del caso editoriale

Michele Serra ritiene che le parole siano uno strumento prezioso per la società, che abbiano il potere di incidere sulla realtà e per questo è necessario averne cura, devono essere selezionate con precisione ed esattezza; difenderne il valore è un compito che interessa tutti, ma soprattutto chi fa un lavoro intellettuale.
«Ho sempre pensato che nella scrittura il massimo della soggettività corrispondesse al massimo dell’oggettività […]; l’“io”, in determinate situazioni, può fungere addirittura da indicatore di umiltà anziché di presunzione»:[8] l’attitudine di Serra nel raccontare il proprio punto di vista assume molta forza comunicativa, egli seleziona gli argomenti secondo la propria sensibilità ed esperienza di vita avendo al contempo dei precisi riferimenti culturali. La scrittura letteraria non deve essere influenzata dalla cronaca e può sedimentare a lungo affinché si presti attenzione ai minimi dettagli.
Così è successo per Gli sdraiati, libro che richiede sei-sette anni di gestazione. Il primo nucleo testuale è costituito dal titolo e dalla prima riga: «Ma dove cazzo sei? Ti ho chiamato quattro volte e non rispondi mai». Il libro rimane informe per diverso tempo poiché intanto lo scrittore si dedica ad altri progetti lavorativi, ma soprattutto perché in quegli anni è molto vivo il dibattito pedagogico sul tema della paternità e l’autore si sente in difetto nell’affrontare l’argomento. La svolta avviene quando si rende conto, dovendo scrivere un’opera di narrativa, di non dover dare delle risposte, ma soltanto raccontare una storia singolare di un padre e un figlio. Così nel giro di due anni Serra riesce a stendere un centinaio di pagine seguendo le norme di sinteticità apprese da Kurt Vonnegut, da sempre un modello per l’autore. Attorno al 2012 l’intervento dell’editor Alberto Rollo è determinante:

Le cento pagine accumulate mi sembravano materiale utile, ma spurio, sbriciolato, senza struttura narrativa, ampiamente insufficiente per farne un libro. Il mio editore (nella persona di Alberto Rollo, allora responsabile della narrativa italiana Feltrinelli) mi disse che quello era già un libro. Già così. […] Io non sapevo di avere scritto un libro, l’editore sì.[9]

La prima edizione del libro entra in commercio mercoledì 6 novembre 2013 nella collana “I Narratori” di Feltrinelli.
La copertina è curata dall’art director Cristiano Guerri e la prima è disegnata da Gipi, pseudonimo di Gianni Pacinotti, uno dei più importanti fumettisti italiani. Su uno sfondo bianco è tratteggiato con una penna nera un ragazzo di spalle, pantaloni con cavallo basso, felpa con il cappuccio, le mani in tasca. Soltanto le orecchie sono colorate di rosso così come l’ombra che si allunga ai suoi piedi e alza la mano per salutarlo, immagine del padre che vede crescere il proprio figlio.
Il libro non rientra in un genere preciso, viene descritto variamente come un romanzo, un saggio o un monologo. È suddiviso in quattordici capitoli che non hanno titoli, intervallati da dieci interventi non numerati del genitore, che cerca di convincere il ragazzo ad accompagnarlo al Colle della Nasca, gita raccontata nelle ultime pagine. Non ha però una struttura rigorosa:

Ho scritto per frammenti, per sbocchi d’ira, per attacchi di panico, per slanci amorosi, per accessi di ilarità, perché volevo che la mia scrittura fosse incoerente e in balia degli eventi, esattamente come il padre che racconta in prima persona: incoerente e in balia degli eventi.[10]

Il genitore è un uomo della generazione che ha vissuto il Sessantotto, che nella sua giovinezza si è ribellato a ogni tipo di regola e oggi è un «relativista etico», incapace di imporre la propria autorità e di trasmettere al figlio dei valori. Non riesce a comunicare con il ragazzo, che sembra essere protagonista di una mutazione epocale dovuta forse alla tecnologia che impone una distanza tra le persone. Il figlio vive in una posizione orizzontale, è «sdraiato». Sempre connesso, ma mai realmente presente, è indifferente alle richieste del padre e a ciò che lo circonda. Serra si interroga sul difficile rapporto tra generazioni e si chiede se esso si ripeta sempre uguale nel tempo o se oggi la frattura tra padri e figli sia più radicale. Nel libro è presente anche una sfumatura che si può definire fantasy: la voce narrante si immagina di scrivere un romanzo intitolato La Grande Guerra Finale, racconto di uno scontro epico fra Giovani e Vecchi, guidati da Brenno Alzheimer, che in segreto patteggia per i primi e in cui il padre si identifica perché alla fine sono i ragazzi a dover trionfare.
Serra ritiene che «la trasfigurazione letteraria, quando funziona, serva proprio a questo: rendere universale, di tutti, ciò che nasce individuale».[11] Infatti trae ispirazione dalla propria esperienza di genitore: ha due figli che al momento dell’uscita del libro (novembre 2013) hanno 23 e 21 anni, vive insieme ad altri due ragazzi della stessa età, figli della moglie Giovanna Zucconi. L’autore si rivolge a un pubblico ampio, con una scrittura veloce, immediata, che provoca il riso amaro e forse vuole infastidire con le sue riflessioni sia i genitori sia i figli.
Per la promozione di un libro e quindi per raggiungere quanti più lettori possibili si rivela uno strumento utile il rapporto diretto che i lettori possono avere con gli autori, dunque le case editrici organizzano dei book tour affinché lo scrittore possa parlare della propria opera a un pubblico che ha la possibilità di conquistarne la firma e porre domande. Michele Serra a partire dalla pubblicazione degli Sdraiati fino a gran parte del 2014 fa tappa in molte città italiane per presentare il proprio romanzo: Torino, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Bari, Napoli e tante altre. Spesso è ospitato nelle librerie Feltrinelli, ma anche in teatri e biblioteche comunali dove dialoga con amici scrittori o attori come Luciana Litizzetto, Francesco Piccolo e Antonio Albanese che lo interpellano sul testo o ne leggono degli estratti.
Anche i premi letterari svolgono un ruolo significativo per incentivare l’acquisto di un libro. A inizio gennaio 2014, “affaritaliani.it” riferisce che Feltrinelli stia valutando di candidare Gli sdraiati al premio Strega per competere con Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. Tuttavia la casa editrice decide di proporre al posto del romanzo di Serra, che è già un successo editoriale, Non dirmi che hai paura, libro del giovane autore Giuseppe Catozzella. Il premio alla fine è vinto da Piccolo. Nel novembre dello stesso anno viene conferito a Serra per Gli sdraiati e il suo lavoro di giornalista il premio 12 apostoli Montblanc, un’onorificenza attribuita dalla città di Verona ai letterati che si sono distinti nella loro professione.
Per rilevare il successo di un libro è utile considerarne l’andamento nelle classifiche librarie pubblicate ogni fine settimana negli inserti culturali dei principali quotidiani: “La Lettura” del “Corriere della Sera”, “Robinson” di “Repubblica” e “Tuttolibri” della “Stampa”. Gli sdraiati esce nelle librerie mercoledì 6 novembre 2013 e compare per la prima volta nelle classifiche del weekend del 16 e 17 novembre. Si è preso come punto di riferimento per valutare l’andamento del romanzo l’inserto “Tuttolibri” della “Stampa”, i cui dati sono elaborati da Nielsen BookScan, perché è l’unico che specifica la stima di copie vendute che corrispondono all’indice di vendita cento. Il libro entra direttamente nella Top10 posizionandosi quarto e vi rimane per venti settimane consecutive. Nella classifica del 23 novembre raggiunge il primo posto, mantenuto per quattro settimane e conquistato anche in quella dell’11 gennaio e del 1° febbraio 2014. Considerando invece soltanto la narrativa italiana, Gli sdraiati è presente nelle prime dieci posizioni per ventisette settimane, ossia fino a metà maggio 2014. Inoltre nel numero del 5 gennaio 2014 di “Tuttolibri”, che elenca i più venduti dell’anno appena concluso, Gli sdraiati è all’ottavo posto.
È possibile ricavare una stima delle copie vendute del romanzo di Serra, basandosi sull’indice di vendita attribuito a esso nelle classifiche redatte da Nielsen BookScan. Il periodo selezionato inizia con il 16 novembre 2013 fino al 17 maggio 2014, l’ultima settimana consecutiva in cui appare tra le prime dieci posizioni della narrativa italiana. Approssimativamente il libro vende circa centocinquantamila copie in ventisette settimane. Il direttore editoriale di Feltrinelli Gianluca Foglia, intervistato a fine novembre 2013, fornisce alcuni numeri: «la prima tiratura, di circa quarantamila copie, è andata a ruba. Il mercato ci ha richiesto duecentoquarantamila copie e le abbiamo stampate. Il libro di Serra è destinato a durare».[12]

In un articolo del gennaio 2014 di Raffaella De Santis, pubblicato su “Repubblica”, si afferma che il romanzo in due mesi ha venduto duecentocinquantamila copie mentre a distanza di qualche anno dalla pubblicazione è citato come un best seller da cinquecentomila copie. I dati esposti sono esemplari del successo significativo avuto dagli Sdraiati fin dalla pubblicazione: nel solo novembre 2013 giunge alla quarta ristampa e nel giro di due mesi all’ottava.
Nel 2014 Feltrinelli concede la licenza di stampare Gli sdraiati a Mondolibri che realizza un’edizione venduta per corrispondenza agli associati. Poi nel gennaio 2015 il romanzo è inserito nella collana dei tascabili “Universale Economica”, versione che a febbraio 2022 giunge alla decima ristampa. Nel 2014 è anche registrata la versione audiolibro: prima dal Centro Internazionale del Libro Parlato, che offre gratuitamente numerosi libri letti ad alta voce agli iscritti al servizio con specifiche difficoltà fisiche e/o di apprendimento. Poi Feltrinelli, nella collana dedicata agli audiolibri realizzata in collaborazione con Emons, casa editrice specializzata nel settore, pubblica il romanzo letto da Claudio Bisio con la regia di Flavia Gentili.
Al successo di pubblico corrisponde anche una buona ricezione critica: a partire dall’uscita degli Sdraiati fino a metà maggio 2014 sono pubblicate un’ottantina di recensioni in numerosi quotidiani e riviste italiani.[13] Lo stile e la capacità di Michele Serra sono universalmente riconosciuti e apprezzati, ciò che divide i giornalisti è il contenuto del romanzo, come l’autore abbia deciso di raccontare le nuove generazioni in rapporto con gli adulti. C’è chi, come Massimo Recalcati, definisce Gli sdraiati imperdibile, «un libro tenerissimo dove la consueta ironia e la forza satirica che tutti amiamo in Michele Serra si alterna a momenti struggenti, ad una nostalgia lirica di rara intensità e alla bellezza pura della scrittura».[14] Invece Antonio Polito sull’inserto “La Lettura” del “Corriere della Sera” polemizza contro Gli sdraiati. Il libro si dimostra un concentrato di luoghi comuni tipici di un borghese progressista. Ciò che stupisce è il fatto che il padre si limiti a disperarsi del figlio «iperconnesso» senza davvero interessarsi alle sue passioni. Polito giunge alla conclusione opposta rispetto a Serra: la loro generazione dovrebbe abbandonare il «relativismo etico» e sforzarsi di trasmettere dei precisi valori alle future generazioni.
Dato il significativo successo della prima edizione, Feltrinelli vende ad alcune case editrici straniere i diritti degli Sdraiati che viene tradotto in Europa in sette lingue: tedesco, spagnolo, catalano, olandese, francese, greco e polacco. È trasposto anche in inglese, ma nessun editore sceglie di pubblicarlo. Si ipotizza anche una versione in serbo che non viene realizzata. È interessante notare, analizzando le edizioni straniere, come le case editrici abbiano adattato al proprio pubblico di riferimento il titolo del romanzo e la copertina: ad esempio le traduzioni tedesca e francese sono aderenti alla versione originale mentre quella olandese riprende una delle battute finali del protagonista (Wacht op mij!: «Aspettami!»), invece quella greca (Οι αραχτοί: «Gli orsi») fa probabilmente riferimento al fatto che il figlio è scontroso con il padre. La copertina polacca è identica a quella italiana; il ragazzo disegnato da Gipi è mantenuto anche nelle edizioni spagnola e catalana. La prima però è più sobria perché, su sfondo bianco e incorniciata di blu, ricorda un’edizione di un classico; la seconda è più d’impatto e fa pensare a un libro per ragazzi dato che è di un giallo molto acceso.
Gli sdraiati offre a Claudio Bisio l’ispirazione per uno spettacolo teatrale. Già in un’intervista del novembre 2013 l’attore condivide di star lavorando insieme a Michele Serra al testo della rappresentazione, a cui sono aggiunti alcuni brani tratti da Breviario comico. A perpetua memoria (2008), una raccolta di aneddoti comici della storia contemporanea per una spietata e cinica critica alla società, scritti da Serra per la rubrica Satira preventiva sull’“Espresso”. Lo spettacolo debutta in occasione del Ravenna Festival il 25 giugno 2014 al Teatro Alighieri con il titolo di Father and son in riferimento all’omonima canzone di Cat Stevens, che fa da colonna sonora all’intera rappresentazione e racconta lo stato d’animo di un adolescente incompreso dal padre e desideroso di cominciare una nuova vita. È prodotto dal Teatro dell’Archivolto di Genova, dove è in prima nazionale dal 12 al 14 gennaio 2015. Father and son riscuote un grande successo sin dal debutto, la prima tournée tocca quindici città italiane e ottiene il tutto esaurito in ogni data tanto che viene riproposta nella stagione successiva con altrettante repliche che terminano a gennaio 2016. Dopo l’uscita del film tratto dagli Sdraiati a novembre 2017, in cui Bisio interpreta il protagonista, lo spettacolo ritorna a teatro nella primavera del 2018. La notorietà dell’attore e la sua bravura, apprezzata dai critici e dal pubblico, nel rendere vivi i testi di Michele Serra, che danno voce alle quotidiane difficoltà dei genitori di adolescenti, contribuiscono al trionfo dello spettacolo.

Il libro è riproposto anche in versione cinematografica dalla regista Francesca Archibugi che collabora con Francesco Piccolo per scrivere la sceneggiatura. La commedia, in anteprima all’Anteo-Palazzo del cinema il 20 novembre 2017, esce nelle sale tre giorni dopo ed è prodotta da Indiana Production con Rai Cinema, distribuita da Lucky Red.
Lo scrittore, «che in modo sano è voluto restare fuori dal film, era sorpreso, all’inizio, di trovare una storia molto più ampia, ma poi ci ha accolti e ci ha lasciato andare avanti»,[15] spiega Piccolo. I due sceneggiatori riconoscono negli Sdraiati la propria esperienza di genitori e ampliano il testo di Serra per restituire una storia più complessa e con più personaggi, ma il focus rimane sempre il difficile rapporto tra un padre e il figlio adolescente. La commedia ha un buon successo: nella pagina dedicata allo spettacolo del “Corriere della Sera”, a una settimana dall’uscita nelle sale, si piazza al secondo posto nella classifica del box office con un guadagno di €963 021.

Durante la sua lunga collaborazione con Feltrinelli Serra scrive diversi romanzi i cui protagonisti appaiono in modo più o meno evidente come suoi alter ego. Lo spunto autobiografico è ugualmente presente negli Sdraiati, che però si distingue dai precedenti per la scelta di un tema universale che potenzialmente può riguardare tutti i lettori. Emerge anche tra i libri sulla paternità pubblicati nello stesso periodo per la brevità e per il suo essere “in potenza”, cioè senza una struttura rigida e con margini di sviluppo della storia, che ne permettono facilmente il passaggio ad altre forme come quella teatrale e cinematografica per opera di professionisti di grande fama. Le centinaia di migliaia di copie vendute, le numerose settimane in classifica e le decine di presentazioni in tutta Italia confermano la capacità dell’autore di rivolgersi a un pubblico estremamente ampio. Non soltanto a livello comune, ma anche la critica non ne mette in dubbio le qualità di scrittore e pur talvolta mostrandosi contrari al punto di vista di Serra incuriosiscono il lettore e lo portano a domandarsi se si ritrovano nelle sue parole.
È probabile quindi che dopo l’uscita degli Sdraiati Michele Serra sia riconosciuto e apprezzato come autore di questo specifico libro, in particolare da chi non è lettore assiduo di giornali oppure dai giovani che si approcciano allo scrittore proprio attraverso la sua esperienza di padre.

Sintesi della tesi di Annalisa Barbero Un autore e una casa editrice: Michele Serra e Feltrinelli. Il caso editoriale degli Sdraiati
Relatore: Prof. Roberto Cicala
Anno accademico 2021-2022

[1] Feltrinelli 60. 1955-2015. Catalogo storico, Feltrinelli, Milano 2015, p. 3.
[2] Intervista a Michele Serra di Annalisa Barbero, via e-mail, 15 agosto 2022.
[3] Michele Serra, Sull’editore, in A proposito di libri. Come nascono e diventano questi oggetti di carta dove leggiamo storie, idee e mondi interi, a cura di Arianna Cavallo e Giacomo Papi, Iperborea, Milano 2021, p. 91.
[4] Ibi, p. 92.
[5] Intervista a Michele Serra.
[6] Ibidem.
[7] Michele Serra, Sull’editore, p. 91.
[8] Paolo Pagani, La scrittura è un aeroplano. L’avventura intellettuale di otto grandi firme del giornalismo italiano, prefazione di Enrico Deaglio, Limina, Chiassa-Arezzo 1997, pp. 127-129.
[9] Michele Serra, Sull’editore, p. 92.
[10] Id., Il rapporto tra Padri e Figli nell’inedita “autorecensione” (e spiegazione) del nuovo romanzo, in “Uomo Vogue”, 14 novembre 2013, p. 56.
[11] Fulvio Paloscia, Serra in libreria «I miei sdraiati», in “la Repubblica”, 14 marzo 2014, p. 1.
[12] Antonio Prudenzano, Da Saviano a Serra… per Feltrinelli un ’13 in controtendenza. Ed ecco le novità del ’14, in “affaritaliani.it”, 27 novembre 2013: <https://www.affaritaliani.it/libri-editori
/feltrinelli-bilanci-e-futuro-con-gianluca-foglia.html
> (ultima consultazione: 15 novembre 2022).
[13] Si ringrazia l’ufficio stampa Feltrinelli per aver gentilmente concesso la consultazione della rassegna stampa degli Sdraiati.
[14] Massimo Recalcati, «Mio figlio, questo sconosciuto»: autoritratto di un papà disperato, in “la Repubblica”, 6 novembre 2013, p. 47.
[15] Arianna Finos, Sdraiati, in “la Repubblica”, 17 novembre 2017, p. 52.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Torna disponibile in Italia ChatGPT, il più popolare chatbot, un software che grazie all’intelligenza artificiale elabora conversazioni scritte o parlate permettendo di interagire con ogni dispositivo digitale come quando si comunica con persone reale, ma in più aiuta a scrivere articoli o testi in uno stile corretto, fare ricerche complesse, risolvere problemi matematici e programmare tramite l’utilizzo di un potentissimo motore di AI che elabora miliardi di dati e fonti in pochi secondi. Per capire che cosa comporta l’Intelligenza artificiale alla portata di tutti rispetto all’editoria e alla cultura abbiamo raccolto alcune risposte di Roberto Cicala, docente di editoria libraria e multimediale in Università Cattolica, editore e autore di I meccanismi dell’editoria edito dal Mulino in cui si accenna all’impatto della digitalizzazione nella comunicazione editoriale. 

La tecnologia dell’Intelligenza Artificiale con ChatGPT riuscirà a coprire ogni ricerca e gestione delle informazioni che ci servono?
Siamo di fronte a un’innovazione che crea fascino: pensiamo al milione di utenti nei primi dieci giorni e al gran dibattito in corso. È uno strumento che utilizza algoritmi avanzati di apprendimento automatico per generare risposte simili a quelle umane, con ricerche complessissime di contenuti in pochi secondi: è in qualche modo un generatore di linguaggio, che accorpa informazioni con un’operazione di cultura formidabile ma meccanica, diversa dalla conoscenza umana profonda, dal sapere dell’esperienza e della tradizione.
Come ha scritto Alessandro Carrera in uno stimolante pamphlet pubblicato da poco, Sapere, è la dimostrazione che oggi si può essere informati di tutto senza sapere nulla. Potremmo dire però che è una forma di democratizzazione della cultura, quindi con molti punti positivi.

Ci sono aspetti del lavoro editoriale che non potranno mai essere sostituiti dalla tecnologia oppure tutto sarà asservito all’AI?
Se pensiamo al lavoro editoriale, che è una mediazione culturale tra autori e lettori, non basta avere uno stile corretto e far ricerche di tipo nozionistico.
Per esempio: la letteratura è scarto dalla norma, è cambiare direzioni, partire da una cosa per arrivare a un’altra, sulla base di informazioni della vita interiore e non solo presenti sul web. La persona umana è fatta di mente e cuore e inconscio, la macchina è fatta di algoritmi.
La sfida è allora connettere le diverse competenze per arrivare a comprenderle non secondo una logica univoca.
Non serve avere più informazioni ma interpretarle per vivere meglio.

Ormai l’Intelligenza Artificiale è necessaria, soprattutto nella gestione dei contenuti e della comunicazione editoriale. Quindi che cosa sta cambiando e ci sono dei pericoli?
Ogni attività si sta smaterializzando ma non da oggi (e probabilmente in futuro, come è stato detto, non dovremo neppure toccare lo schermo dei nostri dispositivi per interagire con loro) ma non possiamo farci nulla.
Sono d’accordo con chi dice che l’immutabile legge della tecnologia impone che i suoi doni non si possano rifiutare: possiamo scappare ma ci rincorrono. E non è sempre un male. Come non è così negativo che ChatGTP decreti la fine dei temini scolastici facendoci comprendere che la formazione e l’e-learning deve attraversare nuove frontiere, spingendoci a capire che più dell’algoritmo e dell’informazione nozionistica conta la riflessione legata all’esperienza. Credo che la nuova app sarà utile per spunti, brain storming e revisioni, perché non potrà fare tutta la mediazione intellettuale necessaria per un contenuto editoriale o formativo complesso.
Però pericoli ce ne possono essere se non c’è un filtro critico, come nei vari massmedia d’un tempo e nei social di oggi, perché anche il web ha un lato oscuro, non dimentichiamolo.
Comunque l’algoritmo non ha un’anima e neppure un inconscio. L’editoria e i libri, di carta o di bit, sì, e perché ogni tecnologia ci può migliorare e cambiare, senza essere succubi delle macchine.

 

Tratto da dichiarazioni su Linkedin

 


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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Sotto una buona stella: la bellezza in editoria tra cielo e arte https://editoria.letteratura.it/sotto-una-buona-stella/ https://editoria.letteratura.it/sotto-una-buona-stella/#respond Thu, 05 Jan 2023 13:47:39 +0000 http://editoria.letteratura.it/?p=8814 Un libro d'arte seleziona le più belle opere dedicate alle stelle, non soltanto comete, dall'antichità a Giotto, da Van Gogh a Banksy.

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«Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua»: così, attraverso le parole del Piccolo principe, si apre Sotto una buona stella, nuova uscita della collana “Nativitas” di cui è autrice Chiara Gatti, storica e critica d’arte, che scrive per “Repubblica” ed è direttrice del Museo MAN di Nuoro.
In seguito ad altre pubblicazioni per Interlinea, come Nevicate d’arte del 2021, ha prestato nuovamente la sua penna alla prima collana europea dedicata al tema del Natale, ideata nel 1993 da Carlo Carena con l’editore Roberto Cicala. La serie, giunta con quest’opera al numero 105, presenta sezioni che toccano ambiti diversi, dalla letteratura alla spiritualità, dalla poesia all’arte e all’architettura: proprio in quest’ultimo si colloca Sotto una buona stella, presentato a Milano in occasione del consueto incontro “Editoria a Natale” in Università Cattolica.
Questo volumetto tascabile è avvolto da una sovracoperta interamente occupata da un dettaglio della celebre Notte stellata di Van Gogh, custodita la Moma di New York, impreziosita dal titolo impresso in oro a caldo su una carta pregiata e certificata, non plastificata. In quest’ultimo aspetto traspare l’occhio di riguardo nei confronti dell’ambiente, cifra caratteristica della casa editrice. La particolarità della copertina, in carta marcata grigia, è tipica della collana, che con questa scelta vuole opporsi a quella che è stata definita dallo storico dell’editoria Gian Carlo Ferretti come «la plastificazione sgargiante» che domina oggi la produzione libraria. All’interno del libro l’adozione di una carta patinata naturale permette di riportare con brillantezza i dipinti e le opere prese in considerazione dall’autrice, arricchendo così il testo di preziosi strumenti visivi. L’uso del carattere graziato Simoncini Garamond e un’impaginazione ariosa permettono una lettura scorrevole.
Come suggerito anche dal sottotitolo, Stelle e comete nell’arte, Chiara Gatti, con la collaborazione di Serena Colombo, si propone di condurre il lettore attraverso un viaggio tra i cieli stellati dell’arte. Partendo dal Disco di Nebra, riconducibile all’età del bronzo, la spiegazione si dipana avanti e indietro nel tempo: dalle prime opere d’età cristiana, a Giotto e il suo interesse naturalistico; dalla stella come simbolo di sciagura in molte opere medievali, al sentimento del sublime che anima notturni come quelli di William Turner; dall’angoscia di Van Gogh e Munch, passando per Kandinskij e Mirò, fino a Banksy, con la sua reinterpretazione drammatica e simbolica del foro lasciato da una granata su un muro di Betlemme. In questa rassegna di opere viene mostrato come «l’uomo abbia sempre visto nelle stelle un simbolo di qualcosa d’altro, di qualcosa di intoccabile, reso vicino attraverso l’arte», perché «chi desidera traduce in forme riconoscibili ciò che sfugge alla sua esperienza».
Secondo un’idea proposta dalla stessa autrice, «le stelle confortano l’uomo», ma al contempo lo pongono di fronte a un enigma: «Dove si consuma il resto della nostra esistenza, al di là della materia?» Con questo appassionato lavoro Chiara Gatti prova a rispondere, unendo così le bellezze del cielo alle bellezze dell’arte.

Giulia Calvi, Paola Pozzoli, Sofia Ciatti

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(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).

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