La collaborazione di Sebastiano Vassalli con il “Corriere della Sera” tra letteratura e giornalismo.
La letteratura e il giornalismo sono campi in costante dialogo: per molti scrittori, a partire dagli esempi illustri di Dickens, Balzac, Zola, passando dalla penna dei contemporanei, la scrittura di romanzi e racconti si sovrappone a quella pubblicistica creando un rapporto di continue suggestioni tra le due forme narrative. Tra gli autori che vivono questa doppia vocazione di scrittori e giornalisti non si può certo dimenticare Sebastiano Vassalli.
Attivo dalla fine degli anni Settanta in ambito pubblicistico, con importanti trascorsi su “L’Unità”, “Panorama Mese”, “L’Espresso” e “La Repubblica”, Sebastiano Vassalli (Genova, 1941 – Casale Monferrato, 2015) inizia a collaborare con il maggiore quotidiano italiano nell’estate del 1996, quando il direttore Paolo Mieli lo contatta per una collaborazione che prevede, almeno inizialmente, editoriali e articoli da prima pagina. Vassalli è in quel momento tra gli scrittori più ambiti dai giornali: «Pur di averlo», afferma Paolo Di Stefano, caporedattore dal 1998 della sezione culturale del quotidiano, «il direttore gli propose un contratto quasi in bianco, soprattutto per pezzi da prima pagina».[1]
Dal 1996 fino al 2015, anno della morte dello scrittore, con una breve interruzione tra il 2006 e il 2010, Vassalli pubblica i suoi interventi sul quotidiano, utilizzando lo spazio della stampa d’opinione come luogo dove raccontare in maniera sintetica il proprio universo editoriale. Le pagine dei giornali diventano uno spazio dove animare il «dibattito delle idee» e sviluppare sinteticamente alcune costanti narrative da cui far nascere la discussione.
Editoriali, prime pagine e corsivi
I primi due anni di collaborazione, compresi cronologicamente tra il luglio del 1996 e il dicembre del 1997, sono significativi per quantità e qualità di scrittura. Il 1° luglio del 1996 in prima pagina sull’edizione del “Corriere della Sera” del Lunedì, viene pubblicato il primo testo firmato dall’autore, intitolato Buoni e cattivi scrittori. Seguendo la disposizione tradizionale della prima pagina, l’articolo di opinione è proposto come articolo di spalla, incolonnato sulla destra, richiamato nella sezione dedicata alle notizie in primo piano. L’articolo tratta, in maniera significativa, la tematica della scrittura in relazione ai lettori, partendo da un’affermazione di Umberto Eco contenuta in Come si scrive un romanzo di Maria Teresa Serafini, un prontuario di regole di scrittura:
Ogni vero scrittore, grande o piccolo che sia, per tutta la vita continua a girare attorno a un’Idea di cui lui stesso non è – e non può essere – del tutto consapevole e cosciente, e che si esprime nei suoi libri in pochi temi ricorrenti, in poche «metafore ossessive»[2]
Il mese successivo, l’11 agosto 1996, viene stampato in terza pagina su quattro colonne il contributo La prima Repubblica? Vedi alla voce «premi», un breve articolo che tratteggia un ritratto politico della nazione partendo dalla considerazione dei premi letterari, una invenzione tutta italiana:
C’erano una volta (all’inizio del secolo) le riviste e i caffè letterari: poi vennero i premi. La letteratura e direi anche il costume di questi cinquant’anni sono stati in qualche modo segnati dalla presenza di centinaia di premi in ogni parte d’Italia a Nord e a Sud, con le loro giurie, i loro patrocinatori, le loro specifiche condizioni ambientali, il loro pubblico (quando avevano un pubblico). Raccontare la storia dei premi letterari dal ’46 a oggi significa raccontare la storia della prima Repubblica, perché nei premi c’è (o c’è stato) tutto: i sindaci inquisiti per mafia o per camorra, Tangentopoli, lo sviluppo e il sottosviluppo, il miracolo economico, le clientele politiche e quelle accademiche, le guerre degli editori e gli odi degli scrittori, i sogni dei citrulli e le trame dei furbi…[3]
Fin dai primi testi consegnati alla redazione viene mostrata una prosa vivace e audace, connotata da una profonda vena satirica coniugata con l’interesse partecipe alle vicende sociali e politiche del popolo italiano, interesse sempre presente, fin dagli esordi, anche nei romanzi e nei racconti. La cronaca politica italiana a cavallo tra gli anni Novanta e duemila è d’altronde terreno fertile di storie da raccontare, con lo scopo di creare un ritratto storico-letterario unitario della nazione partendo da frammenti di italianità disseminati nella cronaca quotidiana.
Tra il 1996 e il 1997 Vassalli segue le linee guida della direzione per i corsivi di opinione di carattere sociale e politico, come afferma Paolo di Stefano:
Per i pezzi di prima pagina (che in genere erano commenti su fatti di cronaca nazionale) veniva chiamato direttamente dalla direzione (allora i vicedirettori erano Ferruccio De Bortoli, che sarà direttore poco dopo, Antonio Di Rosa e Carlo Verdelli, con Paolo Ermini capo dell’ufficio centrale). Era comunque molto amato e stimato all’interno del giornale, sia da Ranieri Polese che da Francesco Cevasco (i due caporedattori che mi hanno preceduto). Credo che abbia dato dei contributi anche alle pagine speciali di Raffaele Fiengo (che teneva le rubriche su Scuola e Università).[4]
Anche per quanto riguarda la scrittura degli editoriali Vassalli deve seguire una agenda dettata quasi in maniera unilaterale dalla direzione. Queste indicazioni non sempre vengono accettate di buon grado dall’autore che talvolta confessa di accogliere mal volentieri l’invito a scrivere, specie se è impegnato a scrivere un romanzo. Una rubrica indipendente, in questo momento, permetterebbe a Vassalli di dedicarsi con tranquillità alla doppia attività di scrittore e giornalista pubblicista.
Gli “Improvvisi”
Il 27 febbraio 1998 viene inaugurata nelle pagine dedicate alla cultura del “Corriere della Sera” una nuova rubrica firmata da Sebastiano Vassalli, gli “Improvvisi”. Posizionata sulla spalla destra della terza pagina viene presentata così in una nota introduttiva:
Prende avvio oggi, con questo articolo, una rubrica di Sebastiano Vassalli dal titolo “Improvvisi”, su temi vari di cultura e di costume.[5]
Il titolo scelto per la nuova rubrica, chiaro omaggio a Giorgio Manganelli autore nel 1989 degli Improvvisi per macchina da scrivere, suggerisce l’idea di brevi interventi, vicini quasi per caratteristiche a quello che in musica si definisce improvviso per strumento solo, una invenzione personale che sorge da uno spunto melodico. Quelli dell’autore sono infatti racconti brevi in rubrica, commenti su fatti del giorno, variazioni su temi quali l’editoria (che torna a più riprese nei corsivi), la letteratura e la poesia (amata fin dagli esordi), il ruolo della televisione e dei media nella società, la politica nazionale e internazionale con i suoi interpreti e scandali, la storia, gli usi e i costumi del popolo italiano.[6] Gli Improvvisi nascono da un’idea dello stesso autore:
Gli Improvvisi me li sono inventati io, quando Mieli ha lasciato la direzione e i miei commenti in prima pagina non venivano più richiesti per timore di possibili polemiche.[7]
Il primo testo dattiloscritto che viene mandato alla redazione, come testo di prova per l’inaugurazione della rubrica di cultura, reca la data del 16 febbraio 1998 ma viene pubblicato in data 27 febbraio 1998 con titolo redazionale Il naso di Bossi: fisiognomica della politica.
La rubrica degli “Improvvisi”, curata con costanza da Vassalli tra il 1998 e il 2006, viene interrotta il 22 febbraio 2006 con il corsivo Le masse dell’audience e gli estremisti del linguaggio scritto – in clima di elezioni politiche – intorno al tema dei sondaggi e della loro efficacia nella determinazione delle percentuali elettorali.[8]
L’interruzione è soltanto momentanea ed è dovuta a una breve collaborazione con “La Stampa”, quotidiano torinese in quel momento diretto da Giulio Anselmi, su cui l’autore propone interventi meno impegnati dal punto di vista delle tematiche e spesso legati al tema ambientale, a partire dall’articolo Elogio della zanzara apparso sul quotidiano il 20 luglio 2006.
Quattro anni dopo, il 27 settembre 2010, Vassalli intraprende nuovamente la scrittura della rubrica inviando ad Antonio Troiano, nuovo caporedattore della sezione Cultura, il dattiloscritto d’apertura della rinnovata serie di “Improvvisi”, battuto – come di consueto – con macchina da scrivere Olivetti con caratteri più grandi rispetto alla precedente serie e pubblicato sul taglio basso di terza pagina.
Il corsivo con cui rinnova la rubrica è intitolato Calvino, che peso la leggerezza, ed è un omaggio a Italo Calvino che negli anni della sperimentazione aveva fortemente sostenuto la pubblicazione per Einaudi dei primi romanzi dello scrittore.[9] La cura e l’attenzione editoriale di Vassalli per la nuova rubrica risiede questa volta, oltre che nella scrittura, anche nella caratterizzazione grafica da porre come accompagnamento ai corsivi. L’autore chiede che la rubrica sia accompagnata nell’intestazione dal disegno delle mani di un direttore d’orchestra, intento a dirigere con la bacchetta in una mano. L’idea viene proposta a un grafico che la realizza e l’«Improvviso» del 27 settembre viene accompagnato dalla nuova illustrazione: due mani viste da una prospettiva laterale incasellate in un tondo. Il progetto non soddisfa del tutto Vassalli, il quale invia in redazione la sua proposta disegnata a mano. La nuova soluzione grafica accompagna come immagine di testata tutti gli “Improvvisi” successivi, a partire da quello del 9 ottobre fino all’ultimo del 12 aprile 2015.
Corsivi e romanzi, tematiche a confronto
In diversi contributi per il “Corriere” tra il 1996 e il 2015 si ritrovano richiami a tematiche sviluppate in modo più approfondito nelle opere di narrativa. L’autore non rifiuta mai la contaminazione di linguaggi e stili differenti: le convergenze tematiche tra prosa narrativa e scrittura pubblicistica sono la dimostrazione più evidente. Emblematico è il caso dei racconti dedicati alla figura del “babbo matto” Dino Campana (1885-1932) e al tormentato rapporto con Sibilla Aleramo, ricorrenti in cinque occasioni tra il 1997 e il 2006 in terza pagina oltre che nel supplemento “La Lettura” e nella rubrica “Improvvisi”. I corsivi vanno a completare idealmente il tormentato ritratto umano e letterario del poeta di Marradi iniziato con l’opera La notte della cometa, pubblicata per i tipi di Einaudi nel 1984.[10] La considerazione che suggella questo ciclo narrativo interno al “Corriere” non può essere più significativa:
Dietro alla maschera, più grottesca che tragica, del “poeta folle” non c’era soltanto un mito romantico e non c’era soltanto la letteratura. C’era tutta l’Italia di quegli anni e c’è ancora una parte dell’Italia di oggi, che ne è la continuazione. Ci sono un paese Marradi, e una società letteraria che non possono ammettere di aver perseguitato un uomo trattandolo come «matto», senza che fosse veramente matto. Ci sono i progressisti del primo Novecento e le femministe. C’è la famiglia come embrione di ogni universo concentrazionario.[11]
Una forte componente autobiografica è inoltre presente in molti corsivi: il richiamo dei luoghi dell’adolescenza e della vita dell’autore, che fanno da ambientazione ai romanzi La chimera, e L’oro del mondo si fa vivo negli articoli dedicati a Novara, alla pianura novarese e al mondo delle risaie.
Nell’articolo La mia pianura incantata datato 22 ottobre 2001 scrive:
La pianura delle risaie e dei campi di granoturco compresa tra le alpi e il Po, il Ticino e la Dora Baltea fino al borgo di Saluggia patria di Giovanni Faldella, può sembrare quasi un non-luogo della letteratura e della memoria: una sorta di lavagna su cui il tempo ha scritto infinite storie e poi subito le ha cancellate per scriverne altre, destinate a loro volta a scomparire. Quante vicende umane, grandi e piccole, sembrano essere scivolate senza lasciare una traccia durevole di parole, in questa regione![12]
Le contraddizioni del Paese al termine della guerra, l’arte del dimenticare, il perdonismo e la mistificazione della realtà, tematiche discusse nel romanzo L’oro del mondo, si specchiano negli articoli Dal caso Moro ai sassi dell’autostrada: perdonisti di tutta Italia smettetela del 5 gennaio 1997 e Toscana 1944, processo ai partigiani, apparso nel giugno dello stesso anno. Anche nei momenti più bui della storia è possibile per l’autore trovare frammenti che identificano il carattere nazionale degli italiani:
Ho cercato di acchiapparlo, questo carattere nazionale, tra il ’43 e il ’45, in questa famosa ora legale in cui si è verificato il passo delle quaglie, la gigantesca migrazione dei 40-45 milioni di italiani che erano passati da uno strenuo, granitico e immarcescibile fascismo a un altrettanto strenuo, granitico e immarcescibile antifascismo, con la Resistenza come foglia di fico di questo corpaccio enorme.[13]
Si ricordano sulle colonne del quotidiano le vicende di alcuni protagonisti dei romanzi: è il caso di Mattio Lovat, presente nella celebre opera del 1992 Marco e Mattio e citato in prima pagina il 15 maggio del 2000:
Io, in un mio libro, ho raccontato la storia di un uomo realmente esistito, Mattio Lovat, di Zoldo, in provincia di Belluno, che si auto-crocifisse a Venezia nel 1805 perché aveva sentito dire dai preti della sua pieve che nel mondo era tornato l’Anticristo (Napoleone), e si era persuaso che il sacrificio della croce andasse ripetuto. Mattio era un ciabattino e non riuscì a creare nessun mito, ma anche il suo gesto, in qualche modo, fu vincente. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1806, l’astro di Napoleone incominciò a declinare.[14]
Tra i personaggi che popolano le colonne degli articoli si trova anche Giacomo Casanova, citato per la prima volta in un corsivo del 2 settembre 1999 e narrato nell’articolo Il signor Giacomo era un amante davvero modesto, racconto d’estate del “Corriere” datato 22 luglio 2003. La vicenda dell’artista, scrittore e seduttore Giacomo Casanova è presentata nell’opera Dux. Casanova in Boemia, una breve prosa pubblicata per Einaudi nel 2002 e scelta come testo inaugurale per “L’arcipelago”, una nuova collana pensata per una narrativa di qualità e a basso prezzo.
Casanova viene descritto nel romanzo così come nel racconto quale affabulatore, opportunista e trasformista:
Credo che il signor Casanova sia diventato famoso, in passato, più per le sue doti di ciarlatano che per le sue avventure, modeste e spesso riprovevoli. Ora però i tempi sono cambiati; e nessuno più ha voglia di ascoltare le storie di un avventuriero, da quando una plebe inferocita, a Parigi, ha avuto il coraggio di assassinare un re![15]
«L’amante modesto che non ha mai fatto niente di utile» coincide dunque con il prototipo dell’italiano e il breve romanzo Dux, come recita la quarta di copertina, «è un nuovo capitolo di quel romanzo sul carattere nazionale che Vassalli ormai da molti anni continua a scrivere».[16] Ci sono inoltre personaggi che l’autore ammette
rimarranno nell’anticamera del mio studio, come Cesare Forni, il capo degli squadristi della Lomellina o Enrico Vezzalini[17]
la vicenda di quest’ultimo, avvocato membro del tribunale straordinario di Verona, è narrata solamente in un racconto d’estate del “Corriere” pubblicato nel 1999; la figura di Enrico Vezzalini è per l’autore sovrapponibile a quella del padre, uomo tanto odiato di cui Vassalli parla nell’Oro del mondo:
Anche queste cose succedono agli scrittori. Può capitargli che due personaggi si rivelino, in realtà un personaggio unico, con due vite parallele e due diversi destini.[18]
Merita una considerazione a parte la riflessione di Vassalli sull’editoria a cavallo del duemila che si ricollega alla narrazione del carattere nazionale nella volontà di rintracciare anche nel mondo editoriale ulteriori lineamenti e comportamenti rappresentativi. È possibile così per l’autore svolgere un ritratto del paese partendo dai nuovi scrittori e recenti pubblicazioni. In questo contesto particolarmente significativo è l’articolo dell’ottobre 1996 intitolato Giovani scrittori, che orrore, che, incoraggiando il lavoro di questi nuovi narratori “ribelli”, avanza una critica per nulla velata contro l’establishment culturale e letterario nazionale:
Non fermatevi alla superficie delle cose. C’è tanta ipocrisia da buttare in aria in questo Paese, tanta violenza riconoscibile come tale e anche tanta violenza mascherata da perbenismo o addirittura da altruismo… Non abbiate paura di essere sgradevoli. Quasi sempre, le cose nuove e giuste all’inizio appaiono sgradevoli.[19]
Le nuove proposte editoriali di questi giovani scrittori affascinano l’autore che riprende il tema nell’articolo I giovani narratori? Ribelli immaginari del 14 dicembre 1996. Il mondo editoriale torna periodicamente nei corsivi in rubrica: diverse sono le recensioni di pubblicazioni più o meno recenti, da cui l’autore prende ispirazione per un commento, una critica o semplicemente una riflessione.
Interrogare le opere letterarie più antiche e farle interagire con le pubblicazioni più recenti è sintomo d’attenzione non soltanto per il passato più remoto ma anche nei confronti del tempo presente.
«Se vogliamo capirlo, il presente, siamo costretti a girarci intorno».[20]
Lorenzo Steffani
[1] Intervista telefonica/via e-mail a Paolo Di Stefano di Lorenzo Steffani, Milano 13 ottobre 2020
[2] Sebastiano Vassalli, Buoni e cattivi scrittori, in “Corriere della Sera”, 1° luglio 1996, p. 1.
[3] Id., La prima Repubblica? Vedi alla voce “premi”, in “Corriere della Sera”, 11 agosto 1996, p. 21.
[4] Intervista telefonica/via e-mail a Paolo Di Stefano.
[5] Id., Il naso di Bossi: fisiognomica della politica, in “Corriere della Sera”, 27 febbraio 1998, p. 31.
[6] Tutti i corsivi presenti in rubrica sono raccolti nel volume Improvvisi (1998-2015), a cura di Roberto Cicala, Fondazione “Corriere della Sera”, Milano 2016.
[7] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, Cadmo, Fiesole 2005, p. 154.
[8] Sebastiano Vassalli, Le masse dell’audience e gli estremisti del linguaggio, in “Corriere della Sera”, 22 febbraio 2006, p. 35.
[9] Id., Calvino, che peso la leggerezza, in “Corriere della Sera”, 27 settembre 2010, p. 33.
[10] Id., La notte della cometa. Il romanzo di Dino Campana, Einaudi 1984.
[11] Id., Così ho dato nuova vita a Campana, in “Corriere della Sera”, 26 agosto 2006, p. 48.
[12] Id., La mia pianura incantata, in “Corriere della Sera”, 22 ottobre 2001, p. 27.
[13] Id., I molti sogni possibili dell’autore de “La Chimera”, intervista di Giulio Bedoni, in “Il Novarese”, 1 (1991), p. 30.
[14] Id., Un mito effimero, in “Corriere della Sera”, 15 maggio 2000, p. 1.
[15] Id., Il signor Giacomo era un amante davvero modesto, in “Corriere della Sera”, 22 luglio 2003, p. 31.
[16] Id., Dux. Casanova in Boemia, Einaudi, Torino 2002.
[17] Cristina Nesi, Sebastiano Vassalli, Cadmo, Fiesole 2005, p. 114.
[18] Sebastiano Vassalli, Memorie di paure e di sospetti mentre esplodeva la Liberazione, in “Corriere della Sera”, 1° agosto 1999, p. 27.
[19] Id., Giovani scrittori che orrore, in “Corriere della Sera”, 26 ottobre 1996, p. 31.
[20] Id., Vassalli e il silenzio degli etruschi, intervista di Ugo Ronfani, in “Il Resto del Carlino”, 21 ottobre 1999.
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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