La storia editoriale del best seller di Paolo Giordano dalla sua creazione fino alla partecipazione alla 67° Mostra del Cinema di Venezia.
Nel 2008 esce nelle librerie italiane il romanzo definito come uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi dieci anni: La solitudine dei numeri primi scritto da Paolo Giordano, giovane fisico di Torino, laureatosi con il massimo dei voti.
Dotato fin da giovanissimo di uno sviluppato senso artistico, in un’intervista a “Il Sole 24 Ore” rivela: «Ho suonato la chitarra per parecchi anni, poi sono passato alla musica elettronica, fatta con il computer… Ma alla fine ho capito che la mia cifra sarebbe stata la scrittura».[1] Dopo aver smesso di dedicare energie e tempo alla musica, nel biennio 2006-2007 s’iscrive alla scuola di scrittura Holden di Torino e non passa molto prima che decida di lavorare a una storia tutta sua.
La fase di creazione della Solitudine dei numeri primi dura nove mesi durante i quali Giordano incontra non poche difficoltà, soprattutto nel conferire una certa organicità all’opera: «Il romanzo è costruito tutto intorno a singoli episodi. Ero arrivato a metà della storia quando un amico scrittore mi disse che il libro era costruito troppo su blocchi a sé stanti […] e questo toglieva forza all’insieme dei capitoli. Mi consigliò di interrompere la scrittura esattamente quando incominciavo a divertirmi, in modo da lasciarmi un margine di apertura per continuare in maniera più fluida nelle pagine successive».[2] Lo stile di Giordano rivela molto della sua natura analitica e razionale: come se stesse lavorando in un laboratorio, egli tende, nell’elaborazione della storia, a isolare le parti, i singoli episodi, e ad analizzarli attraverso un’inquadratura molto stretta, «quasi a spremere la realtà».[3] Le diverse scene, oltre ad essere proposte in perfetto ordine cronologico, sono spesso descritte nel minimo particolare; secondo lo scrittore, infatti, la violenza con la quale un aspetto del racconto può colpire il lettore è proprio nella precisione del dettaglio. Un esempio:
Un giorno d’inverno era tornato a casa dopo aver trascorso il pomeriggio da lei, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che cambiare da un canale all’altro della televisione. Mattia non aveva fatto caso né alle parole né alle immagini. Il piede destro di Alice, appoggiato al tavolino del salotto, invadeva il suo campo visivo, penetrandolo da sinistra come la testa di un serpente. Alice piegava e fletteva le dita con una regolarità ipnotica. Quel movimento ripetuto gli aveva fatto crescere qualcosa di solido e inquietante nello stomaco e lui si era sforzato di tenere lo sguardo fisso il più a lungo possibile, perché nulla cambiasse in quell’inquadratura.[4]
Questa descrizione così accurata, risulta molto evocativa e permette, a chi legge, di calarsi totalmente nel momento che si sta raccontando; sembra così di essere davvero seduti sul divano, insieme a Mattia, e di venire catturati dal movimento delle dita di Alice.
Una prosa meticolosa, a volte addirittura scientifica, ma allo stesso tempo accessibile a ogni tipo di lettore, grazie alla naturalezza e alla chiarezza con cui Giordano racconta la storia dei giovani e tormentati Alice e Mattia. Il romanzo raggiunge presto un enorme consenso e alla fine dell’anno le copie acquistate sono più di un milione; secondo la classifica del “Corriere delle Sera” [5] La solitudine dei numeri primi è il libro più venduto in Italia del 2008.
I meriti dell’enorme successo sono anche da ricercare nell’efficace campagna promozionale pensata dalla Mondadori. La casa editrice punta subito a fare di Giordano un personaggio interessante e accattivante; giovane e di piacevole aspetto, laureato con il massimo dei voti, look da bravo ragazzo, la Mondadori sfrutta questo mix di elementi per presentare sul mercato una figura fresca e coinvolgente, in grado di entrare facilmente in sintonia con le masse. Diverse, anche per questo motivo, sono le apparizioni di Giordano in televisione, per promuovere il proprio libro (ad esempio nel programma Che tempo che fa[6] di Fabio Fazio, o a Parla con me,[7] presentato da Dario Vergassola) e in breve tempo lo scrittore conquista la fama di vero e proprio enfant prodige della nuova letteratura italiana.[8]
Anche la scelta dell’immagine di copertina è frutto di una studiata strategia di marketing. Parzialmente nascosta dalle foglie verdi, il volto intenso di una ragazza (in realtà autoritratto di una giovane fotografa olandese, Mirjan Van Der Meer, scoperta attraverso Flickr, un famoso sito di condivisione di foto)[9] scruta il potenziale lettore con uno sguardo enigmatico, quasi impaurito e che sembra chiedere aiuto. Una figura così ermetica non può non catturare l’attenzione e lo stesso scrittore racconta che alle varie presentazioni del libro molte persone hanno dichiarato di essere state indotte ad acquistarlo da quello sguardo in copertina.[10]
Dopo pochi mesi dall’uscita nelle librerie, Giordano inizia già a vedere riconosciuta la propria opera: vince premi come il Campiello Opera Prima, il Premio Fiesole narrativa Under 40, il Premio letterario Merck Serano, per poi aggiudicarsi il Premio Strega 2008, diventando il vincitore più giovane nella storia del concorso.[11] Era da sessantadue anni che non si vedeva un esordiente conquistare l’ambitissimo premio e Giordano, appena ventiseienne, è una vera e propria novità, che riesce a scavalcare anche un signore della letteratura come Ermanno Rea (in concorso con Napoli ferrovia).
I successi non finiscono qui: in ottobre, alla fiera di Francoforte, arriva l’inaspettata consacrazione internazionale. Editori di oltre venticinque Paesi ne acquistano i diritti di traduzione. Addirittura nel mercato anglofono si scatena una vera e propria asta tra le maggiori case editrici mondiali. È infine la Doubleday ad aggiudicarsi i diritti per la Gran Bretagna.[12] Spopola anche in Portogallo e Spagna, fino a raggiungere i lettori di Stati Uniti, Brasile, Israele e molti altri ancora.
Dopo due anni dalla prima uscita nelle librerie, La solitudine dei numeri primi diventa film, sotto la guida del regista Saverio Costanzo. Ciò permette al libro di riacquistare un po’ dell’attenzione che, col passare del tempo, aveva inevitabilmente perduto. La casa editrice decide di ripubblicarlo, in edizione economica, nella collana “Oscar Mondadori” e il romanzo risale le classifiche, giungendo, a settembre del 2010, alla seconda posizione.[13]
I retroscena del titolo
Dopo aver letto poche pagine del libro, presentatogli da Mario Desiati, responsabile, in quel periodo, della rivista “Nuovi Argomenti” ed esponente del comitato di lettura Mondadori (cui Giordano aveva già inviato in precedenza diversi racconti),[14] l’editor Antonio Franchini contatta subito lo scrittore, deciso a pubblicare la storia il più presto possibile: «I primi due capitoli sono strepitosi, bastavano quelli».[15] Franchini è, infatti, colpito dall’incipit, nel quale sono racchiuse alcune delle immagini più forti di tutto il libro, ed è convinto che possa risultare di grande impatto non solo per lui, ma anche per i potenziali lettori. Incontra lo scrittore insieme a Giulia Ichino (a quei tempi editor junior della narrativa italiana Mondadori) e inizia subito un lavoro definito di macro editing, in cui Giordano riceve suggerimenti «su dove e come intervenire per migliorare la struttura del romanzo».[16] In seguito il manoscritto è sottoposto al cosiddetto micro editing, attraverso cui la responsabile, Laura Cerutti, opera effettivamente sul testo.
Poche, comunque, sono le modifiche apportate, come anche Franchini e la Ichino tengono a precisare; solo un elemento per la Ichino è da rivedere: «Nel romanzo, a un certo punto, Alice si convince di aver visto Michela, la gemella di Mattia e questa cosa, che ovviamente resta nel romanzo […] veniva seguita un pochino più a lungo e diventava un piccolo giallo. E invece abbiamo scelto insieme di depotenziarne un po’ questo aspetto a favore sostanzialmente del romanzo di formazione che poi è questo libro».[17] Il lavoro di Giordano arriva quindi in redazione già sostanzialmente compiuto; ma se, da una parte, l’opera in sé non ha bisogno di grossi sconvolgimenti, altrettanto non si può dire per il titolo.
Giordano voleva inizialmente chiamare il romanzo Dentro e fuori dall’acqua:[18] questo elemento percorre tutta la storia, dall’inizio in cui compaiono la neve e l’acqua del Po, alle scene finali in cui Alice è in riva al fiume e Mattia osserva l’alba sulle sponde del mare del Nord. I due giovani per tutta la vita s’incontrano e si scontrano, di continuo, senza mai toccarsi veramente, senza mai compenetrarsi l’uno nella vita dell’altra. La loro esistenza scorre come se fossero dentro e fuori dall’acqua, pochi attimi per riprendere fiato e poi giù di nuovo tra i frammenti delle loro difficili vite, segnate da profonde solitudini: «L’elemento dell’acqua è il punto di partenza del mio romanzo […] Avevo immaginato di far incontrare i personaggi durante l’alluvione di Torino, nel 1988».[19] Ma Franchini non è persuaso; riconosciuto come uno degli editor più apprezzati e capaci, egli sa bene come la scelta giusta del titolo sia spesso fondamentale per il successo di un libro. E per Giordano trova proprio all’interno della sua storia il nome più adatto a riassumerla e a presentarla ai lettori. Lo scrittore utilizza la metafora dei numeri primi per descrivere il rapporto tra Alice e Mattia:
In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comunque che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre. Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.[20]
Franchini propone, come titolo, proprio: La solitudine dei numeri primi, più suggestivo e coinvolgente. Giordano, in un primo momento, non concorda con la scelta dell’editor: «Ci ho pensato per un giorno intero. Lì per lì non ero convinto. […] Io avevo portato avanti il libro con una certa idea. Poi però mi sono reso conto che, quello di Franchini, era un titolo molto più misterioso e intrigante. Col tempo ho realizzato che non c’era nemmeno paragone rispetto al mio».[21] Il comportamento di Giordano viene giustificato dall’editor: «Quando un autore ha scritto un libro e ha dato un titolo – anche se di quel titolo che ha dato lui non è molto convinto –, tu gli dai un titolo diverso, la prima reazione magari è di sconcerto, perché non è abituato a vedere la sua opera con quel titolo».[22] Ribadisce inoltre che il nome da lui deciso: « […] come quasi sempre accade, fa parte dell’opera, nel senso che tutta la metafora dei numeri primi è una metafora sua. Il titolo sta sempre dentro il libro, solo che l’autore non se ne accorge. Te ne accorgi tu perché il lavoro dell’editor è quello di avere gli occhi esterni su un testo».[23]
La partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia
Il 9 settembre del 2010 La solitudine dei numeri primi viene presentato alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, in concorso insieme ad altri ventitré film (tra cui La versione di Barney di Richard J. Lewis e Somewhere di Sofia Coppola), ultimo selezionato dei quattro italiani candidati (La passione di Carlo Mazzacurati, Noi credevamo di Mario Martone e La pecora nera di Ascanio Celestini). La pellicola è attesa con trepidazione, dalla critica come dai fan della storia; alte (forse troppo) sono le aspettative per il film di Costanzo, poiché tratto da uno dei romanzi più famosi degli ultimi anni, amato sia da lettori italiani che stranieri e diventato presto un vero e proprio caso letterario. Il regista sente presto la pressione e la paura che il suo lavoro non valga tanta agitazione e alla prima occasione cerca subito di smorzare i toni: «A Roma continuavo a leggere sui giornali che la Mostra attendeva La solitudine dei numeri primi in misura sempre più spasmodica».[24] E ancora, durante la conferenza stampa a Venezia: «Mi terrorizza quest’attesa, questa trepidazione, gente che non mi ha mai salutato mi riconosce come fossi un divo […]. Non aspettatevi per favore Il gattopardo, questo non è un capolavoro, è solo un film».[25]
Alla prima dello spettacolo, assieme alla giuria, che ha il compito di selezionare il vincitore del Leone d’Oro per il miglior film (presidente della giuria quell’anno è Quentin Tarantino), e ai rappresentanti della stampa, è presente lo stesso Costanzo, accompagnato dai due attori protagonisti e da Paolo Giordano; ma alla fine della proiezione i pareri sono molto contrastanti e, insieme agli applausi, si levano fischi dalla sala. Il lavoro di Costanzo non conquista unanimemente il pubblico della Mostra, come invece era riuscito a fare il romanzo, mettendo d’accordo critica e lettori: «L’esercizio di stile pecca di eccessi di stile, di rimandi cinefili più o meno a fuoco e a rischio presunzione, di pesantezze espositive. Troppa pioggia a frustare l’angoscia di Mattia per la perdita della sorellina, troppa nebbia metaforica a ovattare la caduta e l’isolamento di Alice».[26] Il lavoro del regista non è quello che molti si aspettano: «Costanzo avrebbe potuto facilmente approfittare di un’occasione così ghiotta per ottenere il successo e il favore del pubblico, ricorrendo a una trasposizione più letterale del best seller di Giordano e più in linea con un certo fare cinema prettamente italiano. E invece nessuna voce fuori campo ad accattivarsi le simpatie del pubblico, nessuna linearità cronologica o psicologica che accompagni empaticamente lo spettatore nello svolgimento delle vicende dei personaggi […]».[27]
Non tutti condannano la scelta ardita di demolire la struttura iniziale del romanzo, presentandone una lettura non illustrativa e originale, ma anche da parte della stampa pochi sono i commenti positivi. “ Il Fatto Quotidiano” intitola il suo articolo La solitudine dei numeri brutti, non confidando in un possibile successo del film al botteghino,[28] “Libero” pubblica La noia dei numeri primi, con un resoconto piuttosto negativo da parte dell’inviato a Venezia: «Terminata la proiezione del film di Saverio Costanzo […] i giochi di parole si sprecavano: La tortura dei numeri primi, La solitudine dei numeri brutti […]. La pellicola non ha convinto granché il pubblico della 67° mostra del cinema di Venezia. Tradotto, significa fischi alla fine dello spettacolo e battute taglienti».[29] Si schiera a favore invece “l’Unità”, che giudica notevole il lavoro di Costanzo: «[…] tecnicamente straordinario, il livello della fotografia e del montaggio di grande respiro internazionale. L’uso in colonna sonora di brani musicali preesistenti (Goblin, Morricone, la famosa canzone Bette Davis Eyes di Kim Carnes) avrebbe fatto sbavare, fosse stato un film di Tarantino, gli stessi cinefili integralisti che l’hanno fischiato».[30] A causa di troppe aspettative e pregiudizi, il film alla fine delude e non riesce a conquistarsi il favore della giuria; Tarantino premia con il Leone d’Oro l’americano Somewhere, di Sofia Coppola e, in generale, la sessantasettesima edizione non si rivela molto fortunata per il cinema italiano.
Poco tempo dopo essere stato proiettato a Venezia, La solitudine dei numeri primi è distribuito da Medusa in trecentottanta cinema italiani; la pressione è notevole visti i precedenti e ci si chiede se il film potrà ottenere maggiore successo, fruito da un pubblico più vasto. A tre giorni dall’uscita nelle sale La solitudine dei numeri primi incassa quasi un milione di euro, superando il film di Goerge Clooney (The American) e raggiungendo il terzo posto nella classifica di gradimento, sei posizioni sopra al Leone d’Oro Somewhere della Coppola.[31] “il Giornale” celebra così l’ormai quasi insperato successo: «Bocciato dalla giuria, premiato dal pubblico. Il film di Costanzo parte bene al botteghino e riporta il romanzo di Giordano in testa alle classifiche di vendita».[32] Sicuramente più fortunata l’esperienza al cinema, con un guadagno più che modesto, la pellicola non riesce tuttavia a eguagliare il successo del romanzo. Il regista ribadisce che il suo lavoro, in realtà, è un vero e proprio «suicidio dal punto di vista commerciale»[33] ed è consapevole che il pubblico preferisce essere rassicurato dalla storia a cui assiste, piuttosto che compiere uno sforzo e accettare un’interpretazione diversa e in qualche modo fuorviante della stessa, non riuscendo però a cogliere, così, il senso profondo del cinema.
Sara Tamburelli
[1] Cristina Tagliabue, Paolo Giordano, un fisico sui generis, in “Il Sole 24 Ore”, 4 luglio 2008.
[2] Paolo Giordano al Lab: un autore che ha i numeri, <http://labonline.it/it/news/Paolo-Giordano-Lab-Autore-Che@n271,2008,0,> (ultima consultazione 12 novembre 2015).
[3] Cristina Tagliabue, Chi è Paolo Giordano,...
[4] Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondadori, Milano 2008, p. 130.
[5] Giuliano Vigini, I numeri di Giuliano Vigini, in “Corriere della Sera”, 11 maggio 2008, p. 32.
[6] <http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9bdb54a0-1ca6-4d9e-b7f3-40625759b
85d.html> (ultima consultazione 14 novembre 2015).
22 <http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-263de28a-4c3d-4716-a8b5-3ad84ec88aa
9.html> (ultima consultazione 14 novembre 2015).
[8] Cristina Del Piano, L’adolescente Giordano, in “Repubblica”, 4 settembre 2008.
[9] Benedetta Marietti, Cover story, la prevalenza della copertina, in “Repubblica”, 16 luglio 2009, p. 46.
[10] Costantino Cossu, Paolo Giordano, tutti gli ingredienti di un caso letterario, in “La Nuova Sardegna”, 8 ottobre 2008.
[11]Giulio Passerini, Con i suoi “numeri primi” Giordano ha conquistato mezzo mondo, in “l’Occidentale”, 13 marzo 2009.
[12] Ibidem.
[13] Colombo Severino, Giordano (ora anche film) insegue la Kinsella. Spunta Augias, torna Murgia post-Campiello, in “Corriere della Sera”, 12 settembre 2010, p.42.
[14] Cinzia Crinò, Matematicamente vincente, in Correggimi se sbaglio. I retroscena tra autore ed editor, Edizioni Santa Caterina, Pavia 2015, p. 113.
[15] Ibi, p. 114.
[16] Ibidem.
[17] Ibi, p. 115.
[18] Michele Concina, Intervista a Paolo Giordano: “Così Torino ha ispirato i numeri primi”, in “il Fatto Quotidiano”, 17 gennaio 2015.
[19] Paolo Giordano al lab…
[20] Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, pp. 129-130.
[21] Cinzia Crinò, Matematicamente vincente, pp. 117-118.
[22] Ibi, p. 118.
[23] Ibidem.
[24] Gloria Satta, Saverio Costanzo porta al Lido quel dolore che diventa horror, in “Il Messaggero”, 10 settembre 2010, p.26.
[25] Natalia Aspesi, I numeri di Costanzo, in “la Repubblica”, 10 settembre 2010, p.56.
[26] <https://erodipassaggio.wordpress.com/2010/10/12/la-cicatrice-esteriore/> (ultima consultazione 15 dicembre 2015).
[27] Ibidem.
[28] Federico Pontiggia, La solitudine dei numeri brutti, in “Il Fatto Quotidiano”, 10 settembre 2010, p.15.
[29] Francesco Borgonovo, La noia dei numeri primi, in “Libero”, 10 settembre 2010, p.38.
[30] Alberto Crespi, I «numeri primi» di Costanzo: un horror dei sentimenti umani, in “l’Unità”, 10 settembre 2010, p.34.
[31] Alessandro Gnocchi, Altro che solitudine, tutti vogliono i numeri primi, in “il Giornale”, 14 settembre 2010, p.30.
[32] Ibidem.
[33] Intervista a Saverio Costanzo…
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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