Una ricerca d’archivio per ricostruire l’iter creativo di due opere miscellanee di Amelia Rosselli, figura poliedrica del Novecento letterario.
La scelta di porre al centro l’opera omnia di Amelia Rosselli, partendo dalle opere d’invenzione poetica e proseguendo per le opere miscellanee, nacque dalla lettura di Sleep, cioè l’ultima raccolta poetica della poetessa. La lettura della sua poesia inglese portò a due quesiti: il primo riguardava la cronologia dell’opera e perché Sleep abbia veduto la luce, in forma completa, solo nel 1992; il secondo, invece, riguardava la scelta di rivolgersi a una figura esterna, Emmanuela Tandello, per la traduzione – quando Rosselli era famosa anche per le sue traduzioni di poesia inglese, ed era capace di fare lo stesso anche con le proprie.
A quel punto si è deciso di approfondire la genesi dell’opera rosselliana, e solo allora, leggendo le lettere private e le fonti archivistiche, si è vista l’abitudine della poetessa a pubblicare dopo lunghe revisioni, e di richiedere spesso l’aiuto di redattori e studiosi. In questo modo è nato lo scopo di approfondire tutta la sua produzione, andando incontro a problemi di carattere filologico e linguistico che spesso restano irrisolti, magari per il materiale di revisione perduto. Questa ricerca, infatti, non si pone con l’obiettivo di sciogliere totalmente le intricate matasse che riguardano la produzione di Rosselli, non ne ha l’ardire. Tenta, piuttosto, di guardare con ampio spettro questi fattori, sottolineando come sia imprescindibile analizzare la lingua, la genesi delle opere, la loro diffusione e l’esistenza stessa di Rosselli in modo corale.
Come già Emmanuela Tandello, Stefano Giovannuzzi e Andrea Cortellessa hanno dimostrato nei loro molteplici studi su Amelia Rosselli, culminati nell’edizione dei “Meridiani” Mondadori e in altri afferenti, ci sono stati diversi momenti in cui la ricerca filologica si è fatta più complessa. È cosa certa che le fasi di riorganizzazione di Documento e Appunti Sparsi e persi saranno quelle più complesse da studiare, perché molte carte di Documento sono andate perdute e perché la selezione che ha composto le due opere non sia particolarmente chiara. Soprattutto, andare a fondo nello studio delle bozze di stampa, e nelle correzioni inviate dall’autrice alle case editrici, è stato fondamentale per capire alcuni meccanismi linguistici e di formalizzazione nella stampa. Questi sono tutti aspetti necessari per comprendere l’evoluzione del testo dalla macchina per scrivere di Rosselli alla carta stampata, ma anche il corrispettivo tra la sua idea di poesia e la prassi editoriale di stampa. Questo verrà studiato nei particolari rispetto a case editrici di rilevanza come Garzanti rispetto a Il Saggiatore, Studio Editoriale e San Marco dei Giustiniani.
Per cercare di rilevare informazioni tecniche da un punto di vista linguistico e filologico si è pensato di strutturare questa ricerca scandendo quattro capitoli con una ricca appendice iconografica, necessaria per vedere come Rosselli operava sul testo per mezzo di annotazioni manoscritte di ogni tipo: linguistiche, letterarie e per l’impaginazione. Di seguito si riproduce una parte del terzo capitolo della tesi, fondato sulle opere miscellanee.
«Je suis un qui a seulement rêvé». Primi scritti (1980)
La raccolta di Primi scritti, come già si vede dal frontespizio manoscritto dell’autrice,[1] viene dichiarata composta tra gli anni 1952-1963: si tratta di una miscellanea in cui ci sono per lo più testi poetici come, Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro), Adolescence, October Elizabethans, Diario in tre lingue, Palermo ’63, e poi una selezione di prose, come My Clothes to the Wind, Sanatorio 54, A birth, Le chinos à Rome, Prime prose italiane.
In realtà, proprio per quanto già affrontato in particolar modo per le raccolte d’invenzione poetica, si è già ampiamente dimostrato come spesso le date indicate da Amelia Rosselli nelle sue opere siano sommarie e arbitrarie: nel caso di Primi scritti, per esempio, in una lettera inviata a John Rosselli il 18 luglio 1951, Rosselli invia una prima versione dello scritto ancora incompleto: «have begun writing a piece in English: it is enclosed. You must give me some sort of parere upon it. Might come to 20 pages circa, a stop right where it is, in discouragement».[2] Prima di vedere la luce, però, Primi scritti dovrà attendere diversi anni: posto che la sua data di composizione reale vada considerata tra il ‘50-‘51 – viste le lettere a John in merito alla costruzione dell’opera –, verrà pubblicato per Guanda nel 1980, dopo aver tentato di progettare una stampa da Einaudi per mezzo di Guido Davico Bonino[3] nel 1967.
La prima traccia di pubblicazione dell’opera, o meglio, della prima sezione che la compone (My clothes to the wind) la si ritrova qualche mese dopo la prima lettera scritta a John a riguardo, dove Rosselli scrive:
«The Botteghe will publish my writing, I have been assured of it, but I doubt that i twill come out in this number. If not, then jin six months’ time. May have therefore the possibility of adding a good many pages to it, which I am taking notes for».[4]
Il titolo di questa prima sezione, tuttavia, comparirà in un’altra lettera a John datata al 25 gennaio 1952 – sarà per questo che Rosselli indica come data di creazione di My clothes to the wind il 1952? – insieme a Forqueless o Bridled.
Per quanto concerne il tema trattato nelle varie sezioni dell’opera, come già spiegato in precedenza, Primi scritti lo si può considerare una miscellanea. In questo senso, tutte le sezioni presenti trattano di un tema a sé, e vengono riunite con l’idea di guardare a quei testi come incapaci di trovare una collocazione da sé in volume unico, e da qui l’idea di creare una raccolta. In quest’ottica, si potrebbe considerare anche il tentativo di Rosselli di tornare alla scrittura e alle carte, visto il modo che lei aveva di rivederle, correggerle e suggerire le impostazioni tipografiche.
Guardando al contenuto, le poesie dedicate a Rocco Scotellaro, ad esempio, sono legate ai temi condivisi con il poeta: si parla di campagna e di ambiente rurale, con gli ambienti un po’ rarefatti e che, presto, diventeranno comuni a entrambi.[5]
Sicuramente la sezione Cantilena è una delle più importanti per via del legame che intercorreva tra Amelia Rosselli e il poeta lucano, che verrà a mancare nel 1953. «Quando capii il suo nome non so se mi si rafforzò il pensiero di essere amico e innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire»:[6] questa citazione di Scotellaro, riportata dal convegno in cui i due si conobbero, non lascia spazio a dubbi. Il legame che Rosselli e quest’ultimo intrecciarono è ancora oggi fumoso e di difficile connotazione, ma sicuramente basato su un profondo affetto e intesa, entrambi di carattere sia amicale che professionale. L’influenza di Scotellaro nella poesia di Rosselli la si potrà ritrovare non solo nelle descrizioni di ambienti rurali e anche nell’impegno politico espresso in poesia, che accomunava sia l’amico che il padre della poetessa, ma anche nei testi da lei prodotti che riguardavano il lutto, la morte e la perdizione.[7]
Sicuramente, la figura del poeta lucano influì sulle opere italiane in prosa: non per Prime prose italiane, che come già scritto, è appena precedente alla morte del poeta, ma per quelle successive, come Diario Ottuso e la Nota.
Anche Sanatorio 54, che come My clothes to the wind, pare abbia più una struttura confessionale e legata alla morte. La natura di queste sezioni vede la scrittura di brani che si intrecciano con la biografia complessa dell’autrice, e soprattutto legato alla defunta madre di Rosselli, Marion Cave. Soprattutto, Sanatorio 54 è importante non solo per la struttura tecnica (appunto, questa forma confessionale prosastica), ma anche perché, con Adolescence, Le chinois à Rome e una parte di Diario in tre lingue, emergono le prime tracce in francese lasciate da Rosselli in un’opera scritta e autonoma, al di là di quelle linguistiche che disseminava nelle sue opere in inglese e in italiano. Il legame con il francese ha una natura diversa rispetto alla lingua inglese: se la seconda è stata quella legata alla sua crescita e maturità, nonché ai suoi studi, il francese era la lingua natia di sua madre. Non sarà un caso che la scelta, in quegli anni, ricada sul francese. La composizione di questi scritti è infatti attorno al 1953-1954: se le sezioni in italiano sono legate a Rocco Scotellaro, quelle in francese alla madre Marion Cave, scomparsa nel 1949.
Come si è già visto, Rosselli ha sempre avuto una ben precisa autonomia nel disporre indicazioni di stampa. Per questo, tra le prime questioni che emergono dai dattiloscritti di Primi scritti – composti sempre con la sua macchina per scrivere IBM e inchiostro nero – è proprio in merito all’organigramma dell’opera stessa, nonché agli spazi da lei indicati tra i paragrafi e, in generale, alle correzioni da lei suggerite.
Prima di tutto, su ogni prima carta delle varie sezioni è presente una lettera alfabetica, chiaramente utilizzata per capire come disporre ciò che compone Primi scritti. Questo denota, considerando la presenza di fogli dattiloscritti pressoché puliti – se non per qualche piccola correzione manoscritta – che il fascicolo analizzato debba essere una bozza pre-stampa, con il tentativo di Rosselli di costruire l’opera nella sua interezza, sia nella sua disposizione che nel dare indicazioni di stampa.
Questo è un dettaglio importante, se si considera che, in virtù di questo, le correzioni da rivedere sono poche e sparute: lo si può vedere già con l’analisi di My clothes to the wind. Nella sua pseudo-confessione, infatti, ci sono diverse correzioni linguistiche, per esempio: souffled (poi corretto in scoffled) discomection (al posto di disconnection, poi corretto a matita); that (corretto in when); atmosphère corretto in atmosphere; lurics in lyrics; miracoulously in miraculously, e poi qualche cancellatura o difetto di composizione della macchina per scrivere, che ha determinato delle parole in cui le lettere sono più vicine di quanto dovrebbero essere.
Per quanto concerne, invece, Cantilene. Poesie per Rocco Scotellaro, a parte il testo molto arioso –tipico della disposizione delle poesie di Rosselli – c’è un tentativo di epurazione dalla raccolta a p. 6, prima esclusa e poi riproposta in coda al dattiloscritto. Nella bozza di stampa di Guanda,[8] però, c’è una nota manoscritta dall’autrice, che sottolinea l’importanza sia della numerazione, per capire la progressione delle poesie – e l’inserimento della poesia n. 6 nell’organizzazione generale – che la separazione tra i brevi componimenti per mezzo di un asterisco.[9] Poco prima della stampa viene, infatti, inclusa la poesia n. 6 che, nella copia del dattiloscritto,[10] era stata indicata come esclusa. Si può immaginare che il fascicolo, che consta di tutta l’opera e delle sue sezioni, sia una copia dell’originale in cui Rosselli ha posto le sue correzioni. Nel caso specifico di My clothes to the wind è stata aggiunta la carta della poesia n. 6, a seguito della scelta tematica.[11] Probabilmente la copia è stata composta poco prima di ricevere la bozza di stampa di Guanda: il motivo di questa teoria trova una ragione nelle carte di Sanatorio 1954.
L’analisi del dattiloscritto appena menzionato, infatti, risulta appena più complessa in virtù della carta scura scelta da Rosselli per il dattiloscritto in francese, scure e consunte: da ciò che risulta dalla lettura delle carte, le correzioni apposte dall’autrice sono per lo più accenti mancati – che in francese sono fondamentali nella pronuncia – e qualche pronome o negazione sfuggite alla poetessa. Sono anche in questo caso correzioni manoscritte, e invece che usare la solita matita – o pennarello, se si ricordano le cancellature di Documento – qui è chiaro l’intervento di una biro blu posteriore.
Rispetto alla considerazione fatta poco sopra, circa alla creazione di questa copia di tutta l’opera di Primi scritti, la ragione che spinge in questa direzione è la nota manoscritta di Rosselli: sbaglio di stampa di Guanda,[12] segnalato a p. 3. Questo può voler dire che l’autrice abbia ricopiato i testi dalla prima bozza di Guanda, e poi abbia avuto dei ripensamenti sulla bozza successiva – da qui l’aggiunta, per esempio, di una poesia che aveva deciso di epurare.
Sulla bozza di stampa di Sanatorio, Rosselli fa le precisazioni indicate già sulla propria copia dattiloscritta, ma soprattutto indica al redattore di 1) iniziare gli ‘a capo’ al terzo spazio e 2) di abbassare le righe divisorie.[13] È proprio in queste carte che Rosselli dà la possibilità di pensare alla teoria descritta sopra: viene segnalata la stessa correzione da lei apposta nel dattiloscritto, cioè on per en. Quindi, vuol dire che la scrittura di quel dattiloscritto o deve essere di poco precedente alla prima bozza di Guanda, oppure contemporaneo. Del resto, entrambe le teorie sembrano valide: Rosselli aveva una cura spasmodica per le proprie carte, ed era solita ricopiare più e più volte.
Adolescence è invece la seconda sezione in francese, con la differenza che, se per Sanatorio 64 si può parlare di un lungo testo in prosa quasi come un ‘confessionale’ – tanto quanto la prima sezione di ASP – rispetto alla morte e al senso di perdita,[14] con questa sezione è definita dalla stessa autrice come esercices poétique 1954-1961.
Per quanto già definito poco sopra, il dattiloscritto presenta già le 9 poesie corrette[15] e predisposte per la stampa, se non per qualche piccola correzione negli ultimi componimenti – per esempio nei casi a p. 6, p. 7, p. 8, p. 9 – che indicano qualche errore di battitura o la mancanza di segni diacritici su alcune lettere[16] per via dell’inchiostro doppio della macchina per scrivere. Diverso è invece il caso di Le chinos a Rome, composto nel 1955, che non solo prevede diverse correzioni in sé per sé, ma prevede anche una ‘nota per l’editore’ posta in calce al dattiloscritto. Ci sono alcune segnalazioni in merito a dove posizionare il rientro,[17] nonché di spostare a sinistra una parentesi a p. 2 per via di uno spazio battuto in più, o correzioni sparute poste a penna sul dattiloscritto.
La novità, tuttavia, resta nella cosiddetta note pour l’éditeur, che Rosselli indica da non stampare: è lì che la poetessa spiega la ragione di alcune scelte linguistiche, alcune «Puis sont incluse peu à peu des mots d’origine douteuse, ou inventés, ou de formation mi-italienne, ou, quelquefois, d’origine anglaise».[18] Di seguito vengono spiegate poi alcune scelte linguistiche, e tra le più interessanti si segnalano: esilaration, dall’italiano esilarare che, in francese, troverebbe corrispondenza in égayer; métapontexes, dalla città italiana di Metaponto; béons, dall’italiano beone; lo stesso vale per l’utilizzo di parole come stand che, in realtà, corrisponderebbe a se tenir debout.[19]
La prima cosa che invece si nota sul fascicolo contenente October Elizabethans (scritto nel 1954) è che il titolo, pensato da Rosselli, doveva essere diverso: The taming of the shrew doveva essere quanto immaginato dall’autrice al momento di concepimento dell’opera, poi corretto con una nota manoscritta con il titolo conosciuto oggi. Ci sono diverse modifiche fatte in corso d’opera: la prima è sicuramente per la p. 2, dove poi, in basso a destra, c’è l’indicazione ‘cut’, come a p. 19; in seguito, persistono delle correzioni minime, come quella che riguarda la p. 8, dove Rosselli indica, con un semplice punto di domanda, se possa essere il caso di modificare la lettera maiuscola di Fantaisies.[20] Si può supporre, in virtù delle minime correzioni, che questa sia una delle ultime copie – ormai corretta, come indicato sul frontespizio – in cui Rosselli ha messo mano. C’è tuttavia una nota interessante, a livello linguistico: a p. 21 viene riportato quello che sembra essere un interrogativo della stessa poetessa. Lepures, usato infatti nel terzo verso, viene accomunato ad hares (lepri in inglese): ma la sua origine è però tutta italiana. O, per meglio dire, latina. Quella parola deriva infatti da una forma arcaica di italiano, cioè lepore, derivata dal latino prima di perdere la o per sincope della vocale intertonica.
Diario in tre lingue, dalla sua, ha la particolarità di contenere testi di lingue diverse, quali appunto quelle care a Rosselli e da lei più utilizzate. Il fascicolo in oggetto è identificato come copia dattiloscritta originaria e riveduta. Eppure, la composizione linguistica dell’opera non è l’unico punto peculiare: anche la disposizione grafica ha una sua ideazione, che però non si limita più a un verso poetico esteso, alla mancanza di lettere maiuscole o a componimenti che possono essere definiti più delle massime che delle vere e proprie poesie,[21] quanto alla composizione forse disordinata delle stesse poesie.
Le prime correzioni riguardano per lo più il discorso grafico: dove inserire parentesi e linee, spazi, nonché qualche parola che viene trascritta male, come Esthétique, corretta più e più volte dall’autrice. Il fattore più importante in una sezione come questa però non sono le solite, ormai perpetrate correzioni di Rosselli, quanto la particolarità dell’impaginazione e la fluidità che viene data al testo, capace di piegarsi alla volontà non solo di Rosselli stessa, ma anche alle variabili del suono da lei tanto ricercate e spiegate nei suoi studi.[22] Come si può evincere dal titolo dato a questa sezione, Diario in tre lingue ha tutta l’aria di essere un canovaccio linguistico di Rosselli, dove sperimenta nuove musicalità e nuove parole. In questo senso però, la bozza in esame presenta solo qualche indicazione circa gli spazi da usare nella disposizione grafica. Infine, dopo un’ampia sezione con una predominanza di francese, – si dipana dalla sezione I alla sezione V – nella VI siamo di fronte ad un pastiche tra inglese e italiano: solo dalla sezione VII inizia ad esserci un maggiore equilibrio tra le tre lingue.
Parlando dell’articolazione del testo e della sua probabile ricomposizione dattiloscritta, guardando il fascicolo è ben evidente dalla differenza di inchiostro che alcune pagine sono state ricopiate in tempi diversi: risulta difficoltoso ricostruire la stesura di queste pagine, ma si parla di almeno due momenti diversi.
Il primo tipo di inchiostro deve essere molto più nuovo e meno consumato: lo si vede dalla scrittura più pulita e dalla migliore visibilità; ci sono però delle altre pagine, mescolate a queste che appaiono più nuove, in cui Rosselli fa uso di un inchiostro più consumato. Se le due sezioni fossero più “ordinate”, si potrebbe considerare l’ipotesi di una sezione finale di Diario in tre lingue composta ormai con un inchiostro vecchio: è però la mescolanza tra questi due tipi di inchiostro che fa capire come Rosselli abbia operato in momenti diversi, di cui però non c’è traccia.
Se per A birth ci sono le carte ormai ultimate con solo un paio di annotazioni sugli spazi,[23] è su Palermo ’63 che la copia riveduta presenta non solo le solite indicazioni sugli spazi, ma è anche prodotta da un altro tipo di carta copiativa, segno che, anche qui, il labor limae ha determinato più e più copie da parte di Rosselli, non solo per assicurarsi di avere sempre a disposizione le tracce di quanto prodotto, ma anche per ritornare liberamente sui suoi testi.
Importante, in questo senso, è la testimonianza della lettera di Amelia Rosselli ad Armando Marchi,[24] con il quale discute, il 10 o 11 agosto[25] del 1987 – poco dopo per la stampa di La Libellula presso Studio Editoriale – in merito alla seconda edizione di Primi scritti, coadiuvata dalle bozze. Tuttavia, in merito a questa stampa, Rosselli ha diversi quesiti rispetto agli appunti da lei già lasciati: le bozze in sé saranno poi analizzate nel paragrafo seguente sui materiali preparatori.
Prima di tutto, Rosselli non si limita più a suggerire sparute modifiche, ma anzi le sue descrizioni sono abbastanza precise, rispetto alla vera struttura dell’opera. Per esempio, per quanto riguarda Adolescence, suggerisce di usare il metodo di una pagina per pagina, visto che l’autrice stessa considera importante quella sezione per mostrare la sua evoluzione letteraria. Per lei, la sezione sopra nominata diventa molto importante, tanto da andare a discapito di Diario in tre lingue, che vorrebbe «prendesse meno spazio nel libro», rispetto alla prima edizione e che, in effetti, Rosselli lamenta «di soverchia importanza». Rispetto alla questione note manoscritte sull’opera, ci sono le normali indicazioni tipografiche sulle spaziature e il carattere più piccolo, decisione in contrasto con la struttura della collana “La Piccola Fenice” in cui era stata stampata l’opera stessa. Tra le alte cose, Rosselli lascia una traccia abbastanza evidente nella struttura del libro in un’intervista: «Ho preso otto quaderni, ne ho trattenuti, trascritti com’erano a macchina per scrivere, e buttati gli altri. […] Ma ho dovuto buttar molti, se no proprio era un eccesso inutile».[26] Questo segnala che anche qui Rosselli abbia lavorato con le cesoie, un po’ come per Documento.
Preso in esame Le chinois à Rome, Rosselli spiega che lo vorrebbe strutturato proprio come il dattiloscritto originale, che lei stessa allega alla lettera: la motivazione dietro tale scelta è quella di non essere stata ascoltata durante le prime e seconde bozze, né di aver ricevuto la terza bozza promessa. In generale, l’autrice forse appare un po’ infastidita da come siano state gestite alcune cose nella prima edizione di Guanda, e ha tutta l’intenzione di rimediare in questa sede. C’è menzione anche per le note pour l’éditeur, che per lei potrebbe essere posto in calce alla sezione o prima\dopo l’indice.
Di base, comunque, da questa lettera si evincono due cose: per prima cosa, che Rosselli aveva molto a cuore la sezione di Adolescence, ma che soprattutto aveva intenzione di cambiare totalmente la struttura del libro in oggetto, tanto da suggerire un cambio di impaginazione e struttura del volume per dar lustro, in particolare, alla sezione sopracitata. Dettaglio importante, tuttavia, per la ricostruzione della stampa delle opere rosselliane, è il seguente. Nell’ultima parte, infatti, Amelia Rosselli esplicita di voler avere il tempo per seguire «la traduttrice di Sleep»[27] a metà settembre, quindi libera da ogni impegno con Guanda e Marchi. In quella sede si parlò di un volume di circa cento pagine in inglese, che però doveva essere tagliato. Come già visto in precedenza, la questione non si risolverà così facilmente, e la struttura di Sleep le occuperà più tempo del previsto.
La bozza di stampa è stata utile per ricostruire il processo di evoluzione del testo, da semplice dattiloscritto a revisione della seconda edizione, che però non vedrà mai la luce. Dalle indicazioni fatte da Rosselli sulla bozza, si può immaginare che questa sia la bozza inviata ad Armando Marchi, soprattutto in virtù della poesia di Cantilena, inserita nella bozza di stampa e menzionata nelle righe del 10\11 agosto proprio come nuova poesia da pubblicare insieme a tutto il resto del volume.
Il voluminoso plico si apre con le solite, ormai abitudinarie annotazioni in merito agli spazi di stampa: ma è con Cantilena che abbiamo il primo, vero intervento formale. Infatti, Rosselli indica in modo ben preciso lo spazio in cui inserire la poesia dattiloscritta ex novo, cioè tra le poesie numerate come 5 e 7. Se Adolescence, invece, reca solo le condizioni espresse già nella lettera e nel paragrafo in questione, è da Le Chinois à Rome che la minuzia di Rosselli diventa preponderante – non che in precedenza non ci sia stato spazio per la sua voce. Le opere in precedenza, quindi Sanatorio 1954 e Prime prose italiane, infatti, non hanno particolari ingerenze se non quelle degli spazi o delle linee tra i paragrafi rese meno doppie.
Per quest’altra sezione in francese, già di per sé importante per Rosselli tanto da inserire una note pour l’éditeur, Rosselli si cura soprattutto della sezione Promenade.
Importante, tra le altre cose, a livello d’impaginazione la nota «originariamente era sistematicamente la parola intera ad essere unità, e graficamente anche, come si nota dai margini a destra». È in effetti una particolarità richiesta proprio da Rosselli in virtù del testo, e dal dattiloscritto si vede chiaramente le parole ai margini destri non vanno mai a capo,[28] così come si nota anche che nella bozza di stampa era stato totalmente ignorato. Come già visto in edizioni precedente a questa,[29] Rosselli vedeva nella pagina non solo un mezzo per produrre i propri scritti, ma uno spazio vero e proprio dove le sue parole dovevano collocarsi con un preciso ordine. E soprattutto, quando questa sua prerogativa – non sempre capita – non veniva rispettata, spesso determinava anche frequenti cambi di editore.[30]
Tornando comunque al discorso sulla note pur l’éditeur, che Rosselli pensava di inserire in calce alla sezione o prima\dopo l’indice, trasmette alcune note linguistiche sul francese. È in questa sede che Rosselli spiega che diversi termini:[31] «Sono inclusi poco a poco parole di origine dotta, o inventati, o dati dall’influenza del mio italiano o, talvolta, di origine inglese».[32] Tra le parole inventate è giusto menzionare bruier, proveniente da “bruit”, oppure décolorisé e avidvide, tutti inventati.
La sezione seguente è, invece, la problematica Diario in tre lingue: fin da subito considerata da Rosselli come una sezione da “rendere più piccola” in virtù di altre, evidentemente da lei preferite, l’impaginazione resta di certo il tratto peculiare di questa parte dell’opera. Anche solo definirla è difficile: è una raccolta poetica? Di prose, inframezzate da segni grafici relativi agli schemi del suono, o semplicemente uno spazio che Rosselli ha definito per ragionare sui suoi tecnicismi? Forse la cosa migliore sarebbe definire Diario in tre lingue in questo modo, come un’opera fluida e di difficile definizione.
Venendo però a quello che è oggetto di questi studi, la questione è la seguente: rispetto ad opere meno complicate da un punto di vista grafico – come per esempio Chinos à Rome, appena precedente – i tecnicismi di Rosselli nelle bozze sono meno evidenti, forse perché, in quest’occasione, il tipografo è stato capace di seguire i dettami della poetessa. Sorprendentemente, nelle bozze riviste si trovano solo delle minime indicazioni per gli spazi, che forse sulla carta stampata sono più stretti rispetto a quelle di una macchina per scrivere. Con un enorme paradosso, le ultime due sezioni, quindi A birth e Palermo ’63 presentano molte più indicazioni, se si considera che persino i titoli vengono rivisti da Rosselli – come già segnalato nella lettera a Marchi – e, con essi, gli spazi. Sorprende tuttavia che, nonostante sia questa una bozza rifatta dalla prima edizione di Guanda del 1980, presenti degli errori che l’autrice stessa deve correggere. Si tratta della poesia a p. 127 dove è l’autrice a segnalare che, forse, è il caso di non inserire il rientro per far stare una parola non isolata.[33]
«La libertà è perduta». Appunti sparsi e persi (1983)
«È chiamata Appunti, con una mia prefazione, ma sono in realtà molte poesie con tutta una sezione finale di appunti scritti a mano o estrapolati da poesie che ho scartato».
Così Rosselli, in un’intervista a cura di Guido Galeno,[34] descrive l’opera frutto di una seconda rielaborazione di Documento. Come già suggerito più e più volte fin dal paragrafo dell’opera appena citata, le due sono imprescindibili l’una dall’altra: e soprattutto, per quanto in Appunti confluiscano solo alcuni degli scarti dell’opera del 1979, in realtà altrettanto importanti sono anche i nuovi componimenti.
La stessa poetessa definisce come Appunti quelle brevissime poesie, spesso composte solo da un paio di versi: è per questo che la struttura di Appunti sparsi e persi si può dire consti di un principio fondamentale, già espresso da Rosselli nella prefazione all’opera: «intendevo essere casuale nel mettere insieme sia poesie sia appunti che avevo scritto contemporaneamente a Documento».[35] Dunque, il processo di analisi delle carte non si conclude nemmeno con la pubblicazione dell’opera sopracitata: Rosselli ci ritorna per capire quali poesie possono essere raccolte in questa miscellanea, in cui solo pochi componimenti si considerano posteriori a Documento: si tratta delle due sezioni nominate Nonnulli e Sequenze. Di altra natura importante per comprendere la nascita differente delle poesie contenute nella raccolta, sono le carte che chiamate Appunti sparsi, in cui Rosselli dattiloscrive le poesie brevissime che, l’autrice aggiunge, sono da «leggersi una dopo l’altra ma separatamente».[36] L’autrice ne fa duplice copia: in una sono riportate le date di composizione, nella seconda invece sono segnalate le pagine del dattiloscritto da lei realizzato. Proprio per questo motivo, si presume che queste carte abbiano avuto più una natura privata che di referenza per la pubblicazione.
La raccolta vede la luce nel 1983 per mezzo della casa editrice-cooperativa AeliaLaelia. Rosselli informa il fratello John con una lettera del 6 febbraio 1983: ciò che però determina gli accordi di stampa è una lettera di Beppe Sebaste[37] – che infatti è spesso citato anche nel dattiloscritto di ASP.1 – indirizzata a Piero Gelli e Garzanti per chiedere il consenso di pubblicare Rosselli.[38] «[…] È il libro più comprensibile alle persone non addette ai lavori, il meno letterario».[39]
La parte più consistente dell’opera è, come già preannunciato, composta per lo più da componimenti esclusi da Documento. La scelta che ha spinto Rosselli a costituire questa nuova raccolta è stata dettata dal desiderio di stampare quelle poesie, nonché dalla richiesta di riviste di ricevere nuovi pezzi, e di consegnare alla stampa una parte di ciò che aveva escluso nell’opera sopracitata.
Si è già detto come Documento fosse composto, per informazioni trapelate dalle lettere con John, di circa 500 poesie: se si sommano le circa 190 dell’opera stampata sotto il nome Documento e quelle di ASP.1, circa 90, si comprende come in realtà sia andata perduta una parte molto consistente dell’opera stessa.
L’organizzazione del dattiloscritto che compone Appunti sparsi e persi è analoga a quella già vista in Documento: ancora una volta ritornano le datazioni in alto a destra, ancora una volta ritornano le copie in carta carbone[40] – segno che i gruppi in sequenza dei componimenti, già citati nell’analisi di Documento, erano molto più ampi di quanto si credesse. Numerosi sono comunque i casi di poesie non più inedite, come per esempio p. 6, ceduta a Gualtiero de Sanctis,[41] p. 9, in cui si segnala la cessione della poesia alla rivista “Tabella di marcia”, per il giugno dello stesso anno di Appunti sparsi e persi; per la poesia[42] a p. 10, destinata alla rivista “Stilb”;[43] p. 11 per la rivista “Contrappunto” e confluita in un’antologia.
Al di là delle poesie di Documento, che come già spiegato, constano del periodo intercorso tra il 1966 e il 1973, in Appunti sparsi e persi ci sono anche delle poesie totalmente inedite, che poi comporranno le sezioni Nonnulli (settembre 1977) e Sequenze (1974-1976). Saranno però le riviste più care a Rosselli ad accoglierle per prime, anche prima della pubblicazione del volume. I primi esempi di pubblicazione di queste sezioni grazie a “il Manifesto” insieme a “Nuovi Argomenti”, le riviste con cui Rosselli ha avuto da sempre un legame stretto. Infatti, sono state inviate le quattordici poesie di Sequenze alla redazione di Luigi Pintor.[44] Mentre, per quanto concerne la rivista di Alberto Carocci[45] e Alberto Moravia,[46] stamperà le dieci poesie di Nonnulli nel n. 61.
Stesso discorso vale per le 12 poesie destinate alla rivista “Alfabeta” per suggerimento di Antonio Porta. Le poesie sono indicate con le date di composizione e il numero di pagina dal dattiloscritto ASP.1, cioè a p. 2, p. 23, p. 25, p. 27, p. 33, p. 34, p. 36, p. 42, p. 43, p. 49, p. 52, p. 55. Come di consueto, Rosselli darà indicazioni al grafico rispetto all’impaginazione, sottolineando il suo desiderio di evitare la manipolazione delle poesie. A quel punto, preferirebbe piuttosto inviarne altre più adatte alle esigenze richieste dalla rivista stessa[47] che rischiare un taglio, una aggiunta e in generale una modifica, di quelle già inviate.
Sono numerose le scelte adottate da Rosselli in merito a questi componimenti: che non siano stati ritenuti tematicamente adatti a Documento sembra ovvio, soprattutto considerando che molti sono stati pubblicati, in momenti diversi e spesso isolati, in riviste. Sempre ad avvallare la tesi per cui le date impresse da Rosselli sono da considerarsi sommarie, si guarda al caso del componimento a p. 57, in cui l’autrice segna probabilmente 10/2/72. È per questo motivo che si è proceduto a sezionare sia Documento che Appunti sparsi e persi e, in generale, tutta la sua opera omnia, cercando di ricostruire i gruppi di componimenti ricopiati insieme, con la sommaria cronologia che è stata data all’opera.
Materiali preparatori
Il secondo dattiloscritto di Appunti sparsi e persi non si limita a raccogliere, come in ASP.1, notizie relative alle stampe in rivista dei singoli componimenti, ma si tratta di un vero e proprio studio per l’impaginazione. La memorizzazione e l’appunto relativo alla lunghezza dei componimenti, ai versi che li compongono, al numero di stanza, sono tutte funzioni volte a immaginare la stampa del testo stesso.
È per questo che Rosselli individua quelle che sono le poesie più brevi, con l’annotazione da leggersi una dopo l’altra separatamente.[48] Saranno però le due sezioni sopracitate ad avere maggior lavoro di limatura, sicuramente perché si tratta di materiale nuovo e inedito. L’unica eccezione si tratta con la poesia a Pier Paolo Pasolini, già presente in ASP.1. e scritta dopo tre-quattro settimane dalla morte di Pasolini.[49] Le correzioni manoscritte visibili su ASP.2. sembrano comunque frutto di una fotocopia\carta carbone, quindi si è sprovvisti del passaggio intermedio di correzione del componimento. Senonché è corretto a favore di sennonché, rinvendoti è modificato in rinvenendoti. L’influenza del francese nel primo caso è piuttosto visibile (le doppie vengono spesso pronunciate come se ci fosse una sola consonante), mentre nel secondo caso sembra una mescolanza tra il verbo rinvenire e vedere (rinvenendoti+vedendoti): solo alla fine viene utilizzata la forma italiana in uso. Un discorso analogo accade anche per assopì, che Rosselli corregge con assoppì: la teoria dietro l’invenzione linguistica proviene da assoupir francese, che succeduto alla parola pallida nel v. 20, nella lettura può provocare la sovrapposizione dei suoni – o almeno, così poteva essere nella mente di Rosselli.
Per quanto concerne la costruzione di Sequenze, invece, la trascrizione delle poesie (o meglio, dei loro titoli) non è molto chiara: o quantomeno, non sono chiari i suoi simboli e il loro uso. I simboli utilizzati da Rosselli per appuntare qualche componimento sono descritti come appunti con cerchietti per “Il Cabold”,[50] ma a parte questo, l’unica teoria individuabile è che i cerchi a destra indicano le selezioni per la rivista sopracitata, mentre i cerchietti a sinistra quelli della rivista “Stilb”.
Vista la sua natura di «quaderno di appunti», come in realtà sarebbero anche gli altri volumi indicati in questo capitolo, Appunti sparsi e persi ha la funzione, non solo letteraria, di apportare nuove poesie che altrimenti, dopo Documento, sarebbero andate perdute. L’opera in questione, infatti, resta importante perché questi sono gli ultimi tentativi di Rosselli di tornare alle carte poetiche: se Impromptu resta l’ultima opera effettivamente scritta ex novo e tutte le altre sono solo rimaneggiamenti di carte del passato, queste rappresentano anche il tentativo della poetessa di tornare al suo mestiere, o quantomeno avvicinarvisi ancora.
Il tentativo, però, sarà quasi fallimentare: a parte l’ultima pubblicazione in rivista nel 1995 con il componimento Pavone/Prigione, Amelia Rosselli smetterà di scrivere.
Conclusioni
Analizzare verso per verso le poesie di Amelia Rosselli ha determinato il raggiungimento di diversi obiettivi: il primo riguarda sicuramente l’approccio alle carte editoriali che ha permesso la valutazione un mondo a sé stante e capace di trovare una definizione univoca. Fin da Pasolini c’è stato il tentativo di attribuire al lapsus rosselliano una componente casuale, automatica. In realtà, i suoi tecnicismi trovavano le proprie radici in una profonda conoscenza della metrica e della musicologia, determinando uno studio analitico anziché casuale. Soprattutto, se si considerano gli studi fatti sulle bozze, sulle note all’editore e anche sulle lettere editoriali in cui si motivano certe scelte – come il caso di Impromptu, dove persino Giovanni Giudici muoveva obiezioni su certe scelte lessicali che Rosselli voleva preservare e mostrare al pubblico – si comprende che nulla è lasciato al caso: questo vale per la scrittura, per i temi trattati, per la lingua e anche per l’impaginazione delle opere stesse. Che Rosselli abbia dovuto adattarsi ai sistemi editoriali dell’epoca, soprattutto in casi come quelli di Garzanti, è un dato di fatto: questo però vuol dire che tutta la sua opera vada rivista come un organigramma completo, che inizia dalle sillabe e termina con l’impressione su carta. Dopo la scomparsa di Rosselli, gli studi a lei dedicati si sono per lo più rivolti alla prospettiva tematica delle sue poesie e studiandone il significato, con il fine di analizzare concetti spesso oscuri che emergevano dai suoi versi e dalla rara prosa da lei scritta.
Da qui il secondo punto risultato di questa ricerca. Non sono mancati di certo i tentativi di ricostruire l’intricata storia editoriale delle sue opere, dove Documento resta ancora un enorme punto interrogativo nel mondo letterario italiano. Se studiato in una prospettiva più globale e funzionale all’evoluzione della lingua rosselliana, Documento non è più solo la raccolta da cui molte poesie sono confluite in un volume ulteriore o di cui molte sono andate perdute, ma rappresenta l’evoluzione e il distacco da questa metrica nuova – da qui l’idea di definirla lingua rosselliana, né lapsus né altro. Impromptu, da questo punto di vista, è solo la normalizzazione di Documento in poemetto.
Se si considera che la mente di Rosselli fuggiva da una lingua all’altra, o meglio, da un’opera all’altra – da Primi scritti a Documento dal 1953 al 1973, con una interruzione fino a Impromptu nel 1981 – e che gli esercizi letterari variavano a seconda degli studi da lei compiuti, si comprende che, in un’ottica globale, Documento assume tutta un’altra forma. Non è più l’opera di difficile contorno, ma anzi, il raggiungimento di una struttura poetica soddisfacente. Del resto, Amelia Rosselli non scriverà nulla per ben sette anni, e se di certo si può pensare che fosse concentrata sulla sua salute psichica così fragile, dall’altro la parte di sé dedita alla poesia doveva cercare una nuova forma in cui pensare le parole e la metrica.
Le due questioni, quindi, si fondono: la risoluzione degli esperimenti linguistici e la complessa salute psichica portano Rosselli a non scrivere più dopo Impromptu, se non per qualche sparuto intervento su riviste o le traduzioni a sua cura. Un cambio di prospettiva di rapporto al testo inizia con Sleep, raggiunge il suo apice con Documento, e con Impromptu la sua fase finale: anche le bozze sono più pulite e la lingua rosselliana si normalizza. La vena creativa, lo studio, la pazienza anche di dedicarsi a note all’editore, spiegazioni e tentativi di rendere la pubblicazione lineare con il testo prodotto, si esauriscono.
Così emerge il terzo punto di analisi di questa ricerca: con il distacco progressivo dalla poesia, anche il carattere combattivo di Rosselli atto a far rispettare le sue decisioni sulla stampa inizia ad affievolirsi. Sembra riecheggiare in Rosselli lo stesso «non scriverò più» di Cesare Pavese. C’è un certo abbandono alle decisioni degli altri, lei che aveva sempre impiegato lettere su lettere a spiegare persino gli spazi da inserire tra un distico e l’altro. Rosselli fa addirittura emergere, in una lettera a Giorgio Devoto, una delle sue turbe psichiche relative alla CIA e al timore di non sopravvivere: mai accaduto prima di quel momento nelle lettere editoriali analizzate, né dopo. Il suo carattere muta, diventa più arrendevole, fino a diventare meno attaccato alla poesia, allo studio e alla vita.
Questo comporta lo sviluppo che tutti sanno, quando la solitudine e la malattia prendono il sopravvento, insieme all’estraneazione dalla poesia e dalle parole che l’avevano accompagnata per tantissimi anni. C’è un tentativo di ritornare alle carte scritte anni prima, da qui la pubblicazione di La Libellula, Diario ottuso, Appunti sparsi e persi e Sleep, ma non è sufficiente nemmeno questo: Rosselli non torna a scrivere. Sembra quasi darsi un’altra occasione, facendo scorrere altri sette anni da Sleep (1989, Rossi&Spera) e alla revisione necessaria, al 1996: come accadde, del resto, tra le poesie che composero Documento e gli anni di vuoto per Impromptu. Quei sette anni però non bastano: «stona la vita si spegne da sé», recitava in Documento. Dopo l’11 febbraio del 1996 anche la sua si spegne, e con essa tutte le domande a cui oggi si tenta di rispondere, lasciando inevitabilmente degli spazi vuoti e irrisolti.
Serena Gherghi
[1] Fotografia in Appendice n. 75. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[2] C’è anche una correzione dell’autrice in merito al numero di pagine contenute: il 20 riportato è in realtà prodotto da una modifica del numero 40 nel manoscritto autografo di Rosselli. «Ho iniziato a scrivere un testo in inglese: è ancora incompleto. Dovresti darmi un parere a riguardo. Dovrà essere di circa 20 pagine e non oltre, anche se sono dubbiosa». Traduzione a nostra cura.
[3] Guido Davico Bonino (1938-) è un critico letterario e saggista che, dal 1961 al 1978 collaborò con la casa editrice Einaudi grazie a Italo Calvino.
[4] «Le Botteghe (Oscure; rivista, ndr.) pubblicherà quanto ho scritto, è confermato, ma dubito che sia pubblicato in questo ultimo numero. Altrimenti, accidenti, si perderanno altri sei mesi. Potrei però aggiungere altre pagine “buone”, per cui sto già lavorando e prendendo appunti.» Traduzione a nostra cura.
[5] Amelia Rosselli si ritroverà a viaggiare molto per la zona rurale: e per questo, si sentirà non solo legata ai luoghi, ma ancora di più a Scotellaro.
[6] Rocco Scotellaro, Un lago nella memoria in Trasparenze, a cura di Emmanuela Tandello e Giorgio Devoto, San Marco dei Giustiniani, Genova 2016.
[7] Un esempio può essere anche quanto contenuto in Diario Ottuso.
[8] Fotografia in Appendice n. 76, 77, 78. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[9] Rosselli chiamava l’asterisco “stellina”, ed è così che è nominato all’interno della sua nota manoscritta.
[10] Il fascicolo di riferimento è PS.16, cartella 23.
[11] La motivazione utilizzata da Rosselli nella bozza di stampa è la seguente: «crea ritmicamente rapporto con la 17esima poesia».
[12] Fotografia in Appendice n. 79. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[13] Fotografia in Appendice n. 80. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[14] Sicuramente ci sono riferimenti al suo mon amie, Rocco Scotellaro, scomparso nel 1953 e con cui Rosselli aveva sviluppato un legame poetico e amicale di una certa rilevanza.
[15] Segnalato per mezzo di nota manoscritta dell’autrice.
[16] È il caso della poesia a p. 7, dove una correzione manoscritta segnala l’utilizzo della i con dieresi (ï).
[17] Rosselli indica il 24esimo spazio con una nota manoscritta a matita.
[18] «Sono incluse, in modo graduale, parole di origine dubbiosa, o inventata, o dovute all’influenza della mia lingua italiana o, a volte, dall’influenza della lingua inglese.» Traduzione a nostra cura.
[19] Fotografia in Appendice n. 81. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[20] Fotografia in Appendice n. 82. Poi, come si vede dalla bozza di stampa, Fantasies rimane con la lettera maiuscola. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[21] Si fa riferimento a diverse poesie di Rosselli, che hanno la peculiarità di essere composte da un solo verso, spesso eponimo.
[22] Un esempio potrebbe essere il saggio introduttivo a Variazioni belliche.
[23] Al contrario di Diario in tre lingue, A birth è stato ricopiato in una sola sessione, con la sola ipotesi delle ultime due pagine composte in carta copiativa, per via dell’inchiostro un po’ irregolare.
[24] Armando Marchi (1955-2008) è stato redattore di Guanda dal 1986 al 1988, per cui non curò la prima edizione, pubblicata invece nel 1980. Questa appena menzionata, infatti, venne curata da Giovanni Raboni.
[25] La data è incerta: infatti, Rosselli ne propone due diverse, prima di riscrivere l’11 agosto a matita: si può pensare che questa sia la data effettiva, ma non sapendo quando sono state apposte le note manoscritte, può essere solo un’ipotesi – come spesso accade quando Rosselli pone delle date.
[26] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 206.
[27] Si tratta sempre di Emmanuela Tandello, l’attuale curatrice dell’opera in inglese di Rosselli.
[28] Tra le altre cose, il dattiloscritto reca anche la dicitura ‘versione originale per spaziatura originale’.
[29] Il riferimento è soprattutto a Variazioni belliche.
[30] L’unica eccezione è poi il ritorno a ‘casa Garzanti’, che detiene oggi diverse opere poetiche di Rosselli.
[31] Fotografia in Appendice n. 81. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[32] Testo originale: «Sont inclus peu à peu des mots d’origine douteuse, où inventés, où de formation m-italienne, où, quelquefois, d’origine anglaise». Traduzione a nostra cura.
[33] Fotografia in Appendice n. 83. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[34] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 204.
[35] Amelia Rosselli, L’opera poetica, Mondadori Editore, Milano 2013, p. 688.
[36] Fotografie in Appendice n. 84-85. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[37] Beppe Sebaste (1959-) è fondatore della casa editrice AeliaLaelia insieme a Carlo Bordini, Giorgio Messori, Daniela Rossi e Charles Debiere.
[38] Si ricorda infatti che Rosselli è stata pubblicata, per la maggior parte del tempo, dalla casa editrice Garzanti.
[39] Guido Galeno, Orazio Converso, Non è la mia ambizione essere eccentrica, in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Le Lettere, Firenze 2010, p. 204.
[40] La sequenza in copia carbone blu consta delle carte a p. 4, 15, 18, 21, 43, 49, 50, 51, 59.
[41] Sequenza in dattiloscritto nero: p. 6, p. 7, p. 11, p. 12, 17, 19, 22, 23, 24, 25, 27, 29, 30, 32, 33, 37, 39, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 48, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 60, 63, 65, 66.
[42] Questa nuova sequenza di componimenti, riferibili con un’altra copia carbone nera, vede le p. 8, 10, 13, 14, 16, 20, 26, 28, 31, 34, 35, 36, 38, 40, 61, 62, 64.
[43] Rivista fondata da Fabio Doplicher, durata solo dal 1981 al 1983, era nata con l’idea di una cadenza bimestrale, in seguito non sempre rispettata.
[44] Luigi Pintor (1925-2003) fu giornalista e scrittore, fondatore de “il manifesto” e autore di opere come Parole al vento e La signora Kirchgessner.
[45] Alberto Carocci (1904-1972) è stato giornalista e scrittore italiano, noto per aver fondato la rivista “Solaria” e, solo in seguito, “La riforma letteraria” e “Argomenti”. È grazie a lui se autori come Gadda o Vittorini riuscirono a emergere nel panorama letterario nazionale.
[46] Alberto Moravia (1907-1990) è stato scrittore e saggista, e tra le sue opere più note si ricordano: Gli indifferenti, La ciociara, Il conformista, La noia. Era cugino di Rosselli (poiché nato da Carlo Picherle, fratello di Amelia Picherle, nonna di Amelia Rosselli).
[47] Nel fascicolo ASP.1 è contenuta una lettera, datata al 7 maggio 1983, per la rivista “Alfabeta”.
[48] Fotografia in Appendice n. 84. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
[49] Si riporta la nota manoscritta dell’autrice.
[50] Si riporta la nota manoscritta dell’autrice. Fotografia in Appendice n. 86. Archivio Rosselli (Centro Manoscritti di Pavia).
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
Commenti recenti