«Il massimo del tempo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei. E ne sono contento» confessa in un’intervista del ’79 Italo Calvino, trovando le parole in cui ancora si rispecchiano generazioni di editor e soprattutto ispirando il titolo oltre vent’anni fa delle sue lettere einaudiane raccolte da Giovanni Tesio e ora di una mostra sul suo lavoro editoriale. «I libri degli altri» esposti con lettere, prime edizioni e bozze alla Biblioteca nazionale centrale di Roma fino al 31 gennaio testimoniano, scrive la curatrice Giuliana Zagra nel catalogo, l’impegno «di contribuire alla definizione di una specifica idea di letteratura attraverso la selezione dei libri da pubblicare, ma soprattutto di partecipare alla formazione di una nuova cultura nell’Italia del dopoguerra». Avviene fin dal ’46 quando, dopo l’esperienza partigiana, nella sua Liguria collabora alla promozione del “Politecnico” di Vittorini e definendosi «una specie di propagandista editoriale» fa lo stesso a Torino nella casa editrice dello Struzzo. Qui esercita la sua «scrittura servile», come la chiama, a servizio dell’ufficio stampa e dal ’49, vigilia della morte di Pavese, suo «primo lettore» e maestro, seleziona le opere letterarie della “Piccola biblioteca scientifico-letteraria”.

L’allestimento, cui ha collaborato Eleonora Cardinale, parte proprio dalle opere (come Napoli milionaria! di De Filippo e molti classici) di questa collana, come la “Bur” dalla copertina grigia ma meno fortunata. Intanto il giovane Italo teme di non aver tempo per la sua vena narrativa «con quel sordo rimorso in fondo al cuore che è per lo scrittore lo spettro della propria scrivania che l’attende con la pila dei fogli immacolati». Infatti negli anni ’50 è assorbito dal Notiziario Einaudi che inventa e redige insieme con autori non solo einaudiani, da Bobbio a Pasolini, segnalando soprattutto gli sperimentali “Gettoni” che, pur diretti da Vittorini («crede nel dio nascosto nei manoscritti dei giovani» ricorda dell’amico con cui dirige “Il Menabò”), sono curati per molti aspetti dallo stesso Calvino: dalla scelta del titolo di Rigoni Stern all’editing per la Ortese che «ha scritto un libro bellissimo, dovrebbe ridere e cantare tutto il giorno». La felicità di far libri emerge anche nelle lettere inedite con Elsa Morante conservate alla Nazionale, tra le maggiori curiosità della mostra che ci si augura possa essere portata altrove, forse a Milano in Università Cattolica. L’autrice dell’Isola di Arturo confessa: «adesso sto scrivendo il romanzo che è l’unica cosa che mi dà ore felici»; però aggiunge che «fuori di queste ore non c’è niente altro che mi piaccia e ormai so definitivamente di non essere adatta alla vita». Un’altra amicizia femminile è con Natalia Ginzburg, consigliera di alcuni titoli, come Un matrimonio in provincia della Marchesa Colombi, per la collana “Centopagine” nell’ultimo periodo di vita: piccoli libri di grandi autori che i lettori scelgono come originali consigli di lettura di uno scrittore amato.

Sue sono un’infinità di quarte di copertine (fino agli esordi di De Carlo e del Giudice) influendo così sulla fortuna e l’immagine di un’opera, come lo scrittore-redattore intuisce nel ’64, quarantenne autore delle Cosmicomiche e già consulente esterno dell’Einaudi: «sono uno che lavora a far sì che la cultura del suo tempo abbia un volto piuttosto che un altro. Credo molto in questo aspetto della mia vita». Ma fra molti «libri degli altri» cura anche redazione, risvolti e copertine delle sue opere (è l’ultima sezione della mostra) tanto che quando ripubblica il suo primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno ammette, con un paradosso curioso: «Il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto».

Roberto Cicala


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).