«Non toccate i libri!»: la raccomandazione di una maestra ai propri bambini davanti agli albi di uno stand della fiera della piccola editoria a Roma, chiusa lunedì, è la più curiosa delle contraddizioni del mercato rappresentato da “Più libri più liberi”. L’idea balzana di non far toccare i libri ai bambini è paradigmatica della difficoltà dei cataloghi dei piccoli editori a farsi sfogliare dai lettori potenziali, piccoli o grandi. In una capitale ingrigita i discorsi nei corridoi dell’Eur hanno registrato timori e nervosismo per la crisi crescente e al di là dei buoni numeri, con oltre 50mila ingressi e 350 editori presenti, in fiera l’aria pesante si tagliava col coltello pur nell’interesse per alcuni settori, dall’infanzia alla cucina. Si poteva attirare di più il pubblico? Per alcuni il biglietto d’ingresso costava troppo, sebbene utile a sanare il budget della fiera: 7 euro è quasi un libro per un lettore col portafogli sempre più vuoto, specie se studente o pensionato. E in una città che cena tardi si potrebbe pensare a un orario anche in parte serale. Sono richieste circolate tra gli stand, dove non sono mancati giovani universitari (una sessantina dalla Cattolica di Milano) per i quali il libro è una passione e un sogno professionale nel cassetto. Dopotutto i progetti di questa industria dell’artigianato intellettuale che è la piccola editoria di cultura sono sempre meno visibili in libreria. Proprio la distribuzione è l’anello che non tiene della filiera che soffre la situazione contingente (tanto che il primo distributore indipendente, Messaggerie, si sta alleando con la rete Pde di Feltrinelli per fare economia). Ma dal momento che la crisi resta e ancora per alcuni anni è previsto un trend negativo quali sforzi maggiori possono venire dagli organizzatori della kermesse, Associazione italiani editori in testa? Un’indagine dell’Aie (un sette per cento in meno di edizioni cartacee acquistate nell’ultimo anno pari a cinque milioni e mezzo di volumi invenduti) cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno mettendo in luce un punto percentuale positivo nelle copie vendute dai piccoli editori presenti. Marco Polillo li ha definiti «una punta di diamante attenta e innovativa» che resiste stando in trincea tra mille sacrifici. Imperativi sono: diversificare, innovare i processi, creare progetti culturali in cui il libro faccia parte di un circuito virtuoso e social, credere nel digitale. C’è però chi non ci sta, come Guaraldi che da fuori fiera si lamenta di sentirsi «all’estrema periferia dell’impero, destinato alla scomparsa della specie ». Certo non basta lamentarsi ma dimostrare imprenditorialità sul fronte quotidiano della crisi sapendo mantenere la qualità, per esempio vivendo l’e-commerce come una soluzione anche per il mercato fisico e non un problema, a dispetto dei 9,6 milioni di visitatori unici mensili di Amazon. Giuliano Vigini tempo fa aveva citato il Qoèlet invitando a non «correre dietro il vento» ma essere agili come gazzelle per cogliere le opportunità e acrobati per trovare l’equilibrio idoneo a passare indenni tra i rischi di oggi. I piccoli all’Eur puntano su questo, anche con strade alternative nel canale distributivo. Servirebbero però sostegni pubblici meritocratici, come in altri Stati. Un tempo ci si cullava nell’idea che «piccolo è bello» ma la formula non vale più; piccolo ora è difficile. L’augurio è che non ci siano più maestre a sgridare di non toccare i libri come i genitori della Matilde di Roald Dahl per i quali la tv doveva bastare a viziare la figlia contro i libri. Ci vuole un fiera che inviti a ben altro: «Viziatevi di libri!».
Roberto Cicala
(editoriale in “Avvenire”, dicembre 2014)
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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