La genesi e la ricezione critica di 3012, romanzo fantascientifico di Sebastiano Vassalli, ricostruite attraverso le carte conservate nell’archivio dell’autore.
3012. L’anno del profeta viene pubblicato da Einaudi nel 1995 in edizione cartonata con sovraccoperta e nello stesso anno esce anche nell’edizione CDE (Club degli Editori)[1] di Mondadori. L’edizione cui facciamo riferimento in questa analisi è la seconda che, a differenza dell’emblematica copertina einaudiana raffigurante il disegno di un cane su sfondo bianco, si presenta con una sovracoperta adorna di palazzi spigolosi e colorati posti sotto il nome dell’autore, il titolo e la dichiarazione di genere. Il testo è composto da 244 pagine comprendenti l’introduzione del curatore, il corpo del testo, la nota conclusiva del curatore e l’indice. Si conta un totale di settantasei capitoli ognuno di poche pagine e di argomento settoriale, anticipati da un breve riassunto in forma di sottotitolo (quest’ultimo inserito anche nell’indice finale accanto all’indicazione di pagina e capitolo corrispondenti).
Vassalli realizza la prima stesura del romanzo a mano, con grafia corsiva in rapidograph su fogli bianchi in formato A4 non numerati; le riscritture vengono effettuate su nuovi fogli della stessa tipologia generando cartigli funzionali alla compattezza del lavoro, mentre gli errori sono corretti cancellando interamente parole o frasi. Questa tecnica porta ad avere fogli anche molto lunghi e spessi, che perdono quindi la dimensione originaria e per questo, in alcuni casi, risulta necessario piegarli nella parte eccedente per essere riposti più agevolmente (tre esempi sono il capitolo diciotto, che raddoppia la sua lunghezza, e i capitoli venticinque e ventisette che arrivano addirittura a triplicarla). Terminate tutte le scritture e riscritture, Vassalli si impone «la noiosa battitura del testo – una specie di mantra tibetano – perché finisce con l’essere l’ultima, diversa, stesura».[2] All’interno dei capitoli l’autore segna in rosso i riferimenti e i numeri di nota, note (sedici in totale) che raggruppa nella sezione «note e piè di pagina» posta alla fine del romanzo. Tra i fogli manoscritti si trovano anche una lista, in forma di elenco puntato, di idee e nomi da inserire all’interno del romanzo, tra cui: «Le targhe individuali. Gli adesivi “Io esisto” / Gli animali artificiali (sono la moda dell’epoca) / Le maschere (pudore per il viso, nessun pudore per il sesso)»[3] e i nomi di Doppiavu Rosso Sette e Toto Esposito (che l’autore sottolinea non essere Totó); poco al di sotto, questa volta scritto a matita, si trova una scaletta che rappresenta la successione delle vicende fondamentali allo svolgimento del libro e al cambiamento del protagonista: «L’esame / Il cacciatore / Morte del violinista – gli ammazzano per dispetto il topocane e lui si uccide – / Amore (inizia) / Morte del cacciatore / La clinica del Santo Naso / L’ultimo sacerdote (il tormento del sesso) / Amore (fine)».[4] In matita è anche una bozza del primo capitolo, in cui la presentazione di Antalo è in prima persona.
Per comprendere al meglio il lavoro di rielaborazione dell’opera, si prendono come esempi i capitoli quarantatreesimo, quarantaquattresimo e quarantacinquesimo nelle loro quattro forme: manoscritto, prima copia dattiloscritta, seconda copia dattiloscritta e edizione pubblicata. Si ricorda infatti che l’autore non utilizza computer per la trascrizione dei propri elaborati ma si affida invece alle sue due macchine per scrivere (una vecchia Adler anni Trenta e una vecchia Olivetti) sostenendo che: «La macchina da scrivere mi dà il tempo di riflettere se cambiare una parola oppure no. La scrittura ha i suoi tempi che non sono accorciabili se non a scapito della scrittura stessa».[5] Nei tre capitoli analizzati, la stesura manoscritta presenta correzioni anche di importanti porzioni di testo; purtroppo, la tecnica utilizzata da Vassalli non permette di recuperare la prima bozza dell’opera, poi corretta in un secondo momento. Nel capitolo quarantatreesimo permangono soltanto due differenze visibili tra il manoscritto e l’edizione pubblicata (infatti la prima e la seconda copia dattiloscritta sono identiche, se non per uno sbaglio commesso durante la trascrizione, probabilmente per distrazione, che ha portato l’autore a bianchettare “ventottesima tacca” nella prima versione a macchina): «[…] il topocane, invece, rimase accucciato e continuò a guardare l’uomo affianco al padrone, muovendo […]»[6] diventa nella versione finale del testo «il topocane, invece, rimase accucciato davanti alla panchina, muovendo […]»;[7] e, poche righe più sotto, nel manoscritto Vassalli ripete nuovamente «[…] sulla panchina […]»,[8] indicazione che viene omessa nell’edizione Mondadori di riferimento. Nell’opera manoscritta, inoltre, compare in rosso la nota numero 19, poi modificata con il numero 9 nelle due dattiloscritte (che però va ricondotta, sia per il manoscritto che per le dattiloscritte, alla nota numero 10), e infine indicata con il numero 1 nell’edizione a stampa (nelle edizioni definitive le note sono in piè di pagina). Nel manoscritto compare anche una percentuale in penna verde che riconduce al retro del foglio in cui è riportato «…la caccia agli animali – salvo casi eccezionali – era stata proibita nel sec…».[9] Analizzando la nota che spiega l’evoluzione della caccia sportiva dalle più remote origini fino al trentunesimo secolo, si nota soltanto un cambiamento di tempo, che passa dal passato «[…] per quanto fossero rigorose le leggi che la proibivano […]»[10] al presente «[…] per quanto siano rigorose le leggi che la proibiscono […]».[11]
Nel capitolo quarantaquattresimo invece, si notano discrepanze maggiori tra le diverse fasi di produzione dell’opera. La prima discrepanza da segnalare è la mancanza di una sezione del discorso collocata verso la fine del capitolo nel manoscritto; qui l’autore ha applicato una striscia di carta tagliando ed eliminando una frase a metà, frase che viene però recuperata nelle versioni dattilografiche e nel testo definitivo (la sezione in questione recita: «Diedi tutti i miei soldi a un tale che diceva di essere un ammazza-cacciatori: ma era un imbroglione, che quando ebbe preso anche l’ultimo spicciolo sparì, senza avere fatto assolutamente niente. Allora soltanto capii che dovevo difendermi; ma avevo lasciato passare il momento favorevole, e il cacciatore mi mancò per un soffio»).[12] Se dattiloscritte e testo pubblicato coincidono per quanto riguarda la parte omessa nel manoscritto, differiscono invece su un punto precedente nella narrazione: dove nel manoscritto si trova «Ma il rituale della caccia prevede ancora due fasi, ed è bene che tu lo sappia», nelle dattiloscritte diventa «ma il riturale della caccia, a questo punto, prevede ancora due fasi» e nella versione mandata alle stampe «ma il riturale della caccia, è bene che tu lo sappia, prevede ancora due fasi».[13] In entrambe le dattiloscritte permane il collegamento interno alla frase «Nella prima fase, dopo averti portato alla disperazione, il tuo – cacciatore sparirà […]».[14]
Per ultimo in questa analisi si affronta il capitolo quarantacinquesimo, in cui si trovano diverse modifiche minori, come ad esempio il singolare «il nome» del manoscritto che diventa plurale nelle successive versioni, il cambio di pronomi («C’erano quelli che celebravano sé stessi in termini di efficienza e di coraggio fisico; quelli che esibivano attrezzature modernissime […]; quelli che si vantavano di avere già risolto centinaia di casi […]»[15] nell’edizione finale diventa «alcuni di quegli uomini celebravano sé stessi; altri esibivano attrezzature modernissime […]; altri, infine, si vantavano di aver già risolto centinaia di casi […]»[16]), verbi (il «che esporranno»[17] diventa «da esporre»[18]), preposizioni (da «sullo schermo»[19] a «nello schermo»[20]), e date (l’anno della morte di Archibald Malindi cambia dal 2997 del manoscritto al 3007). Modifiche di entità maggiore si trovano nella fase conclusiva del discorso del cacciatore: «il cacciatore lo guardò sorridendo: “Finalmente!”, gli disse. “Anche tu stai imparando ad odiarmi, come i ventisette che ti hanno preceduto. Odiami pure: una caccia senz’odio è una pietanza insipida, ed è il tuo odio, molto più del mio, che può insaporirla!”»,[21] che non cambia dal manoscritto alle due dattiloscritte, ma nell’edizione a stampa diventa: «“Finalmente! – gli disse. – Anche tu stai imparando ad odiarmi, come i ventisette che ho già ucciso. Odiami pure: una caccia senz’odio è una pietanza insipida, ed è soprattutto il tuo odio che deve insaporirla!”»[22]
Le modifiche grafiche seguono invece le linee guida editoriali: si trova la sottolineatura singola per indicare il corsivo e le virgolette alte al posto delle caporali.
Ricezione critica
L’uscita di 3012: L’anno del profeta non si è limitata a sconvolgere la critica, ma ha messo in atto un vero e proprio dibattito letterario attorno all’opera creando una divisione quasi netta tra sostenitori e oppositori. La violenta reazione al romanzo nasce principalmente per due motivi: il tema dell’odio e l’apparente ode alla guerra alla base della narrazione, che suscitano di per sé l’opposizione degli scrittori «dei buoni sentimenti».[23] Ma a peggiorare la situazione è l’intervista dell’autore su “Secolo d’Italia”, periodico edito da Alleanza Nazionale, in cui «l’intervistatore – nel rispetto dei presumibili interessi dei suoi lettori – ha sollecitato Vassalli soprattutto sui temi della marinettiana “guerra come igiene del mondo”».[24] In questo contesto infatti, l’autore, parlando di 3012, dichiara:
Le idee mi vengono da questo mondo dove ho visto fallire un’utopia che apparentemente era molto bella e, tutto sommato, più piccola rispetto all’utopia della pace: il socialismo. Siccome non esisteva nell’uomo la volontà di socializzare, hanno dovuto imporla con il socialismo reale. Allo stesso modo non vedo lo slancio dell’umanità verso la pace, verso il desiderio di superare gli individualismi. L’utopia della pace dovrebbe essere imposta, diventerebbe la pace reale.[25]
La risposta a questa intervista non tarda ad arrivare sulle pagine della “Stampa” con il titolo accusatorio Vassalli sposi la destra, dove tre famosi intellettuali prendono posizioni forti contro le affermazioni di Vassalli: Enzo Biagi, allibito, dice che «quelle sono parole che possono stare in bocca al Marinetti che considerava la guerra come igiene del mondo. Io sto con Maupassant: disonoriamo la guerra. Le altre esercitazioni letterarie non mi interessano»;[26] Bertolucci, a seguito di un ragionamento sui sentimenti umani, sostiene che le dichiarazioni dell’autore bastano per comprendere l’intero romanzo, e Mario Rigoni Stern sottolinea come «quelle di Vassalli mi sembrano idee da destra becera», ricordando come «Mussolini […] pensava alla guerra come allo stato naturale del maschio».[27] Risultano inutili i vari tentativi dell’autore di chiarire le proprie posizioni, a cui Rigoni Stern risponde con una chiusura totale nei suoi confronti definendolo un folle; inoltre queste opinioni si dimostrano tanto estreme da far sorgere il dubbio che non solo i tre maggiori oppositori – ma anche diversi articolisti – non abbiano compreso le reali intenzioni del romanzo, ma addirittura si siano limitati alla lettura della quarta di copertina in cui l’editore Einaudi pone l’accento sul tema provocatorio (solo Bertolucci dichiara apertamente le sue intenzioni dicendo: «non leggerò quel libro»[28]). Più vaga e leggera è la constatazione di Giuliano Gramigna, che si focalizza sui motivi delle violenti critiche ricevute dal romanzo:
Qualcuno ha detto che dopo Auschwitz non è più possibile scrivere poesie. Dopo le guerre totali che alcune generazioni si sentono ancora nelle ossa, è ancora insostenibile leggere, sia pure in una “finzione”, l’elogio della guerra “giusta, santa e bella”. Non è più questione di pedagogia, ma di retorica: i cui echi spettrali non si vorrebbero mai collegare con uno scrittore di qualità come Vassalli.[29]
Alle critiche rivolte espressamente ai temi trattati, si aggiungono poi quelle formali e stilistiche; Renato Barilli accusa Vassalli di effettuare, anche alla luce del romanzo in questione, una clonazione: l’autore «non si impegna a riscrivere, a “rifare” motivi già depositati in una nobile tradizione del romanzo […] ma più semplicemente, egli ci dà dei “cloni”, dei calchi. […] il tutto, però, all’insegna della gratuità, dell’immotivazione, di un’abilità fine a se stessa»;[30] Corrado Augias, di fronte all’opera, evidenzia come non si tratti «di fantascienza ma solo dell’espediente classico di allontanare la vicenda dal tempo (in altri casi lo si fa con lo spazio) per dare evidenza ai connotati da apologo morale del racconto»,[31] definendolo un «romanzo volterriano: riesce a far sorridere anche quando racconta tragicomiche atrocità o quando sfiora un sospetto proibito: tanta violenza (3012 o 1995 poco importa) non dipenderà dalla mancanza di quella somma e specifica violenza che è la guerra? Eccolo, il tabù violato».[32] Di simile parere è anche Giuseppe Bonura, che classifica l’opera all’interno della letteratura avveniristica, definendo il lavoro di Vassalli una «vacanza» in quanto «abitare il futuro per un romanziere significa scrollarsi di dosso una quantità enorme di inibizioni e di incertezze. Tutta la responsabilità della fantasia viene attribuita al futuro»,[33] e pone, a conclusione dell’articolo, le sue perplessità sul vero problema del romanzo, ovvero «sapere se ha un senso. Confesso – ammette – che non sono riuscito a risolvere il problema».[34] Edoardo Poggi si concentra invece, nella sua analisi, sul postulato alla base dell’intera storia – ovvero “si stava meglio quando si stava peggio” – «indebolito proprio dalla rigidità del teorema»,[35] e accusa un eccessivo appesantimento della narrazione dato da descrizioni prolisse che costituiscono una guida non necessaria alla comprensione della vicenda; mentre, per quanto riguarda la struttura, la sua critica è forte:
A dispetto del lodevole impegno dell’autore per introdurre nuovi elementi l’effetto finale non muta perché tutto appare meccanico, prevedibile, mentre non bastano certo a risollevare il tono complessivo del libro ammiccamenti satirici (e, a dire il vero, persino un po’ beceri) alla realtà italiana degli ultimi mesi. Il romanzo appare, in altre parole, un colpo a salve, capace di produrre un considerevole rumore ma scarsi effetti sotto il profilo pratico.[36]
Vicino al pensiero di Poggi si trovano Ferruccio Parazzoli, Alcide Paolini e Giulio Galetto: il primo ritiene il romanzo «troppo lungo e disperato […] dove non mancano le trovate e le graffiate satiriche, ma dove il lettore, angosciato, anela che giunga la fine. Il messaggio di Vassalli […] sembra non trovare soluzione in questo romanzo, ma attorcigliarsi e incupirsi»;[37] mentre il secondo, riconosciute «la scrittura […] lieve e perfida, l’immaginazione fiabesca, a tratti buffa»,[38] dà la colpa del malfunzionamento del «marchingegno vassalliano»[39] alla troppa visceralità; l’ultimo invece identifica il problema della storia nel fatto che «la carica ironica e amara dell’apologo è, lungo le 240 pagine, troppo spesso diluita»,[40] paragonando il protagonista al Perelà di Palazzeschi, “profeta” la cui leggerezza – mancante nel personaggio vassalliano – dà forza al romanzo futurista.
Vassalli coglie diverse occasioni per difendere e spiegare il romanzo, approfondire l’idea alla base della quale lo ha creato e, in qualche modo, smentire le false dicerie che lo vedono come un guerrafondaio di destra. Nella sua intervista presso “Avvenimenti”, spiega come parlare dell’odio sia in realtà un modo per liberarsene almeno in parte insistendo sul fatto che «attribuirei i sentimenti raccontati a chi li racconta fa parte dell’Odio universale. […] si tratta di un fraintendimento»,[41] ricordando come la scrittura sia «sempre distanza […] non partecipa della stessa energia delle cose».[42] In risposta all’articolo sulla “Stampa”, l’autore si trova a dover difende la sua «fiaba [che] come tutte le altre fiabe è crudele»[43] dichiarando la sua volontà di voler parlare del più taciuto dei sentimenti, ovvero l’odio, rendendolo il filo conduttore di tutto il romanzo e analizzandolo in chiave universale, dandogli anche un valore fondamentalmente positivo nella sua funzione di motore del progresso: sostiene infatti che «sentimenti come l’invidia, la sopraffazione, la prevaricazione sono ciò che ha mosso la storia. Se l’uomo fosse sempre stato pervaso di buoni sentimenti sarebbe ancora sulle piante».[44] Il suo intento è chiaramente provocatorio, non nasconde la speranza di spingere all’approfondimento e alla riflessione sul tema, ammettendo che «questo libro è antipedagogico perché nella tendenza pedagogica della letteratura vedo la radice di tutti i mali»;[45] inoltre non manca di sottolineare l’intenzione satirica di cui il romanzo è intriso il cui obbiettivo è sottolineare come il futuro da lui disegnato non sia altro che «lo specchio del presente: anche noi subiamo l’intolleranza, il fanatismo, la falsa democrazia, le perversioni della giustizia, della scienza, la disarmonia con la natura e tra gli uomini».[46] Quella di 3012 è una riflessione sull’animo umano e sulla sua impossibilità di trovare la felicità in una condizione di perenne pace; il romanzo di Vassalli vuole essere una dimostrazione di questa teoria: «l’infelicità cresce con il benessere e con la pace».[47] L’autore vuole anche ricordare come la trattazione dell’odio non sia estranea al mondo della letteratura, ma anzi frutto di importanti e famose opere internazionali: «grandi scrittori di ogni lingua hanno trattato, nelle loro epoche, il tema dell’odio, e ci hanno dato grandi personaggi: ma in Italia, oggi, pare che non si possa essere raccontare l’odio nemmeno in forma di favola, senza essere tacciati di fascisti e di guerrafondai».[48]
Nonostante i numerosi attacchi all’opera, un nutrito gruppo di critici difende il lavoro di Vassalli analizzandolo profondamente e schierandosi dalla parte dell’autore contro i diversi articoli a suo sfavore. Fausto Gianfranceschi, in una lettera pubblica indirizzata a Vassalli, incolpa ironicamente l’autore di aver infranto per due volte il regime di par condicio.
Lei, con rara incoscienza, ha violato due volte la regola: concedendo un’intervista al “Secolo d’Italia” organo di Alleanza Nazionale e illustrando, in tale intervista, l’idea che l’odio e la guerra sono componenti ineludibili della storia umana, come si legge nel suo nuovo romanzo 3012; non pago di aver disconosciuto il dogma pacifista della sinistra (che credeva nella lotta di classe, nella rivoluzione, nella liquidazione dell’avversario), ha sommato scandalo a scandalo sostenendo che il Sessantotto fu una rovina per la cultura italiana.[49]
Gianfranceschi, a difesa di Vassalli, riporta alla luce il motivo dell’odio e della guerra alla base di importanti pensieri filosofici, rendendo evidente come le critiche mosse al tema trattato siano del tutto ingiustificate, o meglio, giustificate dalla sola par condicio: «per Eraclito [la guerra] era il principio di tutte le cose, che per Hobbes l’inimicizia tra gli uomini era il fondamento dello stato, che per Hegel i conflitti tra le nazioni assicuravano il progresso della civiltà»;[50] Luca Canali, invece, rievoca i nomi di Vico e Nietzsche per il tema «dell’odio come forza propulsiva dell’agire umano»[51] e la circolarità del tempo. Michele Trecca considera 3012 un «romanzo divertente e parodistico di rocciosa grinta satirica, è fuoco di sbarramento ad alzo zero contro ogni sorta di demagogia e in un colpo solo regola i conti tanto con le miserie degli splendori consumistici e televisivi del postmoderno quanto con il politicamente corretto».[52] Francesco Durante ricorda al suo pubblico come il tema dell’odio non sia una novità nel lavoro di Vassalli, ma una trama sottesa a molte sue opere di spicco, come ad esempio il suo capolavoro L’oro del mondo; evidenzia inoltre come 3012, nonostante sia ambientato in un futuro in cui la società «non può che assomigliare a quella di tante saghe futuribili, accumunate dalla medesima cupezza, venate dalla stessa inquietudine. Mondi come quelli di Bladerunner,[53] per dire – in cui vige un ordine apparente e che celano nelle proprie viscere il germe pericoloso dell’autodistruzione»,[54] rappresenta «il nostro mondo: ugualmente malato, corroso da un’interna pigrizia, da un invincibile cinismo, dalla medesima ignavia contro la quale si esercita l’eroica missione di riportare finalmente la guerra, e con essa la speranza».[55] È lo stesso Vassalli a sostenere che ha «cercato almeno di essere verosimile. In questo, come negli altri miei libri, cercando sempre di tenere insieme le due dimensioni, quella greve della storia e quella della fantasia».[56] Insomma, come sostengono anche Giovanni Bonalumi, Giuseppe Amoroso e Renato Marioni, Vassalli parte sempre dal reale che, enfatizzato ai massimi livelli, appare come pura invenzione anche grazie all’ambientazione futuristica e all’estremizzazione degli eventi più aberranti appartenenti a ogni settore della vita sociale, «scopre i guasti del nostro oggi, la precarietà della democrazia, lo svuotamento delle istituzioni, il declino dell’arte»;[57] «Il suo romanzo, violentemente satirico, va letto, senza tema di sbagliare, come un protratto, amaro e struggente, a un tempo, apologo d’impronta ecologica»,[58] chiarisce Bonalumi; « Costante è la visione negativa, molto negativa, nichilista, del mondo, delle sue false ideologie, delle sue convulsioni»[59] precisa Marioni. Gianstefano Michelucci, Giorgio Bárberi Squarotti e Roberto Cotroneo attaccano direttamente gli oppositori di Vassalli, il primo definendoli degli struzzi pronti a «mettere la testa sotto la sabbia, contribuendo così a rendere ancor più terribile un futuro già di per sé non rassicurante»,[60] spiegando che 3012 «farà molto discutere perché Vassalli non si ritrae di fronte alla provocazione. Non è riguardoso, né salottiero. Anche per questo è grande»;[61] il secondo imputa il moralismo astratto e gratuito alla «totale sordità nei confronti della letteratura che non sia seriosa e possibilmente conformista, e che adoperi gli strumenti della parodia e del gioco»,[62] incapace quindi di comprendere la satira; mentre il terzo, dopo aver polemizzato sull’assurda necessità della critica italiana di contrassegnar ogni opera con un’etichetta di genere, continua dicendo che «qualche giurato ha dichiarato che un certo libro in concorso non l’aveva letto, e che se l’avesse fatto non avrebbe poi votato. Giorgio Manganelli diceva: “non l’ho letto e non mi piace”. Ma era Manganelli e non faceva il giurato ai premi».[63]
[1] Fondato nel 1960 da Arnoldo Mondadori, il Club degli Editori (CDE) è una casa editrice che si ispira ai Book Club americani e inglesi degli anni trenta che si affiancano alla vendita di libri in edicola per raggiungere anche le persone meno abbienti offrendo edizioni a prezzi contenuti. Si occupa principalmente di ri-edizioni di libri già usciti per altri editori e vendita per corrispondenza con formule di abbonamento (prevede la scelta di almeno un libro al mese dal catalogo, in caso contrario ne viene inviato uno automaticamente). Nel 1999 il Club del Libro entra a far parte della nuova società Mondadori S.p.A. estendendo le vendite anche online.
Arianna Marturano
[2] Silverio Novelli, Sebastiano Vassalli: «Come vi racconto l’odio», in “avvenimenti”, 19 aprile 1995.
[3] Sebastiano Vassalli, 3012: l’anno del profeta, manoscritto (ASV).
[4] Ibidem.
[5] Sebastiano Vassalli: lo scrittore che riscoprì il romanzo storico, in “Corriere della Sera”, <https://www.corriere.it/moda/news/16_novembre_21/talenti-corriere-sera-068e4982-b011-11e6-a471-71884d41097a.shtml?page=sebastiano-vassalli> (ultima consultazione: 4 dicembre 2020).
[6] Sebastiano Vassalli, 3012: l’anno del profeta, manoscritto (ASV).
[7] Sebastiano Vassalli, 3012, p. 130.
[8] Ibidem.
[9] Sebastiano Vassalli, 3012: l’anno del profeta, manoscritto (ASV).
[10] Ibidem.
[11] Sebastiano Vassalli, 3012, p. 131.
[12] Ibi, p. 134.
[13] Ibi, p. 133.
[14] Sebastiano Vassalli, 3012: l’anno del profeta, copia dattiloscritta (ASV), p. 122.
[15] Manoscritto (ASV).
[16] Id., 3012, CDE, p. 136.
[17] Manoscritto (ASV).
[18] Ibi, p. 137.
[19] Manoscritto (ASV).
[20] Ibi, p. 137.
[21] Manoscritto (ASV).
[22] Ibi, p. 139.
[23] Id., Ma odiare è di destra?, in “L’Espresso”, 14 aprile 1995.
[24] Nicola fano, Scoppia la guerra di carta contro Vassalli, in “l’Unità”, 13 aprile 1995.
[25] Pier Luigi Vercesi, «Vassalli, sposi la destra», in “La Stampa”, 26 marzo 1995.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Giuliano Gramigna, Vassalli, troppo scrittore per scherzare con la guerra, in “il Corriere della Sera”, 11 luglio 1995.
[30] Renato Barilli, Vassalli 3012: clonazione, in “L’immaginazione”, [n. 118, febbraio] 1995, p. 32.
[31] Corrado Augias, I facili tabù dell’anno 3000, in “Venerdì di Repubblica”, 16 giugno 1995.
[32] Ibidem.
[33] Giuseppe Bonura, Ma la jella ci salverà, in “Avvenire”, 25 marzo 1995.
[34] Ibidem.
[35] Edoardo Poggi, È un colpo a salve contro il presente sparato dal futuro, in “il Piccolo”, 7 aprile 1995.
[36] Ibidem.
[37] Ferruccio Parazzoli, Il futuro? Tutto nero, parola di Vassalli, in “Famiglia cristiana” (n. 16), 19 aprile 1995.
[38] Alcide Paolini, Fissazione della iella: l’energia del futuro, in “Letture” (n. 517), Milano, maggio 1995.
[39] Ibidem.
[40] Giulio Galetto, La pace? Peggio della guerra, in “l’Arena” (119), 6 maggio 1995.
[41] Silverio Novelli, Sebastiano Vassalli: «Come vi racconto l’odio», in “avvenimenti”, 19 aprile 1995.
[42] Ibidem.
[43] Pier Luigi Vercesi, «Vassalli, sposi la destra», in “la Stampa”, 26 marzo 1995.
[44] Ibidem.
[45] Ibidem.
[46] Monica Mondo, Il terzo millennio è già qui: Vassalli e le sue provocazioni, in “il Tempo”, 8 aprile 1995.
[47] Antonella Fiori, 3012, la jella muoverà il mondo, in “l’Unità”, 10 marzo 1995.
[48] Sebastiano Vassalli, Ma odiare è di destra?, in “L’Espresso”, 14 aprile 1995.
[49] Fausto Gianfranceschi, Esplode il caso Vassalli: troppo indipendente per la Sinistra, in “Tempo”, 4 aprile 1995.
[50] Ibidem.
[51] Luca Canali, Quando la guerra è meglio della pace, 25 maggio 1995.
[52] Michele Trecca, Futuro, la pace gronderà lacrime di sangue, in “La gazzetta del Mezzogiorno”, 6 aprile 1995.
[53] Blade Runner è un film fantascientifico del 1982, diretto da Ridley Scott e scritto da Philip K. Dick, in cui viene rappresentato un distopico futuro (2019) in cui il protagonista, il poliziotto Rick Decker (Harrison Ford), dà la caccia ai replicanti (androidi organici fabbricati artificialmente grazie all’ingegneria genetica e impiegati come forza lavoro con una “data di scadenza” dopo la quale vengono giustiziati) fuggiti con l’obbiettivo di eliminarli. La Los Angeles futuristica è un luogo sovraffollato e inquinato, ormai invivibile, motivo per cui le uniche persone che ci vivono sono quelle malate o che non possono permettersi il viaggio verso le colonie extramondo. La città è perennemente avvolta da nebbia e piogge tossiche, le strade sono sporche e piene di veicoli, la popolazione è multietnica, i grattacieli moderni sorgono accanto ad antichi palazzi fatiscenti adattati alle nuove tecnologie.
[54] Francesco Durante, Viva la guerra, unico antidoto all’ovvio dell’odio, 30 marzo 1995.
[55] Ibidem.
[56] Monica Mondo, Il terzo millennio è già qui: Vassalli e le sue provocazioni, in “il Tempo”, 8 aprile 1995.
[57] Giuseppe amoroso, La violenza in agguato, in “Gazzetta del Sud”, 18 aprile 1995.
[58] Giovanni Bonalumi, L’apocalisse annunciata, in “il Corriere del Ticino”, 8 aprile 1995.
[59] Renato Marioni, La putrida palude della pace, in “Giornale del Popolo”, 18 ottobre 1995.
[60] Gianstefano Michelucci, Cos’altro c’è da leggere, in “Milano Finanza” (75), 15 aprile 1995.
[61] Ibidem.
[62] Giorgio Brberi squarotti, Vassalli 3012. Una riuscita parodia del futuro, in “la Stampa”, 22 aprile 1995.
[63] Roberto Cotroneo, Baruffe letterarie fra campi e Campielli, in “L’Espresso”, 23 giugno 1995.
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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