La collaborazione tra la casa editrice Einaudi e il designer Bruno Munari raccontata attraverso le copertine dello Struzzo.
Gli anni del dopoguerra sono quelli in cui la casa editrice Einaudi consolida la sua presenza all’interno del mercato del libro e lo fa senza perdere quell’indole avanguardistica che ne aveva contraddistinto le origini. La figura, che potremmo definire come “intellettuale di servizio”, su cui Giulio Einaudi aveva fondato il lavoro della casa editrice viene rinnovata con l’assunzione di nuovi collaboratori: non solo il già citato Vittorini, ma anche Italo Calvino, Natalia Ginzburg – che gravitava già attorno allo Struzzo ma che da qui in poi assumerà maggiori poteri decisionali – e Giulio Bollati, che proprio in fatto di copertine sarà una figura importante per la casa, poiché molte delle scelte grafiche attuate negli anni cinquanta passeranno proprio attraverso di lui (proprio Einaudi ha detto: «c’è stato un periodo in cui le copertine venivano scelte da me, poi la scelta delle copertine divenne prerogativa di Giulio Bollati»[1]).
Un fattore di cui bisogna tenere però conto quando si parla del lavoro editoriale all’interno della Einaudi è l’atmosfera di democraticità in cui questo avveniva, un’atmosfera la cui massima espressione si realizzava all’interno di quel «cervello collettivo»[2] che era il Consiglio editoriale “del mercoledì”. Le riunioni di tale organo vennero istituzionalizzate proprio alla fine degli anni quaranta e sono sempre state oggetto di estrema curiosità per via dell’atmosfera di sacralità che sembrava circondare queste sedute di brainstorming ante litteram. Esse si svolgevano attorno ad un tavolo ovale, all’interno di una stanza con alle pareti intorno tutti i libri Einaudi, e sono state l’officina da cui gli «gnomi»[3] dello Struzzo facevano uscire, con cadenza implacabile, i volumi che costituiscono la storia della casa editrice. Al centro del tavolo potremmo idealmente immaginare un libro – o più libri – mentre ai suoi lati vi erano non solo i consulenti massimi della casa editrice, ma anche i redattori fino ai dirigenti editoriali, amministrativi e commerciali, che erano tenuti a partecipare per dare un giudizio di mercato e di convenienza economica sulle varie proposte editoriali, questo giudizio però non doveva mai scavalcare i meriti rispetto al contenuto (sempre dalle parole di Einaudi: «Questo autore è buono? Non si vende: se è buono, facciamolo lo stesso»[4]). Tutti quanti lavoravano con la consapevolezza di fare qualcosa di importante, in una tensione culturale irripetibile, discutendo di idee e trasformandole in libri: erano queste le occasioni in cui si manifestava l’anima profonda della casa editrice, nonché le occasioni in cui Giulio portava «a un alto grado di produttività il suo equilibrio tra mediazione e fermezza, tra comunanza ideale e dispotismo illuminato».[5]
Questa tendenza al lavoro a più voci si rifletteva anche sulle scelte grafiche, che non erano quasi mai espressione di una singola personalità e anche quando si trattava di personalità affermate nel loro campo e con una forte linea progettuale erano comunque inseriti all’interno di «confronti molto vivaci»[6], da cui usciva fuori poi la forma del libro Einaudi. Capitava dunque che sulle copertine si ascoltassero i pareri anche di chi non era strettamente preposto ad esse, come lo storico direttore commerciale Roberto Cerati oppure, ancora più spesso, vi era un confronto tra grafici esterni e l’ufficio tecnico della casa editrice, rappresentato dall’indispensabile Oreste Molina, l’«orologiaio»[7] di casa Einaudi: grafico interno nonché direttore dell’ufficio tecnico, nato in tipografa e talmente rispettoso del libro da essere attento a tutti i dettagli che potessero minarne in qualche modo la perfezione grafica, talmente scrupoloso da passare le notti a controllare le bozze dei lavori più delicati, poiché non aveva un’alta opinione dei redattori.[8] Di lui Einaudi dice questo: «Un grafico interno lo devi avere, e questo di fatto è stato Oreste Molina, il direttore tecnico: un grande grafico. Però gli innestavo Munari».[9]
Non costituiscono sicuramente un’eccezione a questo metodo di lavoro i grafici dello Studio Boggeri Albe Steiner e Max Huber, approdati ad Einaudi attraverso il filo conduttore di Vittorini. Abbiamo già parlato diffusamente del lavoro di Albe Steiner con “Il Politecnico” nel ‘45, ma vale la pena sottolineare nuovamente come questa esperienza costituì un vero e proprio spartiacque nei confronti di una grafica che con la casa editrice condivideva, oltre a un certo afflato militante, l’idea del libro come strumento di interpretazione del mondo non circoscritto ad un élite; si trattò inoltre di un vero e proprio unicum alla regola di sopra, poiché il disegno della rivista fu frutto esclusivo di Steiner.[10]
Il dopoguerra, del resto, vide in questo senso un sensibile avvicinamento tra la casa torinese e il PCI, un rapporto sicuramente non privo di contrasti[11] (“Il Politecnico” anche di questo fu un caso emblematico) ma anche di felici convergenze quali la pubblicazione, nel ’47, delle Lettere dal carcere e, successivamente, dei Quaderni di Gramsci, una conquista per la casa editrice torinese che fu possibile solo grazie alla fiducia di Togliatti: l’esponente comunista trovava infatti la Einaudi degna di interesse per quanto «di non partitico essa poteva fornire, e per la tradizione di libri e lettori che poteva offrire, ma […] non mancava di far percepire anche una vigile attenzione sulla sua produzione».[12]
Insieme al “Politecnico” nacque, distanza di qualche mese, la collana “Politecnico Biblioteca”, che pubblicò una serie di saggi collaterali che completavano l’esperienza della rivista. Uscirono in questa collana titoli come la biografia di Lenin scritta da Vladimir Majakoskij e Dieci giorni che sconvolsero il mondo, il reportage giornalistico di John Reed sulla rivoluzione d’ottobre. Questi volumi, realizzati in collaborazione tra Steiner e Huber, riprendevano lo stile fortemente influenzato dalla grafica della Russia rivoluzionaria che già caratterizzava il “Politecnico”: in sovraccoperta i colori del rosso, utilizzato al limite del virtuosismo, del bianco e del nero si incastravano tra i fotomontaggi e le sperimentazioni tipografiche, mentre per la copertina l’approccio era più essenziale, sfondo bianco e titolo e autore di colore rosso in un corpo piccolissimo.
Sulla stessa scia militante e d’impatto era la sperimentazione dei due grafici con la collana “Problemi contemporanei – Nuova serie”, come nel saggio Lavoro per tutti, ancora una volta di Henry Wallace, dove in copertina appare la fotografia, filtrata di rosso, di una protesta per i diritti del proletariato. Il titolo e il nome dell’autore, di colore blu e in carattere graziato, sono inseriti all’interno della sagoma di un cartellone da manifestante, sovrapposto al resto dell’immagine. Come si vede, vi è per entrambe le collane un largo uso della manipolazione fotografica.
Occorre invece aprire una breve parentesi per quanto riguarda invece “I Gettoni”, collana di narrativa in cui apparvero talenti fino ad allora sconosciuti come Lalla Romano, Beppe Fenoglio e Mario Tobino, diretta da Elio Vittorini dal 1951 al 1958. Testimonianze spesso incerte hanno lasciato intendere che ad occuparsi dell’impianto grafico fosse stato ancora una volta Steiner.[13] Tale confusione è imputabile proprio a quello scambio di idee e competenze che, come abbiamo detto, caratterizzava il metodo di lavoro della casa editrice. In realtà è proprio Giulio Einaudi ad affermare nell’intervista con Severino Cesari che «I Gettoni hanno la grafica di Giulio Einaudi. Posso assicurartelo»,[14] mentre per quanto riguarda l’apporto di Steiner la testimonianza di Massimo Romano lo declassa ad una semplice raccomandazione: «Il nome dell’autore e il titolo in copertina sono collocati sulla stessa linea e non disposti in verticale, come nell’impostazione grafica più diffusa, e stampata in caratteri forti, come raccomandava da Milano Albe Steiner, il disegnatore del “Politecnico”: l’autore in nero, il titolo in colori diversi, per creare un contrasto cromatico con la copertina».[15]
Un consiglio che è stato decisamente accolto e che ha reso i “Gettoni” non solo «la collana sperimentale per eccellenza di casa Einaudi»[16] – nota anche per i risvolti nei quali Vittorini stesso presenta il libro al lettore e instaura con lui un dialogo editorial-letterario – ma anche, con la sua veste grafica disadorna, un capolavoro grafico di agile minimalismo.
Tornando invece brevemente alla collana “Scrittori contemporanei”, indubbio è che durante il suo ultimo periodo di vita essa sarà oggetto delle sperimentazioni di diversi grafici e pittori, con veri e propri slanci d’avanguardia: Guttuso, Cassinari, Morlotti, Hettner e Max Huber. Proprio quest’ultimo, per mezzo dell’ultimo numero della collana, il ventitreesimo, Pierrot amico mio di Queneau, riuscirà a trovare una forma capace di coniugare libera interpretazione artistica e una progettualità che rimandasse a un disegno più ampio e caratteristico. Questa forma traghetterà la collana nelle nuove vesti dei “Coralli”, diventandone il primo dei quattro storici impianti grafici.[17]
Infine, per completare il quadro, è necessario presentare un’altra personalità che ha reso grande la Einaudi, ovvero il sopracitato Roberto Cerati, approdato per caso in casa editrice nel ’45 accompagnando Vittorini, Huber e Steiner, che conosceva anche per aver fatto da strillone del “Politecnico” in Piazza Duomo,[18] diverrà il direttore commerciale storico della casa editrice per poi succederà a Giulio Einaudi come Presidente dopo la morte del fondatore.
Anche dal punto di vista commerciale e promozionale la Einaudi è sempre stata all’avanguardia, distinguendosi con trovate innovative in grado di dar vita a un lettore fatto a immagine e somiglianza dei propri libri: prima degli anni cinquanta e dell’arrivo di Cerati vi era, ad esempio, la vendita rateale, che consentiva al pubblico Einaudi, in parte formato anche da giovani studenti, di seguire le nuove uscite della casa editrice sottoscrivendo un abbonamento, secondo un’idea che cercava di fidelizzare il cliente rendendolo una sorta di “amico” e, allo stesso tempo, costruendo un introito fisso per le casse della casa editrice. Si trattava, ancora una volta, di un’operazione assolutamente nuova per l’editoria dell’epoca.[19]
Gli anni cinquanta, poi, furono un proliferare di nuove grandi idee in questo senso – il “Notiziario Einaudi”, “autolibri Einaudi”, “scooterlibri Einaudi” “Settimana del Libro Einaudi” oppure lanci spettacolari come quello per L’orologio di Carlo Levi, per la quale le librerie vennero riempite di orologi di forma e dimensioni diverse. In questo momento arriva Roberto Cerati, nelle parole di Giulio «un monaco che va in giro a predicare il libro».[20] Cerati credeva nel catalogo e faceva in modo che le librerie non fossero mai sprovviste di una sezione dedicata alle collane Einaudi: era una teoria oculata la sua, diversa dal consumo e ricambio veloce di titoli sul bancone delle novità che caratterizza spesso la diffusione di altre case editrici. Cerati era un uomo che odiava la promozione fine a sé stessa (evitava di prendere parte a presentazioni e cene con l’autore ogni volta che poteva farne a meno) viveva a contatto col suo stesso mercato, con i librai («Persino la domenica frequenta le librerie di Milano aperte: lo trovi da Feltrinelli fin dalle otto del mattino. Offre il caffè al commesso e comincia il suo lavoro di persuasore»[21]), conosceva ovviamente i titoli e in quale collana avrebbero avuto maggior risalto (come nel caso della Storia di Elsa Morante, che avrebbe preferito vedere nei “Supercoralli” piuttosto che negli “Struzzi”), aveva delle opinioni forti e degli autori preferiti con cui si teneva costantemente in contatto, alcuni dei quali lanciati da lui stesso, come nel caso del libro di Corrado Stajano Il sovversivo, presenziava a tutte le riunioni, da quelle del mercoledì, dove si dice che non proferisse parola appostandosi in fondo alla sala, alle riunioni del Consiglio editoriale del giovedì, dove si trattava di tirare le somme del lavoro del giorno precedente e in questo caso non mancava di dire la sua sui prezzi, i titoli, le collane e le copertine. Controllava ogni ingranaggio della produzione, ma soprattutto era un matematico abile per quanto inusuale: conosceva le esigenze del lettore e su questo calibrava il numero di copie, faceva in modo che i titoli Einaudi fossero sempre disponibili in libreria, mandando rifornimenti ogni volta che se ne registrava la mancanza dopo un controllo sul campo.
Avete immaginato i libri, li avete disegnati e resi inimitabili e unici, e spesso tecnicamente perfetti, di una perfezione artigianale dentro la produzione di massa; e li avete fatti trovare in libreria, li avete distribuiti, diffusi, fatti conoscere; intorno a ogni libro avete sollevato discussioni polvere e gloria.[22]
L’incontro tra le macchine inutili e lo Struzzo
In questo contesto va inserito il lavoro di Munari, che spesso quando si parla di grafica Einaudi è il nome che ricorre più spesso. Ciò avviene per un motivo preciso e va evidenziato senza comunque minimizzare il contributo degli altri grafici che si sono succeduti a firmare le copertine della casa: se è vero che «Steiner e Huber hanno dato forma a delle “isole” visive»[23], Munari ha creato un vero e proprio “arcipelago” nella quale volumi e collane si rimandano vicendevolmente all’interno di un modello che ha reso i volumi Einaudi immediatamente riconoscibili pur nella loro diversità, un modello che più che forte bisognerebbe definire fortissimo.[24] In questo lavoro risiede la costruzione di un’immagine coordinata per la casa editrice, ovvero il segno, più profondo di qualsiasi schizzo di copertina, impresso dal grafico milanese nella casa editrice dello Struzzo.
Munari approda ad Einaudi innanzitutto come autore nel ’42 con il libro per bambini Le macchine di Munari, apparso nella collana “Libri per l’infanzia e per la gioventù”, inaugurata dal volume scritto e illustrato da Elsa Morante, Bellissime avventure di Catarì dalla trecciolina. Con questa lettera un collaboratore della casa editrice prende contatto con Munari dopo che era stato segnalato da Cesare Zavattini e gli dà il benvenuto nella scuderia degli autori Einaudi:
Caro Munari, Zavattini mi ha dato la buona notizia che avete accettato la proposta che è stato così gentile di farvi pervenire. Da quando preparo per la nostra Casa una nuova collezione alla quale saranno impegnati i migliori scrittori e disegnatori italiani, io penso a un vostro libro, anzi al vostro libro, posso dire di averlo in mente da quando Zavattini ricostruì ai miei occhi ammirati davanti alla “macchina” che prende il vento sul suo tavolo da lavoro, la vostra figura di mago moderno. Dunque studiatevi da voi questo libro sulle “Macchine del nostro tempo” da presentare ai ragazzi nella loro metamorfosi più favoloso e ironica: studiatevelo con libertà, dal principio alla fine, dalla sua impostazione tipografica alle impostazioni e al testo.[25]
Munari non si farà ripetere questo invito due volte e dal seguente scambio epistolare tra lui e la casa editrice possiamo notare come l’estro creativo dell’artista designer non manchi di manifestarsi anche in questa nuova sfida, non senza lasciar intravedere un’ottima conoscenza della prassi editoriale, del lavoro di redazione e dei suoi costi, evidentemente acquisita attraverso le numerose esperienze precedenti. Il lavoro viene dichiarato concluso già in una lettera del 6 Maggio 1942, accompagnato da una considerazione tipicamente munariana: «sono soddisfatto del mio lavoro e anche mio figlio si è divertito molto».[26] Nel frattempo Munari ha già iniziato a lavorare ad un altro volume per Einaudi, l’Abecedario che alla lettera S presentava proprio uno struzzo, piccolo omaggio dell’artista al suo editore.
Per entrambi questi lavori Munari non è parco di proposte, a partire dal titolo de Le macchine in cui suggerisce di inserire il proprio nome per ragioni commerciali, al formato del volume, sul quale Einaudi ha qualcosa da ridire poiché il 12×34 proposto inizialmente dall’autore non lo convinceva, ai singoli dettagli circa la fattura del libro («mi raccomando molto il colore della copertina che dovrebbe essere come il campione allegato. La copertina la vorrei tranciata assieme alle pagine (è più moderno), la costa nera, se è possibile. […] La carta mi piace poco perché non è bianca, ma credo che non ci sia niente da fare oggi […] Ultima raccomandazione, forse inutile, che la stampa sia bene a registro e buonanotte»[27]) fino a proposte molto creative per il lancio in libreria («Se avete intenzione di “lanciare” il libro, eccovi qualche suggerimento intonato al “prodotto” […] mettere nella vetrina del librario un oggetto delle mie macchine (o un animale) con un cartellino che dica: questa lumaca è la zia della lumaca Maria che fa parte della macchina per cuocere le uova. […] Se credete opportuno potrei studiarne alcune vetrine apposta facili economiche e suggestive. Anche un ombrello aperto con dentro i volumi ecc. in una vetrina esclusivamente di libri un oggetto insolito desta molta curiosità»[28]). Einaudi, pur evidenziando il costo di alcune delle proposte, sembra accogliere favorevolmente la creatività di Munari («Quanto agli ombrelli fatevi dare tutti quelli dei vostri amici e pensate voi a farli esporre a Milano»[29]).
Le macchine arriveranno in libreria a fine dicembre e rappresenteranno una parentesi fanciullesca e colorata all’interno di un clima turbato dai miasmi del conflitto bellico. Proprio la devastazione e i disagi portati dalla guerra però non permetteranno al libro di debuttare con il lancio previsto, tanto che perfino le copie promesse a Munari dall’editore tarderanno ad arrivare al destinatario, come risulta da una lettera non datata spedita al ritorno dal suo viaggio di nozze. In una lettera successiva Munari lamenterà il fatto che nelle librerie di Milano il suo libro non è esposto in vetrina («Perbacco. È vero che in molte librerie non è esposto perché esaurito ma mi pare che quello che si chiama pubblicitariamente il “lancio di un prodotto” sia venuto completamente a mancare. Tuttavia da quanto ho saputo dai librai pare che “vada”»[30]). A questa lettera Einaudi risponderà con un’altra del 23 febbraio tranquillizzando l’autore e informandolo che l’esaurimento dei volumi costituiva a tutti gli effetti una buona notizia.[31] Il libro viene esaurito ma la prima ristampa dovrà attendere il 1974 probabilmente per l’alto costo che volumi come quelli delle Macchine e dell’Abecedario costituivano per una casa editrice con un mercato ancora non ben definito.
Bruno Munari e le copertine Einaudi
Le mirabolanti macchine, però, hanno, più di ogni altro, il merito particolare di aver costituito l’inizio di quel rapporto cinquantennale tra Munari e la casa editrice torinese. I progetti editoriali sui quali Munari metterà le mani nel corso degli anni, o comunque eserciterà una certa influenza, sono tali e tanti da sfuggire ad una facile catalogazione, anche per via del metodo di lavoro a più mani. Inoltre, un mero elenco di questi risulterebbe sterile e poco proficuo: si cercherà, dunque, da qui in avanti di riportare quelli, a nostro avviso, più iconici e in grado di restituirci la piccola rivoluzione avviata silenziosamente da Munari, armato solo di matita e righello, nell’immagine grafica della casa editrice, ricostruendo in questo modo i momenti salienti della sua esperienza tra gli operai dello Struzzo.
Caro Munari, ti ringrazio per la sovraccoperta per il Diolé, che mi pare riuscitissima. S’intende che ricorreremo a te anche per gli altri volumi della collana.[32]
Sono queste le parole che Giulio Einaudi rivolge in una lettera datata 12 novembre 1953 a Bruno Munari. Siamo agli albori del lavoro di Munari per la casa editrice, eppure Einaudi appare soddisfatto, tanto da promettergli successive commissioni e rivolgendosi spesso alla sua esperienza nel campo delle arti visive per sciogliere dubbi riguardo il lavoro della casa editrice, come si evince anche dalla continuazione della stessa lettera:
Vorrei ora affidarti un altro problema illustrativo, che spero riuscirai a risolvere altrettanto egregiamente. Si tratta della sovraccoperta di un volume della P.B.S.L. (Piccola Biblioteca Scientifico-Letteraria, n.d.r.) che parla di terremoti, eruzioni vulcaniche e di catastrofi naturali in genere. Bollati ti darà maggiori spiegazioni in proposito.[33]
La collaborazione con Munari, pur non essendo in questo periodo ancora diversa dal resto dei lavori che il grafico portava avanti sin dagli anni trenta, assume già in questi primi momenti quel carattere di apertura al confronto che come abbiamo visto caratterizzava tutte le fasi della produzione libraia nel “laboratorio Einaudi”. Nel caso riportato di seguito Einaudi chiede al grafico di rivedere una copertina realizzata per un volume in uscita nella collana “Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria”
Le ritorniamo il progetto di sovraccoperta per la Breve storia della Resistenza italiana di Garritano e Battaglia. L’idea sarebbe ottima ma rischia di dare al libro (che vuol essere un libro di storia) un significato di troppa immediata propaganda politica. Si liberi pure, anzi dimentichi senza altro lo schema tradizione della P.B.S.L., mettendo il titolo dove preferisce e della grandezza che preferisce. [34]
Durante gli anni cinquanta saranno varie le consulenze di Munari alla casa editrice di Torino, tra cui alcune per la collana dei “Saggi”: da sempre caratterizzata da copertine con una griglia molto rigida, l’impronta di Munari sulle sovraccoperte di alcuni volumi della collana è immediatamente riconoscibile tra fotomontaggi, illustrazioni libere e collage astratti. Tra i “Saggi” da lui vestiti vi è Il futuro è già arrivato di Robert Jungk del 1954, in cui la foto di un uomo con una tuta di sicurezza, di quelle usate per proteggersi dai materiali radioattivi, è inserita su uno sfondo bianco e le uniche tracce di colore sono dei pois rossi e blu sparsi su tutta la copertina; a carattere più astratto sono invece Il diario di Anna Frank che, a dispetto del contenuto drammatico, si presenta con una copertina che è una sovrapposizione di forme e colori che vanno dal rosa al giallo; lo stesso carattere presentano le copertine di Se questo è un uomo di Primo Levi e Hiroshima, il giorno dopo del già citato Robert Jungk.
Alla fine degli anni cinquanta Munari si occuperà del progetto grafico e dell’impaginazione della rivista letteraria di Vittorini e Calvino, “Il Menabò”, che dopo la chiusura dei “Gettoni” diventerà la nuova sede di quella politica della casa editrice che intendeva il rinnovamento letterario in termini fortemente sperimentali. Il “Menabò di letteratura” era una «rivista in forma di libri»,[35] un vero e proprio cantiere aperto in cui i due editor, nonché autori, aprivano la discussione sullo stato della letteratura; lo facevano attraverso pezzi sulle tendenze della poesia e della prosa, ma specialmente attraverso i testi di autori scoperti da loro stessi come Lucio Mastronardi.
L’impostazione della collana ideata da Munari riporta già a quel lavoro di semplificazione dei segni, chiarezza e pulizia costruttiviste, elementi che vengono resi in maniera quasi matetica ma senza mai omettere l’innesto di una certa qual dose di casualità: in questo caso la rigidità della copertina viene ammorbidita dai diversi colori dei rettangoli su fondo bianco di cui è composta. Tutti questi elementi costituiranno il filo rosso della produzione di Munari negli anni sessanta, periodo in cui la sua presenza affianco della casa editrice si fa decisamente più costante, dando vita ad alcune delle collane destinate a rimanere impresse nell’immaginario culturale del Paese.
Questo è sicuramente il caso della “Piccola Biblioteca Einaudi”, nata nel 1960 nella sua prima serie. In anni in cui si assisteva al boom del romanzo italiano, la Einaudi «dispiega la sua forza saggistica»[36] con una collana che ospiterà alcuni degli studiosi più importanti del Novecento come Adorno, Auerbach ma anche l’italiano Rodari. Nella “Piccola Biblioteca” il gioco di modulazioni di Munari si fonde con un altro elemento che abbiamo visto essere particolarmente presente nella sua carriera, la forma quadra. Difatti l’impostazione standard della collana prevede due quadrati posti nella parte alta, uno nero e uno colorato, nel primo vengono inseriti titolo e nome dell’autore, mentre il resto della copertina assume quel fondo bianco, che in questi anni inizia a diventare sempre più presente come marchio di fabbrica della casa, e all’interno di esso, nella parte bassa, vi inserisce il nome della collana, posizionato centralmente in verticale così da conferirgli una riconoscibilità silenziosa. Il gioco di forme viene in alcuni casi rotto, magari moltiplicando i quadrati fino a sei ed inserendoci un’illustrazione afferente al contenuto, come nel caso di Geografia economica dell’Unione Sovietica di Pierre George nel quale quattro quadrati rossi racchiudono uno schizzo dell’URSS. Assistiamo ancora una volta all’applicazione di quella frase giapponese tanto cara a Munari che dice “la perfezione è bella ma stupida” e, aggiungeva lui spiegando il lavoro fatto sulla collana, «perché l’armonia sia vera ogni tanto va rotta. È il principio della trasgressione. Come in musica. L’armonia è la matematica debbono esserci ma non bisogna sentirle troppo […] La “gabbia” della copertina [della P.B.E., n.d.r.] è divisa in sei quadrati e l’uso alternato di questi crea variazioni percettibili. Ne deriva un’immagine unitaria ma non noiosa».[37]
Sullo stesso principio si basa anche la collana saggistica “Nuovo Politecnico”, rivisitazione di quella che era stata la storica “Politecnico Biblioteca”. Il cambiamento rispetto alla grafica firmata da Steiner e Huber è radicale: sparisce ogni carattere iconografico, la copertina diventa un campo bianco “macchiato” solo da un quadrato rosso fluttuante al centro del campo visivo.
Ad una prima occhiata le copertine di questa collana, nella loro rigida impostazione, potrebbero sembrare uguali. In realtà la posizione del quadrato rosso varia in rapporto alle dimensioni del font utilizzato per il titolo e gli altri dati. Così Giorgio Maffei descrive questo lavoro di spiazzante semplicità: «Il quadrato rosso e il campo bianco, il pieno e il vuoto, la forma e il suo fondale, assumono a pari titolo un valore ed un ruolo: il rosso ha il compito di attrarre lo sguardo sulla copertina, mentre il bianco isola l’immagine».[38] La stessa impostazione segue la collana “Paperbacks”, varata nel 1969 nel clima delle contestazioni studentesche per racchiudere una collezione di saggistica internazionale di alto livello su vari terreni disciplinari con tioli importanti come Logica della scoperta scientifica di Karl R. Popper e La logica del vivente di François Jacob.[39]
Come si intuisce, è questo il momento storico in cui il libro Einaudi diventa, tra le altre cose, anche oggetto seriale e le collane «sintagmi di identità editoriale»:[40] in questo periodo l’immagine coordinata editoriale, di cui abbiamo tessuto le lodi fino ad ora, diventa un’ambizione molto ben definita da parte dello Struzzo e possibile solo grazie al carattere “aperto” del lavoro di Munari, che segna indubbiamente delle linee guida ma si lascia poi modificare, correggere, consigliare dai vari Giulio Einaudi, Oreste Molina, Giulio Bollati, Roberto Cerati. Sembra qualcosa di scontato, eppure è sintomo, da parte del grande artista e grafico, di un’intelligenza priva di superbia o altezzosità, propensa al lavoro di gruppo ed è proprio questo ciò che ha consentito alla grafica di Munari di rimanere ben salda nell’immagine della casa editrice,[41] facendo sentire la sua influenza anche quando non è Munari in prima persona a disegnare le copertine di una collana. Va da sé che questo metodo di lavoro rende in alcuni casi molto difficile tracciare i confini tra le diverse mani che hanno lavorato sui libri Einaudi. Su questo modus operandi, molto limpida è la ricostruzione fatta da Giulio Einaudi:
C’era questo rapporto diretto con il grafico, al quale si chiedeva un certo tipo di copertina, in base alla collana e al pubblico a cui si rivolgeva. In partenza qualche bozzetto schizzato a mano, su cui Munari lavorava in casa editrice. Gli dicevo: vorrei una copertina così. Facevo uno schizzo e lui diceva: no, vorrei in questo modo, e io: no, così non mi piace, vediamo cosa ne dice il commerciale. I titoli van sempre in alto, non vanno in mezzo o in basso, perché bisogna pensare che in libreria i libri spesso vengono coperti da altri libri nella parte inferiore. Bisogna che il titolo sia in evidenza. Alla fine, nel giro di minuti, nasceva una proposta di copertina, che poi passava a Molina: adesso, dico, fai la prova grafica subito, perché un bozzetto non è la stessa cosa; porta un campionario di caratteri per il titolo, dei colori per i fregi. Nella stessa mattina lui veniva su con la copertina già realizzata.[42]
Le cose in casa Einaudi sono andate avanti così per anni, almeno fino alla crisi dell’83 quando Einaudi venne retrocesso a consulente della casa editrice che aveva fondato e portava il suo nome.[43] Da metà degli anni sessanta e per tutti gli anni settanta Munari arrivava ogni quindici giorni da Torino in treno alle 11, si fermava a lavorare in casa editrice fino alle 13, poi faceva colazione e ripartiva per Milano. Nel mezzo, «“sorrideva, tirava linee, faceva volteggiare una matita sottilissima con la grazia di un étoile del balletto” e così creava una copertina e una collana».[44]
Basterebbe quello che si è detto fin qui per comprendere il valore della figura di Munari in casa Einaudi ma citeremo, almeno per completezza, qualche altra celebre collana che porta la sua impronta. Nel 1964 nasce, in collaborazione con Max Huber, “Collezione di Poesia”, che da allora fino ad oggi non ha cambiato la sua grafica: piccoli volumetti rettangolari dove in copertina il nome dell’autore e il titolo della raccolta, ben dosati nel corpo dei caratteri e inseriti nella parte alta insieme al logo e al nome della casa editrice, sono separati attraverso una sottile linea nera da alcuni versi tratti dal testo che occupano meno di due terzi dello spazio rimanente. Questa, ancora una volta, semplice invenzione fa a tutti gli effetti iniziare la lettura del testo dalla copertina e ha permesso a questa collana di essere conosciuta al grande pubblico come “la Bianca”, che nel 2014 ha celebrato il cinquantesimo anniversario con la pubblicazione del volume 50 anni di Bianca. Poesie inedite. Nella collana sono apparsi autori di poesia eterogenei come Samuel Beckett, Cesare Pavese, François Villon, Chandra Livia Candiani ecc.
Un cambiamento radicale, a cui abbiamo già accennato, è quello della “Universale”: la copertina colorata viene sostituita dal 1962 con una copertina bianca attraversata da cinque linee rosse tra le quali sono inserite le informazioni sul libro, mentre centrata in alto vi è una fotografia in bianco e nero dell’autore. L’effetto che si crea accostando i volumi è particolarmente suggestivo poiché le linee rosse diventano un simbolico fil rouge che collega le varie uscite. Afferente a questa estetica è la collana dei “Millenni” che nel 1984 adotta una copertina bianca con al centro un’illustrazione d’autore racchiusa in una cornice quadrata dai bordi rossi.
La «collana d’autore»[45] “Centopagine” viene varata nel 1971 e diretta da Italo Calvino, al suo interno appaiono autori classici particolarmente amati come Tolstoj e Dostojevski, ma anche scoperte e riscoperte come la Fosca di Iginio Ugo Tarchetti o Ricordi di un telegrafista di Clotilde Scanabissi Samaritani, scelte ispirate sia dal gusto per il romanzesco che dalla volontà di proporre testi che siano anche documenti della storia italiana.[46] La collana celebra la forma del romanzo breve o racconto lungo, «il criterio di scelta si basa sull’intensità di una lettura sostanziosa che possa trovare il proprio spazio anche nelle giornate meno distese della nostra vita quotidiana»[47] e riprende quella tradizione inaugurata da Vittorini con “I gettoni” del dialogo con i lettori attraverso l’introduzione e le quarte di copertina: Calvino firma otto delle prime e una quindicina delle seconde. La collana procede fino al 1985 con la morte dello stesso Calvino. Einaudi propone a Cerati, che aveva consigliato a Calvino titoli come La sonata Kreutzer di Tolstoj e Pierre e Jean di Maupassant, di continuarla con la direzione di Giorgio Manganelli, ma il direttore commerciale non mostra un particolare interesse nell’impresa e la collana viene lasciata morire. Secondo le parole di Federico Novaro, fondatore dell’omonimo blog di critica editoriale e curatore di una mostra dedicata alla collana nel 2017, «è stata una delle ultime collane in cui la direzione editoriale è stata l’elemento unificante delle 77 uscite […] è un’opera di Calvino a tutti gli effetti: un saggio in 77 stanze».[48] Da una lettera datata 20 dicembre 1971 ricaviamo questa dichiarazione di Bruno Munari:
Caro Munari, ti mando una nota per dieci copertine per la collana “Centopagine”. Come vedi il prezzo per ogni copertina è molto basso e spero che ti vada bene. Questa collana mi piace molto, visivamente parlando.[49]
Le copertine di questi agili volumetti in brossura sono create utilizzando un catalogo di passamanerie e ancora una volta si assiste a un perfetto bilanciamento tra programmazione costruttivista e irrompere dell’elemento casuale:[50] la copertina bianca è suddivisa, nella parte alta, in tre rettangoli calibrati matematicamente per ospitare al meglio sia il titolo che il nome dell’autore e, posto fra di essi, una particolare decorazione afferente, seppur lontanamente, al contenuto del testo. I rettangoli del titolo e dell’autore sono di colori diversi e anche il titolo stesso è caratterizzato da un font vistoso che non è mai uguale al precedente o al successivo.
In “Centopagine”, la collana di Calvino, ogni libro aveva un’impostazione diversa, di caratteri e di ornamenti, e allora si studiavano le copertine di quelle quattro o tre novità che dovevano uscire nei mesi successivi, e Munari chiedeva: questo romanzo di cosa parla? Come si svolge? È passionale, sentimentale? Insomma, faceva domande magari banali, si informava sulla trama, se c’è un personaggio centrale, e in rapidi circuiti mentali sceglieva in base a queste informazioni i fregi, i caratteri che rendessero meglio.[51]
Stando ad alcuni scambi di lettere Munari dovette avere un qualche ruolo anche sull’impostazione grafica della collana “Gli struzzi”, seppur sia assente qualsiasi riferimenti in merito nei volumi citati in bibliografia:
Caro Munari, molto belle le copertine per la nuova collana, ma le trasferiremo ad una serie successiva (probabilmente di classici letterari per l’università), perché è giudizio degli “spettatori” che per i nostri “Oscar” (che chiameremo forse “Struzzi”) ci vogliano elementi figurativi e caratteri più vistosi, anche se non volgari. Può fare qualche altro tentativo? Questa collana è per noi molto importante.[52]
Si evince quindi come la nascente collana prendesse ispirazione dal fenomeno dei tascabili avviato dagli “Oscar” e si proponeva di ristampare, ad un prezzo relativamente economico, i libri «essenziali»[53] della casa editrice. Un caso particolare sarà quello sopracitato de La Storia di Elsa Morante, che debutterà per volere della stessa autrice in questa edizione economica. Anche in questo grafico la grafica gioca per sottrazione: copertina con la consueta “mano di bianco”, autore e titolo centrati in alto e un’illustrazione al centro. Nella parte bassa compariva uno strillo che presentasse in breve l’opera.
Influenzata dalla nuova estetica introdotta in casa editrice grazie a Munari è l’impostazione grafica dei “Coralli” che va dal 1961 al 1976, la quarta in ordine cronologico, nonché la più longeva.[54] Questa versione si discosta molto dalle precedenti, innanzitutto per il formato, non più una rilegatura all’americana ma una copertina rigida con sovraccoperta, inoltre si passa ad un volume di 120 x 192 mm. Il colore bianco di fondo ospita un’illustrazione che può spaziare in tutti i campi dell’espressione artistica, mentre per titolo e autore si sceglie un elegante e discreto Egizio.
Summa Leonzio
[1] Giulio Einaudi, in Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 48.
[2] Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, p. 34.
[3] Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 50.
[4] Giulio Einaudi, in ibidem.
[5] Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, p. 35.
[6] Giulio Einaudi: il rispetto per il lettore, p. 79.
[7] Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita. Feltrinelli, Milano 2005, p. 87.
[8] Cfr. Id., Addio a Oreste Molina, anima discreta dello Struzzo, in “La Stampa”, 27 agosto 2017: <http://www.lastampa.it/2017/08/27/cultura/addio-a-oreste-molina-lanima-discreta-dello-struzzo-TyuipSUj0GnCgNk10J7kUN/pagina.html>.
[9] Giulio Einaudi in Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 67.
[10] Cfr. Giulio Einaudi: il rispetto per il lettore, p. 79.
[11] Cfr. Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, 35-57.
[12] Velania La Mendola, La felicità di fare editoria di cultura, p. 12.
[13] Cfr. Marzio Zanantoni, Albe Steiner, pp. 114-116.
[14] Giulio Einaudi, in Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 43.
[15] Massimo Romano, I gettoni di Einaudi citato in Marzio Zanantoni, Albe Steiner, pp. 115-116.
[16] Gian Carlo Ferretti, Giulia Iannuzzi, Storie di uomini e libri, p. 146.
[17] Cfr. Giulio Einaudi. L’arte di pubblicare.
[18] Cfr. Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita, Feltrinelli, Milano 2005, p. 83.
[19] Cfr. Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 67.
[20] Giulio Einaudi in ibidem.
[21] Giulio Einaudi in ibi, p. 78.
[22] Ibi, p. 73.
[23] Mario Piazza, Il libro al centro: l’Einaudi e la grafica editoriale.
[24] Cfr. Cristiano De Majo, Benedette copertine!, in “Rivista Studio”, 1 maggio 2012: <http://www.rivistastudio.com/standard/benedette-copertine/>.
[25] AE, in cart. Munari, lettera datata 9 marzo 1942, inviata da un collaboratore della casa editrice a Bruno Munari.
[26] Ibi, lettera datata 6 maggio 1942, inviata da Bruno Munari a Giulio Einaudi.
[27] Ibi, lettera datata 24 settembre 1942, inviata da Bruno Munari a Giulio Einaudi.
[28] Ibi, lettera datata 21 ottobre 1942, inviata da Bruno Munari a Giulio Einaudi.
[29] Ibi, lettera datata 22 ottobre 1942, inviata da Giulio Einaudi a Bruno Munari.
[30] Ibi, lettera non datata, inviata da Bruno Munari a Giulio Einaudi.
[31] Cfr. Giulio Einaudi, Munaria. Abitare festeggia i 90 anni di Bruno Munari, in “Abitare”, 366 (1977), p. 3.
[32] AE, in cart. Munari, letterata datata 12 novembre 1953, inviata da Giulio Einaudi a Bruno Munari.
[33] Ibidem.
[34] Ibi, lettera datata 12 aprile 1955, inviata da Giulio Einaudi Editore S.p.A. a Bruno Munari.
[35] Velania La Mendola, La felicità di fare editoria di cultura, p. 15.
[36] Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino 2004, p. 184.
[37] In compagnia di Munari, intervista a Bruno Munari a cura di Andrea Rauch, in Disegnare un libro, p. 85.
[38] Giorgio Maffei, Munari. I libri, p. 39.
[39] Cfr. Velania La Mendola, La felicità di fare editoria di cultura, p. 15.
[40] Marco Belpoliti, Einaudi, 80 candeline.
[41] Cfr. ibidem.
[42] Giulio Einaudi, in Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 50.
[43] Cfr. Velania La Mendola, La felicità di fare editoria di cultura, pp. 19-26.
[44] Roberto Cicala, Copertine, da Pacioli a Munari l’arte di dare carattere ai libri, in “la Repubblica”, 28 aprile 2010: <http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/28/copertine-da-pacioli-munari-arte-di.html>.
[45] Gian Carlo Ferretti, Giulia Iannuzzi, Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, p. 243.
[46] Cfr. ibi, p. 245.
[47] Ibidem.
[48] Federico Novaro, Centopagine Einaudi, in “FN”, 6 ottobre 2017: < http://federiconovaro.eu/categorie/materiali/centopagine-einaudi/>.
[49] AE, in cart. Munari, lettera datata 20 dicembre 1971, inviata da Bruno Munari a Giulio Einaudi.
[50] Cfr. Federica Orsi, Complicare è facile, semplificare è difficile, in Storie in copertina, pp. 24-25.
[51] Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, p. 56.
[52] AE, in cart. Munari, lettera datata 5 febbraio 1970, inviata da Giulio Einaudi a Bruno Munari.
[53] Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, p. 273.
[54] Cfr. Giulio Einaudi. L’arte di pubblicare, pp. 30-31.
(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).
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