La casa editrice La nave di Teseo ha pubblicato nel 2020 una nuova edizione del Nome della rosa, il più noto romanzo di Umberto Eco. In questa nuova uscita, il testo è corredato da disegni e appunti preparatori dell’autore che offrono un interessante spaccato sulla costruzione, peraltro estremamente accurata, dell’intreccio. Come ha ben detto Francesco Longo, si tratta di «uno degli emblemi del romanzo postmoderno. Erudizione, citazionismo, frullato di generi – romanzo storico, romanzo giallo, romanzo filosofico –, letteratura senza stile e insieme figlia di tutti gli stili del passato. Di fatto, ognuno può trovare in questo libro ciò che cerca».

Per quanto il romanzo sia celebre in tutto il mondo, pochi ne conoscono però la storia editoriale, che possiamo trovare nella pubblicazione Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria (EDUCatt, 2012). Il nome della rosa, insieme a tanti altri libri che “parlano” di libri, diviene così uno «specchio che riflette il tassello di un mosaico mai completo e sempre in divenire qual è l’editoria. […] Comune denominatore di queste pagine è la passione, che nasce proprio dove ci sono i libri, in primis negli scaffali delle biblioteche».

Il nome della rosa è uno dei più eclatanti esordi letterari del Novecento, essendo l’opera prima in campo narrativo di Umberto Eco (Alessandria 1932-Milano 2016), fino ad allora noto come docente di semiotica a Bologna e autore tra l’altro di saggi sulla narratività: una prassi di studioso che si è rivelata fondamentale nell’economia stessa delle opere dello scrittore piemontese. Fin da quel 1980, quando arriva in libreria edito da Bompiani, si rivela un caso di proporzioni mondiali, con numerose traduzioni, diverse ristampe, l’entusiasmo della critica e l’assegnazione del premio Strega l’anno successivo, per arrivare poi all’adattamento cinematografico di Jean Jacques Annaud del 1986. Opera d’ambientazione medievale, in linea con l’amore dell’autore per questo periodo storico, si incentra sul segreto che grava su una biblioteca. Non a caso dalla copertina della prima edizione si nota subito l’allusione a quel labirinto non solo fisico ma anche e soprattutto metafisico che è il luogo nel quale con una curiosità inquieta si addentrano il novizio Adso da Melk e il suo maestro Guglielmo da Baskerville alla ricerca di un libro che pare essere all’origine di una serie di atroci delitti nell’abbazia altrimenti venerabile luogo di quiete e studio. E tra eresie e intrighi si giungerà a una tremenda verità, capace di scardinare secolari consuetudini e le opache istituzioni che le reggono in quel tormentato Annus Domini 1327.

(Alberto Montanari)

Copertina della prima edizione del Nome della rosa di Umberto Eco (Bompiani, Milano 1980)

«Se ora Dio ha affidato al nostro ordine una missione, essa è quella di opporsi a questa corsa verso l’abisso, e conservando, ripetendo e difendendo il tesoro di saggezza che i nostri padri ci hanno affidato. La divina provvidenza ha ordinato che il governo universale, che all’inizio del mondo era in oriente, man mano che il tempo si avvicina si spostasse verso occidente, per avvertirci che la fine del mondo si approssima, perché il corso degli avvenimenti ha già raggiunto il limite dell’universo. Ma sino a che non scada definitivamente il millennio, fino a che non trionfi , sia pure per poco, la bestia immonda che è l’Anticristo, sta a noi difendere il tesoro del mondo cristiano, e la parola stessa di Dio, quale egli la dettò ai profeti e agli apostoli, quale i padri la ripeterono senza cambiarvi verbo, quale le scuole hanno cercato di chiosare, anche se oggi nelle scuole stesse si annida il serpente della superbia, dell’invidia, della dissennatezza. In questo tramonto noi siamo ancora fiaccole e luce alta sull’orizzonte. E finché queste mura resisteranno, noi saremo i custodi della Parola divina».

«E così sia,» disse Guglielmo in tono devoto. «Ma cosa c’entra questo con il fatto che non si può visitare la biblioteca?» «Vedete frate Guglielmo,» disse l’Abate, «per poter realizzare l’opera immensa e santa che arricchisce quelle mura,» e accennò alla mole dell’Edificio, che si intravvedeva dalle finestre della cella, troneggiante al di sopra della stessa chiesa abbaziale, «uomini devoti hanno lavorato per secoli, seguendo regole di ferro. La biblioteca è nata secondo un disegno che è rimasto oscuro a tutti nei secoli e che nessuno dei monaci è chiamato a conoscere. Solo il bibliotecario ne ha ricevuto il segreto dal bibliotecario che lo precedette, e lo comunica, ancora in vita, all’aiuto bibliotecario, in modo che la morte non lo sorprenda privando la comunità di quel sapere. E le labbra di entrambi sono suggellate dal segreto. Solo il bibliotecario, oltre a sapere, ha il diritto di muoversi nel labirinto dei libri, egli solo sa dove trovarli e dove riporli, egli solo è responsabile della loro conservazione. Gli altri monaci lavorano nello scriptorium e possono conoscere l’elenco dei volumi che la biblioteca rinserra. Ma un elenco di titoli spesso dice assai poco, solo il bibliotecario sa, dalla collocazione del volume, dal grado della sua inaccessibilità, quale tipo di segreti, di verità o di menzogne il volume custodisca. Solo egli decide come, quando, e se fornirlo al monaco che ne fa richiesta, talora dopo essersi consultato con me. Perché non tutte le verità sono per tutte le orecchie, non tutte le menzogne possono essere riconosciute come tali da un animo pio, e i monaci, infine, stanno nello scriptorium per porre capo a un’opera precisa, per la quale debbono leggere certi e non altri volumi, e non per seguire ogni dissennata curiosità che li colga, vuoi per debolezza della mente, vuoi per superbia, vuoi per suggestione diabolica».

«Ci sono dunque in biblioteca anche libri che contengono menzogne…» «I mostri esistono perché fanno parte del disegno divino e nelle stesse orribili fattezze dei mostri si rivela la potenza del Creatore. Così esistono per disegno divino anche i libri dei maghi, le kabbale dei giudei, le favole dei poeti pagani, le menzogne degli infedeli. È stata ferma e santa convinzione di coloro che hanno voluto e sostenuto questa abbazia nei secoli, che anche nei libri menzogneri possa trasparire, agli occhi del lettore sagace, una pallida luce della sapienza divina. E perciò anche di essi la biblioteca è scrigno. Ma proprio per questo, capite, essa non può essere penetrata da chiunque. E inoltre,» aggiunse l’Abate quasi a scusarsi della pochezza di quest’ultimo argomento, «il libro è creatura fragile, soffre l’usura del tempo, teme i roditori, le intemperie, le mani inabili. Se per cento e cento anni ciascuno avesse potuto liberamente toccare i nostri codici, la maggior parte di essi non esisterebbe più. Il bibliotecario li difende dunque non solo dagli uomini ma anche dalla natura, e dedica la sua vita a questa guerra contro le forze dell’oblio, nemico della verità». «Così nessuno, salvo due persone, entra all’ultimo piano dell’Edificio…» L’Abate sorrise: «Nessuno deve. Nessuno può. Nessuno, volendolo, vi riuscirebbe. La biblioteca si difende da sola, insondabile come la verità che ospita, ingannevole come la menzogna che custodisce. Labirinto spirituale, è anche labirinto terreno. Potreste entrare e potreste non uscire».

Brano tratto da:
Alberto Montanari, Labirinti in pietra e parole, in Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria, a cura di Velania La Mendola e Maria Villano, EDUCatt, Milano 2012, pp. [56]-57.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).