La ricezione critica del romanzo Il Cigno di Sebastiano Vassalli ricostruita grazie alle carte d’archivio conservate nella casa dell’autore.

Il Cigno, pubblicato nel 1993 nei “Supercoralli” Einaudi, è il romanzo storico in cui Sebastiano Vassalli racconta l’omicidio di Emanuele Notarbartolo, realmente avvenuto in Sicilia nel 1893 per mano della mafia, e i processi che ne sono seguiti. È un evento che si spiega soltanto se collocato all’interno della cornice storica che delinea l’ascesa del potere mafioso e la connivenza dello stesso con la politica. L’autore dichiara di aver incominciato a occuparsi di questo argomento, nel 1991, quando trova per caso, «su una bancarella di libri usati, un’opera documento di Napoleone Colajanni, Nel regno della Mafia, stampato nel 1900 dalla Camera dei deputati».[1] Lui stesso racconta questo incontro con il tema del suo libro:

Colajanni mise tutto nero su bianco, scrivendo che era nota l’identità del mandante, l’onorevole Palizzolo, che si conoscevano gli esecutori, un capocosca di Villabate e gli uomini della sua banda. Allora andai a vedere sui giornali dell’epoca e subito capii che lavorando negli archivi avrei avuto in mano il bandolo della matassa.[2]

Nel 1992 Vassalli si reca due volte in Sicilia, a Palermo, per documentarsi. Durante le visite, cerca i documenti e fa «dei sopralluoghi sulla linea ferroviaria»,[3] luogo del delitto narrato nel Cigno. Il punto di partenza dell’autore è dunque in un documento della Camera dei deputati, al quale fanno seguito indagini sui giornali dell’epoca e negli archivi e perfino delle ispezioni sui luoghi dell’omicidio: tutto ciò attesta la serietà scientifica di un lavoro che si basa innanzitutto su atti e reperti storici, la cui affidabilità appare indiscussa. Quanto alla struttura dell’opera, in un’intervista del 1993 per “L’Unità”, l’autore, paragonando il romanzo a un edificio, afferma che «i diversi piani»[4] sono costituiti da un epilogo che segue tre scene: il Paradiso, l’Inferno e il Purgatorio. Il richiamo dantesco è però rovesciato: nell’avanzare verso il Paradiso, infatti, non c’è una redenzione, ma un’involuzione della vicenda, che si conclude con il fallimento dei processi giudiziari e con la vittoria della mafia.

Nella scena dell’Inferno è ricostruito il momento dell’assassinio e da subito sono individuati tutti i responsabili, i liuni,[5] riuniti a festeggiare con il loro mandante, Raffaele Palizzolo. Il delitto viene definito dallo stesso onorevole come un gesto da compiere per il bene della società.[6] Dalla Sicilia poi, l’autore sposta la narrazione a Roma, dove Palizzolo, chiamato da subito “Cigno”, incontra Francesco Crispi, ex capo del Governo. I due parlano del Banco di Sicilia e dal discorso emergono le preoccupazioni del Cigno riguardo le perdite che potrebbe dover affrontare se il Banco chiudesse o finisse nelle mani sbagliate, cioè in mani pulite. Durante la discussione, però, Crispi fa intendere al Palizzolo di non aver intenzione di salvare né il Banco, né tantomeno lui; così il Cigno capisce di essere solo e che Crispi ha avuto comportamenti positivi nei suoi confronti soltanto per suo interesse personale.[7] Intanto i contadini dell’isola, che versano in situazioni di grave indigenza, si riuniscono nei Fasci siciliani, di ispirazione socialista, ma quando scendono in piazza per rivendicare i loro diritti vengono sterminati a colpi di fucile.

Il Purgatorio, che tratta l’evolversi della storia tra il 1896 e il 1899, si apre con Filicetta, una delle mogli dei manifestanti, la quale, accorsa per cercare il marito, viene ferita e rimane vedova. Dopo essere fuggita per non finire in carcere e dopo un lungo periodo di latitanza, le viene consigliato di rivolgersi all’onorevole Palizzolo, l’unico in grado di aiutarla, pur se «grandissimo mafioso»[8]. Ed effettivamente, in cambio di intimità con l’onorevole, Filicetta ottiene soldi e favori, anzi, quando il Cigno è a Roma, lei si prostituisce con dei clienti mandati dallo stesso Palizzolo, diventando così una prostituta a tutti gli effetti.[9] Con un flash back, Vassalli racconta a questo punto la storia della famiglia Palizzolo, venuta dal nulla, arricchita a Caccamo e diventata «nobile»[10] a Palermo, attraverso la creazione di uno stemma e di un cognome nobiliare. Intanto sono passati quattro anni dall’omicidio Notarbartolo e la polizia di Palermo pensa che il colpevole sia Giuseppe Fontana di Villabate, cioè Don Piddu Facci di lignu, uno dei liuni. Il racconto quindi si sposta al 1899, nei giorni del primo processo per l’omicidio, trasferito a Milano per tutelare i testimoni.[11] In tribunale, Leopoldo Notarbartolo, il figlio dell’ucciso, afferma di sapere che il padre è stato ammazzato dalla mafia, per mandato dell’onorevole Palizzolo e per mano di Giuseppe Fontana. Intanto a Montecitorio il Cigno è aspramente contestato dai rappresentanti di tutti le fazioni politiche presenti, che vogliono la verità e sono convinti che lui sia colpevole, e finalmente a Villarosa viene arrestato.

La sezione intitolata Paradiso copre gli anni 1901-1904 e si apre con una breve autobiografia di Francesco Crispi, il quale, sul letto di morte, ripercorre velocemente la sua ascesa al potere, ammettendo anche le truffe e gli ammanchi provocati al Banco di Napoli e di altre banche. Palizzolo nel frattempo è stato condannato a trent’anni di carcere durante un secondo processo, tenutosi a Bologna e a Palermo. Il 9 agosto 1902, varie personalità dell’aristocrazia siciliana si ritrovano per discutere della condanna: sono sdegnate per la sentenza e ancor più per l’immagine barbara che l’Italia ha della Sicilia. Decidono allora di dar vita al Comitato Pro Sicilia, per difendere l’Isola dalle ingiurie del resto del Paese: «La mafia è un pregiudizio degli italiani del nord contro i siciliani».[12] Il 31 luglio 1904 il Cigno rientra trionfante in Sicilia, dopo cinque anni di carcere e dopo un’assoluzione per assenza di prove, avvenuta durante un altro processo tenuto a Firenze. Tutta la città festeggia il suo rientro come se si trattasse di un santo:[13] è il trionfo dell’illegalità, cioè del Paese sommerso, come lo chiamerà Vassalli, ma anche del sicilianismo, ovvero di quel malinteso senso di orgoglio isolano, che contrappone i siciliani al resto della penisola.

L’Epilogo porta la data del 1920 e descrive il Cigno a 75 anni,[14] quando ormai è diventato un anziano insignificante. Dopo l’assoluzione al processo di Firenze, egli aveva cercato per anni di riacquistare il seggio elettorale, ma era stato sempre sconfitto, ricevendo poche decine di voti.[15] In seguito qualcuno attenta alla sua vita e, poiché sopravvive, si reca a Lourdes, dove a suo dire gli appare la Madonna, la quale gli dà «conferma della sua storica missione di eroe nazionale siciliano»[16] e gli consiglia di dedicarsi alla letteratura. Egli finisce così col «recitare per strada le sue poesie d’argomento patriottico».[17] Diventato solo e povero, va a vivere dall’antica amante Filicetta e i due convivono «come padre e figlia».[18] Sembra che la giustizia, che aveva disertato i tribunali, venga ora ripristinata dalla vita.

Un confronto puntuale tra la ricostruzione storica dell’omicidio Notarbartolo e la trama del Cigno appena sintetizzata dimostra che la narrazione di Vassalli si mantiene fedele ai fatti realmente accaduti. Cause del delitto e suo svolgimento, ambienti, personaggi: tutto, nel passaggio dalla realtà alla narrazione, rimane invariato, anche se, trattandosi di un romanzo, il racconto si nutre anche di invenzioni.

Il contesto sociale dei primi anni ’90 e la pubblicazione del Cigno

 Nel mese di agosto del 1993, il quotidiano “La Stampa”, nella rubrica “tuttolibri”, pubblica una rassegna delle opere la cui uscita è prevista per l’autunno seguente. Tra gli autori presentati viene citato anche Vassalli: «Sebastiano Vassalli scava tra i malaffari del Cigno […]: lo scandalo di un ieri “contemporaneo”».[19] Anche la rivista “Panorama”, il 17 ottobre 1993, nella rubrica “Cultura”, cita Il Cigno: «Arriva i primi di novembre Il Cigno, atteso libro di Sebastiano Vassalli (185 pagine, 28 mila lire) […] Una storia che sembra dei nostri giorni e invece è accaduta un secolo fa».[20]

Come si vede, entrambi i contributi puntano sull’attualità del tema trattato nel romanzo. Dal 1992, infatti, la società italiana assiste alla nota vicenda di “Tangentopoli”, sistema di corruzione tra la politica e l’imprenditoria italiana, emerso a seguito di una serie di inchieste giudiziarie chiamate dai giornali “Mani pulite”. Si tratta di un giro molto ampio di tangenti, per aggiudicarsi e gestire appalti di diverso tipo; le inchieste coinvolgono anche le principali imprese pubbliche (come l’Enel, l’Eni, le Ferrovie e le Poste italiane) e le maggiori imprese italiane (come l’Olivetti e la Fiat).[21]

Questo è dunque il clima nel momento in cui Il Cigno viene offerto alla lettura degli italiani: sembra proprio che in 100 anni nulla sia cambiato, anzi il sistema basato su corruzione/concussione, che un secolo prima riguardava soltanto alcune regioni del sud, tocca ormai più o meno tutta la Penisola e gli “onorevoli Crispi” si sono moltiplicati. Si può quindi immaginare quanto sia attesa l’uscita del Cigno, da parte di chi conosce e apprezza Vassalli, sapendo, grazie ai suoi romanzi precedenti, che si tratta di uno scrittore che non ha, come si suol dire, peli sulla lingua. E Vassalli, con la sua prosa asciutta e con il suo amore per la verità, non deluderà le attese del suo pubblico.

La ricezione del Cigno tra entusiasmo e critiche feroci

All’uscita del romanzo, nei mesi di novembre e dicembre del 1993, escono molti articoli che presentano Il Cigno: si trovano in circa trenta quotidiani e almeno in undici periodici italiani.[22] La risonanza è quindi vasta e non manca di suscitare discussioni e polemiche a vari livelli.

Il 5 novembre del 1993, Franco Marcoaldi, del quotidiano “la Repubblica”, pubblica un’intervista con Vassalli[23] e il giorno dopo anche sul “Manifesto” esce un articolo breve di Rino Cascio.[24] Da questi due contributi emergono molte idee che alimenteranno la discussione dell’opera: l’attualità del sistema mafioso nella società italiana; la riduzione al genere giallo delle opere sulla mafia fino al momento disponibili, per cui il libro appena uscito appare veramente come una novità; la difficoltà degli autori siciliani, tra cui Sciascia, ad analizzare un fenomeno nel quale sono nati e cresciuti e la loro latitanza nel far capire la differenza tra mafia e delinquenza comune; il problema del regionalismo; la dichiarata fedeltà ai fatti nel racconto della vicenda Notarbartolo; l’unicità dell’evento riguardante il trionfo del suo assassino e infine l’insinuazione circa la dimensione pirandelliana della vicenda Palizzolo. Ce n’è abbastanza per suscitare la curiosità dei lettori: Il Cigno è appena uscito, ma già se ne profila il successo e nel contempo si accendono le micce della polemica.

Complessivamente, nel mese  dell’uscita del romanzo vengono avanzate dai critici moltissime osservazioni elogiative, con un paio di note negative, che riguardano il linguaggio (considerato dal Bonura dell’“Avvenire”[25] didascalico e appesantito dal realismo documentario) e qualche caduta di tensione, con scene reiterate, a detta di Paccagnini del “Sole 24 ore.[26] Esprimono opinioni ampiamente favorevoli i giornalisti Carlo Fini,[27]  Titta Madia Junior[28] e Saverio Vertone,[29] lo scrittore e poeta Mario Bernardi,[30] i critici letterari Luigi Baldacci, [31] Giuseppe Amoroso[32] e Geno Pampaloni,[33] il docente universitario Ermanno Paccagnini[34]  e lo storico Pasquale Chessa.[35]

Il rilievo più frequente, presente in quasi tutti i contributi, consiste nella sottolineatura dell’attualità del romanzo, il quale addirittura permette al giornalista e scrittore Saverio Vertone[36] e allo storico Pasquale Chessa[37] di stabilire corrispondenze tra i personaggi del libro e quelli della politica corrente. In generale sono poi apprezzati la fedeltà ai fatti, lo stile narrativo e l’abilità nel tratteggiare i ritratti dei personaggi, attraverso lo studio dei loro caratteri. Elogiato è anche il realismo delle descrizioni di paesaggi e situazioni: in particolare è giudicata apprezzabile la descrizione della Sicilia ripresa dal punto di vista paesaggistico, antropologico, aneddotico e comico. Un possibile motivo di polemica è rilevabile nell’appunto di Chessa, il quale si chiede come mai Pirandello, Sciascia e altri scrittori siciliani non si siano mai occupati dell’omicidio Notarbartolo, delitto che sembrava proprio adatto alla loro penna.[38]

Questa notazione ci offre l’occasione per affermare che l’esame delle opere precedenti sulla mafia, comparato con un’analisi del Cigno, mostra la novità dirompente di quest’ultimo, rispetto, non solo agli scritti che presentano il ben noto mafioso aureolato, ma anche allo stesso Sciascia, il quale, rimanendo con i suoi romanzi all’interno del genere poliziesco e del racconto giallo, aveva sottratto forza e verità alla denuncia del sistema mafioso. Questa potrebbe essere una risposta all’interrogativo di Chessa: Sciascia e altri scrittori siciliani avrebbero dovuto cambiare il genere letterario per parlare del delitto Notarbartolo, il quale non è un giallo (dato che si conosce tutto subito) e quindi non può essere nemmeno un poliziesco.  Soltanto la scelta di Vassalli di parlare di mafia attraverso un romanzo storico, raccontandone senza indulgenze le manifestazioni violente, poté cambiare la prospettiva dalla quale guardare al fenomeno, permettendo di scoprirne la vera essenza.

Anche nel mese di dicembre la risonanza alla ricezione del Cigno è ampia: il romanzo fa parlare moltissimo di sé, ma, insieme alla veloce salita nelle vendite e al palese apprezzamento di tanta parte della critica, raccoglie anche commenti negativi. È chiaro che siamo ormai di fronte a un caso editoriale non usuale.

Si schierano con Vassalli, proponendo una lettura favorevole del romanzo, studiosi come l’accademico, filologo e scrittore svizzero Renato Martinoni,[39]  i saggisti Renzo Crivelli,[40] Stefania Casini[41] e Giovanni Bonalumi,[42] gli scrittori Roberto Cotroneo[43] e Silvio Ferrari,[44]  i giornalisti Lucio Petronio,[45]  Simonetta Fiori,[46] Claudio Toscani,[47] Paolo Mauri,[48] Alessandra Melli,[49] Ottorino Burelli[50] e  Corrado Augias,[51] i critici Luigi Baldacci,[52] Geno Pampaloni,[53] Giuseppe Amoroso,[54] Lorenzo Mondo,[55] Pino Arlacchi,[56] Nando Dalla Chiesa[57] e Walter Binni.[58] Esprimono invece opinioni contrarie al romanzo, assumendo posizioni anche molto dure, il giornalista e scrittore Gigi Speroni,[59] gli intellettuali siciliani Gesualdo Bufalino,[60] Manlio Sgalambro[61] e Vincenzo Consolo,[62] lo storico contemporaneista Paolo Pezzino,[63] il regista Pasquale Scimeca,[64] lo scrittore Giuseppe Marci,[65] il giornalista Domenico Pecile[66] e perfino un nipote di Notarbartolo.[67]

Tra le note favorevoli, la più comune continua ad essere quella che riguarda la capacità dell’autore di narrare il presente raccontando il passato, ma è largamente sottolineata anche la sua fedeltà al contesto storico. È inoltre messa in luce la passione civile dello scrittore, che sa andare oltre i freni imposti dall’omertà. Nel Cigno non è nemmeno presente l’intellettualismo proprio di tanta letteratura del tempo, a vantaggio del gusto per il racconto e per una dissacrazione che si dispiega frequentemente attraverso un sano umorismo. Altre osservazioni positive riguardano il ritratto fedele della mentalità e della cultura siciliane. La descrizione della mafia nel Cigno è giudicata originale, ma soprattutto capace di denunciare il sottofondo culturale che l’alimenta, cioè il sicilianismo. Quanto alla prosa, appare lineare e quindi di facile lettura. Il Cigno presenta inoltre una grande ricchezza espressiva e i personaggi sono inventati ma realistici.

Le osservazioni negative invece enfatizzano i presunti pregiudizi ideologici e razzistici dell’autore. Al romanzo, viene poi affermato, manca la tensione morale e l’autore non sa penetrare la complessità e la drammaticità dell’argomento: Vassalli denuncia senza aver compreso.  Il Cigno non è una storia vera, perché manca di rigore e di documentazione, è colmo di incongruenze storiche e di vicende inventate. I personaggi sono macchiette televisive, tipi standardizzati.

Alle critiche, Vassalli oppone alcune argomentazioni difensive. Contro le accuse di carenze nella documentazione storica, egli presenta la fonte del suo romanzo e cioè l’eccellente libro del Magrì, L’onorevole padrino[68] e quanto alla distanza che lui, non siciliano, avrebbe dal sicilianismo, risponde con tre argomentazioni molto forti: 1. la distanza di un narratore da ciò che racconta è sempre la stessa, di qualunque cosa parli; 2. uno scrittore non è legato alla regione di provenienza, perché ha una sola patria, la lingua; 3. descrivendo la Sicilia, lui non si serve di impressioni, ma si immedesima in un personaggio e lo segue nelle vicende concrete della sua vita. Respinge poi con fastidio le accuse di leghismo e di accanimento etnico nei confronti dei siciliani. Per ciò che riguarda la dichiarazione sull’omertà degli autori siciliani, che più crea scompiglio, lo scrittore si limita per ora a dichiarare di aver detto cose scontate che non avrebbero dovuto sollevare un tal polverone. Soltanto nel libro intervista Un nulla fatto di storie,[69] Vassalli esporrà meglio il suo pensiero su Sciascia e la percezione di quest’ultimo del Paese Sommerso (cioè del mondo dell’illegalità e della mafia): «Per criticare gli aspetti negativi del Paese Sommerso, Sciascia ha criticato la politica dei partiti. Ha detto che gli effetti erano le cause».[70] In questo modo Sciascia, e con lui altri scrittori siciliani, avrebbero evitato di guardare con obiettività al problema

Fino al mese di marzo del 1994 rimane comunque vivo l’interesse dei giornali e della critica per Il Cigno, interesse che va poi naturalmente a scemare. Molti articoli usciti in questo periodo presentano più che altro in maniera sintetica la trama del romanzo, fermandosi tutt’al più su questioni già viste e dibattute. Altri contributi risultano di maggiore interesse, anche se in essi appare evidente soprattutto la continuità tra il 1993 e il 1994.

Gli autori degli articoli a favore sono i giornalisti Elisabetta Stefanelli,[71]  Fabio Maj[72] e Michele Trecca,[73] il critico Leone Piccioni[74] e la novellista Giusi Baldissone.[75] Esprimono invece critiche negative i giornalisti Renato Barilli[76] e Silvana La Spina. [77]

Quanto alle note favorevoli, come in precedenza emergono gli apprezzamenti sull’attualità dell’opera, seguiti dai complimenti per l’impegno e il coraggio dell’autore nel comunicare una nuova visione del tema. Vassalli viene dichiarato addirittura il più grande scrittore della fine del 1900, o almeno uno dei pochi da seguire con interesse.

Sul versante delle osservazioni negative, invece, nonostante le argomentazioni difensive già declinate dall’autore, alcuni critici ribadiscono l’immagine denigratoria attribuita alla Sicilia: Vassalli, non essendo dell’isola, non può capirne la mentalità e quindi inventa episodi inverosimili. Egli viene definito arrogante e pressapochista, autore di un pasticcio che si nutre di stereotipi.

Per la verità una differenza tra i contributi critici del ’93 e quelli del ’94 e oltre c’è: nel secondo caso sembra aumentata la virulenza e la tracotanza degli attacchi, ma proprio per questo gli articoli suonano meno credibili. Una prima difesa contro chi accusa Vassalli per l’immagine falsa della Sicilia viene da Giusi Baldissone, che parla di un malinteso meridionalismo.

Per il resto, è bene tornare all’intervista del 2008 rilasciata a Ferlita per “Repubblica”, durante la quale Vassalli racconta le polemiche seguite all’uscita del Cigno, una quindicina di anni prima:

Si attaccarono a tutto pur di demolirmi […] Il fatto è che avevo messo il cucchiaio nella minestra degli altri, dando parecchio fastidio. […] Non avevo nessuna intenzione di dir male dei siciliani, volevo solo raccontare quei fatti, rimanendo fedele alle fonti.[78]

In questa intervista tuttavia Vassalli aggiunge qualcosa su cui non è facile essere d’accordo: «Devo poi dire che Il Cigno mi fu bruciato dall’attualità, con Tangentopoli che di lì a poco avrebbe messo sotto sopra il Paese». È più ragionevole pensare che Tangentopoli abbia aumentato l’interesse per Il Cigno che non viceversa.

Valutando complessivamente la ricezione critica, possiamo dire che gli studiosi dicono tutto e l’opposto di tutto: ciò che per gli uni è un pregio per gli altri è un difetto e ad ogni elogio corrisponde una critica. Ad esempio, c’è chi dice che Vassalli è sempre fedele al contesto storico e chi giura il contrario; c’è chi pensa che non formuli giudizi, limitandosi ad esprimere l’eloquenza dei fatti, e chi ritiene invece che Il Cigno sia il frutto dei suoi pregiudizi. Lo stesso si può dire della prosa, a volte esaltata a volte denigrata, oppure della descrizione della società siciliana o della mafia, per alcuni fedele alla realtà, per altri superficiale e stereotipata.

Conclusione

Al termine dell’indagine sul Cigno, ci si chiede quali furono in definitiva le cause che determinarono il suo successo e i motivi per i quali divenne un caso editoriale di vaste proporzioni. Si potrebbero individuare all’incirca una decina di motivazioni, che andavano dalla fama dell’autore (il quale nel 1990 aveva vinto il premio Strega per il romanzo La chimera, aumentando la sua notorietà in Italia e all’estero) alla bellezza indiscussa dell’opera.

Per ciò che riguarda le circostanze temporali favorevoli, che accompagnarono l’uscita del romanzo, occorre ricordarne almeno tre, di diversa importanza: il contesto sociale di corruzione generalizzata nel quale stavano vivendo gli italiani, che sembrava riprodurre per certi versi il sistema mafioso, rendendo la narrazione attualissima e aumentando quindi curiosità e aspettative; la coincidenza con il centenario della morte di Notarbartolo e con tutte le celebrazioni che lo ricordavano, riportandone alla ribalta la storia; l’uscita del romanzo nelle vicinanze del Natale, per cui varie riviste inserirono il libro tra i consigli per le strenne natalizie. Ad ampliare la conoscenza del romanzo concorse inoltre l’attribuzione tempestiva del premio “Grinzane Cavour – Terre del Piemonte”.

La veste editoriale grafica agile e piacevole, inoltre, e il titolo del romanzo, che incuriosiva e sembrava aggiungersi al gattopardo e alla civetta, formando una trilogia di opere accumunate non soltanto dagli accenni alla mafia ma anche dal riferimento a un animale preciso, che evocava somiglianze e differenze tra le narrazioni, potrebbero aver avuto un peso non indifferente nella riuscita dell’opera. Come si è visto, poi, l’intervista dell’autore con Marcoaldi per “Repubblica” e l’articolo del giornalista Cascio sul “Manifesto”, usciti in concomitanza con la pubblicazione dell’opera, offrirono osservazioni capaci di interessare e attrarre i lettori.

E tuttavia nessuna opera, per quanto ben presentata e capace di accendere delle aspettative, incontrerebbe fortuna se non fosse “bella”, cioè se non portasse con sé quell’elemento indeterminato e non facilmente definibile, in grado non solo di attrarre, ma di creare legami e luoghi dello spirito in cui abitare. Ecco, il Cigno ha in sé la bellezza di un romanzo serio ma piacevole, fedele alla realtà storica ma ricco di fantasia, con il fascino del passato e il sapore dell’attualità, capace di immergere il lettore nella storia e di nutrire l’immaginazione, di dare emozioni forti e di attivare il ragionamento, in grado di comunicare il piacere di una scrittura chiara e lineare, ma anche forte e asciutta, “nuovo”, infine, rispetto alle opere che l’hanno preceduto. Un romanzo che avvince e fa pensare, un libro dal quale ci si stacca a fatica, perché apre le porte di un mondo sconosciuto e misterioso e lo rende leggibile, un mondo brutale, violento, ma anche a tratti struggente. Insomma tutto ciò che è stato detto dalla critica a favore.

Arianna Marturano

 

[1] Ibidem.

[2] S. Ferlita, Vassalli e la Sicilia. Così diedi fastidio, in “La Repubblica”, 24 maggio 2008, pagina non reperibile. Articolo fotografato nell’archivio Vassalli, per gentile concessione della moglie dell’autore, signora Paola Todeschino Vassalli.

[3] S. Ferlita, Vassalli e la Sicilia. Così diedi fastidio, in “La Repubblica”, 24 maggio 2008.

[4] Ibidem.

[5] S. Vassalli, Il Cigno, p.29.

[6] Ibi, pp. 39 – 40.

[7] Ibi, p. 59.

[8] Ibi, p. 103.

[9] Ibi, p. 113.

[10] Ibi, p. 122.

[11] Ibi, p. 159.

[12] Ibi, p. 231.

[13] Ibi, p. 249.

[14] Ibi, p. 275.

[15] Ibi, p. 284.

[16] Ibi, p. 285.

[17] Ibi, p. 286.

[18] Ibi, p. 289.

[19] In “Tuttolibri”-“La Stampa”, agosto 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli, grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[20] S. Petrignani, Ma quante storie!, in “Panorama”, 17 ottobre 1993, p. 124.

[21] Informazioni tratte dall’enciclopedia “Treccani on line”, alla voce Tangentopoli. In:
<https://www.treccani.it/enciclopedia/tangentopoli_%28Enciclopedia-Italiana%29/> (ultima consultazione: 4 maggio 2022).

[22] Il computo approssimativo è stato fatto sulla base degli articoli di quotidiani e periodici presenti nell’archivio Vassalli, fotografati per questo lavoro grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[23] F. Marcoaldi, Il cigno e la mafia, in “la Repubblica”, 5 novembre 1993, p. 35.

[24] R. Cascio, Storia di un omicidio eccellente nella Sicilia di fine secolo, in “il Manifesto”, 6 novembre 1993, p. 12.

[25] G. Bonura, Vassalli e una mafia didascalica, in “Gutemberg” – “Avvenire”, 20 novembre 1993, p. 2.

[26] E. Paccagnini, C’è un cigno per la mafia, nel “Sole 24 ore”, 28 novembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[27] C. Fini, Lo scandalo della mafia, in “La voce del campo”, 13 novembre 1993, p. 7.

[28] T. Madia Jr, Il Cigno di Sebastiano Vassalli, “Gli oratori del giorno”, n. 9, Roma, novembre 1993, p. 63.

[29] S. Vertone, Canto del Cigno per Palermo. Sebastiano Vassalli racconta l’Italia di oggi con una storia di cento anni fa, in “L’Europeo”, 48/29, novembre 1993, p. 6.

[30] M. Bernardi, Un cigno disperato. La rassegnazione, il fulcro della civiltà dei poveri, in “Il Gazzettino”, 22 novembre 1993, p. 16.

[31] L. Baldacci, Il Cigno dalle ali insanguinate. I Fasci, le banche, la mafia e il potere: l’omicidio     Notarbartolo.

[32] G. Amoroso, Fantasma della mafia, in “Gazzetta del sud”, 23 novembre 1993, p. 26.

[33] G. Pampaloni, Delitti d’epoca, in “Il Giornale”, 28 novembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[34] E. Paccagnini, C’è un cigno per la mafia, in “Il sole 24 ore”, 28 novembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[35] P. Chessa, Che tentacoli quel Cigno. Assassini e politici, pavidi ed eroi. La storia di un omicidio di mafia nella Sicilia di ieri che è quasi un ritratto dell’Italia di oggi, [s.e.], novembre 1993, p.5, periodico non citato. Documento conservato nell’archivio Vassalli, consultato per gentile concessione della moglie di Sebastiano Vassalli, signora Paola Todeschino Vassalli.

[36] S. Vertone, Canto del Cigno per Palermo. Sebastiano Vassalli racconta l’Italia di oggi con una storia di cento anni fa, in “L’Europeo”, 48/29, novembre 1993, p. 6.

[37] P. Chessa, Che tentacoli quel Cigno. Assassini e politici, pavidi ed eroi. La storia di un omicidio di mafia nella Sicilia di ieri che è quasi un ritratto dell’Italia di oggi, [s.e.], novembre 1993, p.5, periodico non citato. Documento conservato nell’archivio Vassalli, consultato per gentile concessione della moglie di Sebastiano Vassalli, signora Paola Todeschino Vassalli.

[38] P. Chessa, Che tentacoli quel Cigno. Assassini e politici, pavidi ed eroi. La storia di un omicidio di mafia nella Sicilia di ieri che è quasi un ritratto dell’Italia di oggi.

[39] R. Martinoni, L’isola del cigno. Il nuovo romanzo di Sebastiano Vassalli – Di frittelle e lupini – E di un invito a Pirandello, in “Giornale del popolo”, Lugano 2 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[40] R. S. Crivelli, L’annientamento del Cigno tra mafia e sicilianità, in “Corriere di Novara”, 2 dicembre 1993, p. 28.

[41] S. Casini, Storie di ordinaria Sicilia, in “Noi”, 49, 22 dicembre 1993, p. 11.

[42] G. Bonalumi, Vassalli, una grande parabola. Einaudi ha pubblicato un nuovo romanzo dello scrittore Sebastiano Vassalli; «Il Cigno»: un libro che affronta il problema della mafia in Sicilia, in “Corriere del Ticino”, 24 dicembre 1993, p. 34.

[43] R. Cotroneo, Lasciamoli lavorare questi bravi scrittori, in “L’Espresso”, XXXIX, 48, 5 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[44] S. Ferrari, Ma il cigno non è uguale alla civetta, in “Il secolo XIX”, 15 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[45] L. Petronio, Cigno e gattopardo, in “Trieste Oggi – il Meridiano”, 8 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[46] S. Fiori, Quel cigno deve morire, in “Cultura”-“La Repubblica”, 11 dicembre 1993, pagina non reperibile; articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[47] C. Toscani, La cantata del «Cigno», in “Brescia oggi”, 14 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[48] P. Mauri, L’Italia s’è desta? in “la Repubblica”, 16 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[49] A. Melli, 1893, Il delitto è di Stato. La vittima fu l’ex direttore del Banco di Sicilia, in “il Giorno”, 1993, data e pagina non reperibili. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[50] O. Burelli, Se il narratore sceglie la storia, in “Messaggero veneto”, data e pagina non reperibili. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[51] C. Augias, Problema Sicilia sangue e romanzi. Sebastiano Vassalli si è ispirato all’assassinio di Notarbartolo per il suo ultimo romanzo Il Cigno, in “Il venerdì di Repubblica”, 31 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[52] Sebastiano Vassalli. Il Cigno, Inserto pubblicitario in “La Repubblica”, 10 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[53] Ibidem.

[54] Ibidem.

[55] L. Mondo, Il giorno del Cigno. Sebastiano Vassalli nella Sicilia di fine Ottocento. Un romanzo civile intorno al delitto Notarbartolo, in “Tuttolibri” – “La Stampa”, data e pagina non reperibili. Articolo fotografato presso l’archivio Vassalli, per gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[56] Sebastiano Vassalli. Il Cigno, Inserto pubblicitario in “La Repubblica”.

[57] Ibidem.

[58] Inserto pubblicitario, in “la Repubblica”; data e pagina non reperibili. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[59] M. Serri, Il Falcone dell’800 e i suoi padrini. Le mani dei biografi sul sindaco assassinato in treno dalla mafia, in “La Stampa”, 10 dicembre 1993, p. 22.

[60] S. Fiori, Quel cigno deve morire.

[61] S. Fiori, Quel cigno deve morire.

[62] S. Fiori, Quel cigno deve morire.

[63] S. Fiori, Quel cigno deve morire.

[64] S. Fiori, Quel cigno deve morire.

[65] G. Marci, Ma Vassalli non è Sciascia. Senza tensione morale e con qualche goffaggine linguistica, in “La Nuova Sardegna”, 336, 11 dicembre 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[66] D. Pecile, Quando la mafia riuscì a dividere il Nord dal Sud, in “Messaggero veneto”, 1993, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[67] M. Serri, Il Falcone dell’800 e i suoi padrini. Le mani dei biografi sul sindaco assassinato in treno dalla mafia.

[68] E. Magrì, L’onorevole padrino. Il delitto Notarbartolo: politici e mafiosi di cent’anni fa, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1992 (“Le scie”).

[69] S. Vassalli, G. Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo.

[70] Ibi, p. 82.

[71] E. Stefanelli, Letteratura e mafia secondo Vassalli, in “l’Adige”, 14 gennaio 1994, p. 44.

[72] F. Maj, Un efferato assassinio in treno e lo scandalo è evitato, in “Messaggero Veneto”, 15 gennaio 1994, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[73] M. Trecca, La ragione intonò il canto del “Cigno”, in “Gazzetta del Mezzogiorno”, 15 gennaio 1994, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[74] L.Piccioni, Storia del Cigno uomo d’onore, in “il Tempo”, Roma, 28 gennaio 1994, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[74] Ibidem.

[75] G. Baldissone, Il Cigno di Sebastiano Vassalli, in “Letture”, Marzo 1994, pagina non reperibile; articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[76] R. Barilli, Un rosario già noto, in “L’immaginazione”, 110, gennaio-aprile 1994, p. 54.

[77] S. La Spina, Caro Vassalli non venga in Sicilia, in “Avvenire”, 25 luglio 1995, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.

[78] S. Ferlita, Vassalli e la Sicilia. “Così diedi fastidio, in “la Repubblica”, 24 maggio 2008, pagina non reperibile. Articolo fotografato per questo lavoro nell’Archivio Vassalli grazie alla gentile concessione della signora Paola Todeschino Vassalli.


(in "Editoria & Letteratura", editoria.letteratura.it).